George Clooney è diventato papà. No, non è passato Weah. E non s’è nemmeno fatto prendere dalla mania di Angelina Jolie di noleggiare bambini da varie parti del mondo. E no, non ha nemmeno messo incinta una delle sue girlfriend intercambiabili. Anche perché le conoscete le voci che circolano sul suo conto... Dai, quelle messe in giro dai soliti invidiosi. Sì, quelle che non gli piaccia tanto la farfallina...
"Anche se non sembra, la Canalis in realtà
è una persona molto intelligente..."
"Ok, questa era davvero divertente eheheh!"
Paradiso amaro mi ha ricordato un pochino Ragazzi miei, film con Clive Owen che si ritrova a dover badare ai figli in seguito alla tragica scomparsa della moglie. In quel caso i figli erano due maschi (il film si chiamava Ragazzi miei mica a caso) e l’ambientazione era quella australiana, mentre qui George Clooney ha due descendants al femminile e l’ambientazione è quella più esotica delle Hawaii. E poi qua, riconosciamolo, abbiamo una sceneggiatura decisamente migliore e con qualche momento divertente in più. Un paio di situazioni sono persino davvero esilaranti. Ma come? Non era un drammone?La situazione è drammatica assai, però il tono del film rimane per lo più sul leggero andante. Un po’ come in 50/50, film con Joseph Gordon-Levitt alle prese con il cancro che riesce davvero a far morire sia dal ridere che dal piangere e che eppure agli Oscar è stato snobbato clamorosamente (ma mica tanto clamorosamente, considerando i giochini di potere e il pessimo gusto dell’Academy). Non che Paradiso amaro sia malaccio, per carità, però tutto questo entusiasmo tra nomination agli Oscar e Golden Globe vinto come miglior film drammatico, quando manco è un film del tutto drammatico, forse è un tantinello esagerato."Non so che sto facendo, ma fare così fa molto regista che sa cosa sta facendo"
Ma torniamo indietro. Innanzitutto, parliamo del regista: Alexander Payne.Alexander Payne è un onesto Cristo, ma non ho mai capito tutti gli osanna che ha sempre ricevuto. Visivamente è piuttosto limitato e i suoi film non fanno certo gridare al miracolo per riprese strabilianti o per gusto estetico sopraffino, mentre a livello di sceneggiature se la cava meglio, diciamo che sembra un terzo fratello Farrelly però meno scemo e più introspettivo. Dopo gli esordi con pellicole che hanno visto giusto lui e, forse, i suoi genitori come The Passion of Martin e La storia di Ruth, il suo primo film a creare un certo hype è stato Election, commedia liceale stralunata in cui una scatenata Reese Witherspoon se la vedeva con il preside della scuola Matthew Broderick, in una storia per certi versi simile al Rushmore di Wes Anderson (che però era uscito un anno prima) e che in qualche modo ha anticipato lo stile grottesco del Glee dei primi tempi (senza però la parte musical).Con il successivo A proposito di Schmidt, complice una gigiona interpretazione di Jack Nicholson, si comincia a venerare questo Payne al di là dei suoi reali meriti, visto che se il precedente Election era parecchio scoppiettante, questo è una sorta di on the road sulla vecchiaia più convenzionale e tradizionale che perde e di brutto il confronto con quella perla di Una storia vera di David Lynch, simile per tematiche.Passiamo quindi a Sideways - In viaggio con Jack, il film che riesce a trasformare uno come Paul Giamatti, certo non un bellone alla Clooney, in una sorta di icona del cinema, perlomeno di quello indie. La pellicola è un’avventura piacevolmente alcoolica, un’ottima visione però sì, pure qui le lodi nei suoi confronti sono sempre sull’esagerato andante.E così siamo andati a vedere da dove questo The Descendants discenda. Perché? Perché non avevo mai parlato del cinema di Alexander Payne e mi andava di farlo, va bene?"Aiuto, c'è Steve-O che mi insegue!"
