Le biblioteche hanno fatto il loro tempo?

Creato il 03 marzo 2013 da Alessandraz @RedazioneDiario

Pubblicato da Simona Postiglione Della situazione in cui versano le biblioteche nel nostro paese abbiamo già avuto modo di parlare; la realtà con cui le strutture devono confrontarsi da qualche anno è cambiata notevolmente a causa della crisi che ha imposto tagli consistenti ai loro fondi e in Italia, ma anche nel resto dell'Europa, ai minori fondi a disposizione si contrappone l’accresciuta esigenza degli utenti, costretti dalla crisi a ricorrere sempre più ai servizi gratuiti. Cresce la domanda da parte dei cittadini meno abbienti — numero in continua crescita — che chiedono alle strutture di essere un polo sociale, oltre che culturale, mentre l’offerta diminuisce. Tagli irragionevoli, cattive gestioni, proteste degli utenti e del personale — non formato a dovere e non in grado di soddisfare le richieste come dovrebbe —, costringono le biblioteche in un angolo, facendo vivere loro anni difficili.
Mentre — nonostante il periodo di crisi — nutriamo ancora la speranza di fare leva anche sul nostro patrimonio culturale, gelosamente custodito nelle biblioteche d’Italia e del mondo, per risollevarci dalla situazione precaria in cui viviamo, una voce apparentemente solitaria sostiene che le biblioteche hanno fatto il loro tempo. È quella di Terry Deary, autore inglese che ha pubblicato oltre 200 libri per bambini, vendendo oltre cinque milioni di copie in più di quaranta lingue — la serie Horrible Histories fra tutti —, che è stato uno degli autori più venduti in Gran Bretagna e nel 2012 è stato il settimo autore più richiesto nelle biblioteche inglesi. Deary sostiene di non volere attaccare le biblioteche, ma il concetto di prestito gratuito che sta dietro il sistema, regolato da una legge approvata nel lontano 1850. In sostanza, ritiene che debba essere abolito, perché il diritto acquisito in epoca vittoriana di leggere gratuitamente, a spese degli autori, degli editori e dei contribuenti comunali, è superato.

Le razioni naturalmente sono state molto negative, ma l’autore insiste nel ritenere che l’atteggiamento del pubblico debba cambiare: le persone devono scegliere di acquistare i libri, perché non sono una proprietà pubblica e gli scrittori non producono per hobby, ma devono guadagnarsi da vivere come tutti quelli che lavorano, così come devono farlo gli editori e i librai. Ora, ci domandiamo come possa un autore i cui libri sono stati presi in prestito più di 500.000 volte tra il 2011 e il 2012, percependo il compenso massimo previsto dallo schema di diritto al prestito pubblico, fare una dichiarazione simile, lasciandoci quantomeno perplessi. È ovvio che se avesse venduto l’equivalente delle copie, avrebbe guadagnato molto di più, come del resto le librerie e gli editori, ma il concetto fondamentale di Deary è che la crisi generale in cui versano le librerie dipende dal fatto che le biblioteche danno via gratis il prodotto che loro cercano di vendere. L’autore si domanda: « quale altro settore crea un prodotto e permette a qualcun altro di regalarlo?». Noi ci domandiamo, è vero che le biblioteche danneggiano l’industria del libro, contribuendo al fallimento delle librerie?
Nelle circostanze attuali, dove, a causa della crisi economica mondiale, l’unica possibilità per molti di coltivare la passione per la lettura e la cultura è di accedere liberamente al prestito bibliotecario, le affermazioni di Deary sembrano quasi da irresponsabile. Quanti vorrebbero acquistare libri da collezionare nella propria libreria? Deary ha dimenticato di proporre una soluzione convincente all’impedimento che rappresenta — per la maggioranza di noi — il costo eccessivo dei libri, ma ha soprattutto dimenticato che il prestito pubblico è nato per garantire a tutti il diritto alla crescita culturale, individuale e collettiva, e il diritto all’informazione. Le biblioteche di tutto il mondo rappresentano da tempo memorabile un punto di riferimento per la popolazione del territorio dove sono dislocate, negli anni si sono trasformate sempre più in un polo sociale, oltre che culturale, cui persone di ogni etnia e classe si appoggiano nel tentativo di consolidare un’identità sociale che la situazione politica ed economica attuale mina continuamente.
Parliamo di strutture nate come fabbrica del sapere, come centro di trasmissione ed elaborazione della cultura passata, come luogo di studio e di materie universali e come centro della memoria collettiva da mantenere viva. Un sistema di organizzazione e mediazione del sapere che ogni periodo storico ha scolpito in maniera diversa, seguendo lo schema culturale creatosi con l’esperienza, sui modelli del passato e l’influenza di diversi fattori che hanno interagito per formare un progetto culturale vero e proprio. Deary sembra voler cancellare lo spirito pubblico della biblioteca che la lega inevitabilmente al suo ruolo sociale, dimenticando il grande contributo che la sua istituzione ha dato, dalla fine del Seicento, non solo alla diffusione del libro ma anche all’alfabetizzazione. Le centinaia di autori, illustratori e poeti del passato che hanno aderito a proteste e hanno dedicato tempo ed energie per sostenere le biblioteche si staranno rivoltando nella tomba, sentendosi traditi dall’accusa di mero sentimentalismo che uno di loro gli sta facendo.


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :