Pubblicato da Simona Postiglione
Mentre — nonostante il periodo di crisi — nutriamo ancora la speranza di fare leva anche sul nostro patrimonio culturale, gelosamente custodito nelle biblioteche d’Italia e del mondo, per risollevarci dalla situazione precaria in cui viviamo, una voce apparentemente solitaria sostiene che le biblioteche hanno fatto il loro tempo. È quella di Terry Deary, autore inglese che ha pubblicato oltre 200 libri per bambini, vendendo oltre cinque milioni di copie in più di quaranta lingue — la serie Horrible Histories fra tutti —, che è stato uno degli autori più venduti in Gran Bretagna e nel 2012 è stato il settimo autore più richiesto nelle biblioteche inglesi. Deary sostiene di non volere attaccare le biblioteche, ma il concetto di prestito gratuito che sta dietro il sistema, regolato da una legge approvata nel lontano 1850. In sostanza, ritiene che debba essere abolito, perché il diritto acquisito in epoca vittoriana di leggere gratuitamente, a spese degli autori, degli editori e dei contribuenti comunali, è superato.
Le razioni naturalmente sono state molto negative, ma l’autore insiste nel ritenere che l’atteggiamento del pubblico debba cambiare: le persone devono scegliere di acquistare i libri, perché non sono una proprietà pubblica e gli scrittori non producono per hobby, ma devono guadagnarsi da vivere come tutti quelli che lavorano, così come devono farlo gli editori e i librai. Ora, ci domandiamo come possa un autore i cui libri sono stati presi in prestito più di 500.000 volte tra il 2011 e il 2012, percependo il compenso massimo previsto dallo schema di diritto al prestito pubblico, fare una dichiarazione simile, lasciandoci quantomeno perplessi. È ovvio che se avesse venduto l’equivalente delle copie, avrebbe guadagnato molto di più, come del resto le librerie e gli editori, ma il concetto fondamentale di Deary è che la crisi generale in cui versano le librerie dipende dal fatto che le biblioteche danno via gratis il prodotto che loro cercano di vendere. L’autore si domanda: « quale altro settore crea un prodotto e permette a qualcun altro di regalarlo?». Noi ci domandiamo, è vero che le biblioteche danneggiano l’industria del libro, contribuendo al fallimento delle librerie?
Parliamo di strutture nate come fabbrica del sapere, come centro di trasmissione ed elaborazione della cultura passata, come luogo di studio e di materie universali e come centro della memoria collettiva da mantenere viva. Un sistema di organizzazione e mediazione del sapere che ogni periodo storico ha scolpito in maniera diversa, seguendo lo schema culturale creatosi con l’esperienza, sui modelli del passato e l’influenza di diversi fattori che hanno interagito per formare un progetto culturale vero e proprio. Deary sembra voler cancellare lo spirito pubblico della biblioteca che la lega inevitabilmente al suo ruolo sociale, dimenticando il grande contributo che la sua istituzione ha dato, dalla fine del Seicento, non solo alla diffusione del libro ma anche all’alfabetizzazione. Le centinaia di autori, illustratori e poeti del passato che hanno aderito a proteste e hanno dedicato tempo ed energie per sostenere le biblioteche si staranno rivoltando nella tomba, sentendosi traditi dall’accusa di mero sentimentalismo che uno di loro gli sta facendo.
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