Dopo un’assenza di 7 anni dal grande schermo, Payne è tornato con una storia nuova, o quasi nuova, visto che trattasi di un adattamento dal romanzo della scrittrice hawaiiana, come si evince dal nome, Kaui Hart Hemmings e intitolato - ma va? - The Descendants (in Italia Eredi di un mondo sbagliato). Storia che, come abbiamo visto, si presenta bella drammatica e pesante, ma che il regista con il suo solito tocco ironico è riuscito ad alleggerire.Il film gioca le sue carte migliori proprio sulla parte più comedy, mentre sul versante drama non convince del tutto e sfiora in un paio di momenti ma non riesce a strapazzare fino in fondo il cuoricino, non il mio almeno. Anche se ci prova in maniera un pochino ruffiana (altrimenti all’Academy Awards mica piaceva), ma nemmeno troppo, per fortuna (e infatti l'Oscar non lo vincerà)."Non sono riuscita a vedere un'intera stagione di Teen Mom e 16 and Pregnant
per girare 'sto film e manco m'hanno nominata per gli Oscar?"
"Massì, mamma sta morendo, ma noi vamos a la playa oh oh oh oh!"
Il suo personaggio nel film è invece quello della figlia di Clooney che - ovviamente - ha lasciato delle situazioni in sospeso con la mamma in coma ed è insieme a lei che viviamo le scene più intense e palpitanti della pellicola, come la splendida seguenza in cui il bel George ha il brutto compito di darle una spiacevole notizia.Il personaggio top, almeno a livello di risate, è però l’amichetto fidanzatino della Shailene, un tipo tanto idiota quanto esilarante intepretato dal giovane Nick Krause di cui magari in futuro sentiremo ancora parlare. Meno approfondito invece il ruolo della figlia minore di Clooney, una bimbetta che all’inizio ci regala una scenetta divertente con tanto di dito medio stile Adele e M.I.A. ma viene ben presto accantonata dalla storia.La chicca del cast è poi Michael Ontkean.Chi è Michael Ontkean???Ma è lo sceriffo Harry Truman di Twin Peaks, Santo Lynch! Peccato che in questo film si veda, abbronzatissimo tra l’altro e ben lontano dal look montanaro della serie 90s, ma non mi sembra gli facciano dire nemmeno una parola una. Vabbè, fa piacere rivederlo dopo 20 anni passati a non combinare praticamente nulla di rilevante, però sprechiamo così uno dei personaggioni della serie simbolo nella storia della tv intera…"Sì, Bob di Twin Peaks me lo sogno ancora anch'io di notte!"
Non del tutto sfruttata al massimo anche l’ambientazione hawaiiana: i paesaggi sono molto da cartolina e la colonna sonora è fatta di tipiche canzoni hawaiiane, quindi sull’inascoltabile andante. Una scelta musicale che se da una parte prova a ricreare l’atmosfera tipica del luogo, dall’altro lato è davvero scontata e banale. Come se in un film ambientato a Napoli si dovesse suonare per forza O sole mio tutto il tempo. Andiamo, un po’ di fantasia.Il discorso sull’identità culturale hawaiiana rimane quindi decisamente abbozzato in appena un paio di scene e infine George Clooney come abitante hawaiiano non è che sia proprio il massimo della credibilità. È più a suo agio a una serata di gala con un Martini in una mano e una Elisatetta nell’altra, mentre a stare in calzoni e inguardabili camicione colorate alle Hawaii non mi sembra si possa considerare il suo habitat naturale. Quindi ebbravo Giorgione, però non sei da Oscar. Anche se probabilmente te lo daranno.Mi sto dilungando? Chiudiamo questo post?Riassumendo: Paradiso amaro è carino, piacevole, un’avventura on the road tra le strade della vita in tipico Alexander Payne style. A tratti fa ridere, i suoi personaggi riescono a coinvolgere e a farci entrare nella loro particolare e non messa benissimo famiglia (ma ne abbiamo viste di ben peggiori e di ben più stralunate). Un buon dramedy, però per l’Oscar facciamo che sia un discorso aperto tra The Tree of Life e The Artist, ok?(voto 7+/10)
Lo so: tanto The Tree of Life non vincerà mai…