Le Café des écrivants

Creato il 20 gennaio 2012 da Giulie

Questo racconto vegetava già da un po' di tempo nella memoria del mio PC e oggi ho deciso di condividerlo con voi. Fatemi sapere cosa ne pensate, liberissimi di dire anche "fa schifo". Dalle critiche uno po' solo migliorare.




Sigillum

Con la lama affilata del coltello incise una delle assi di legno che coprivano il pavimento. La meticolosità con cui si muoveva presagiva la freddezza che avrebbe usato per aprire in due il mio braccio. Il cuore accelerò i battiti, il puzzo acre della decomposizione permeava la stanza. Alle pareti erano appesi resti di creature morte, alcuni erano in uno stato di putrefazione così avanzato che difficilmente si riusciva a distinguere cos’erano stati da vivi.
Cercai di divincolarmi ma le corde che stringevano il mio corpo incollandolo alla sedia erano talmente tirate che sentii la pelle lacerarsi a contatto con la ruvida canapa.
Ero in trappola, senza via di fuga.
Il respiro affannoso era soffocato dalla camicia di flanella con cui mi aveva avvolto la parte inferiore del viso, l’odore di sudore che emanava era nauseante. Un lamento riuscì debolmente a superare lo spesso tessuto e a riecheggiare nella stanza per il resto silenziosa.
Improvvisamente un brusco movimento piegò la mia testa di quasi novanta gradi all’indietro, sentivo ogni capello tirato verso il pavimento da una mano grande e nervosa. La rabbia di quel gesto esprimeva tutta la violenza di quell’essere brutale.
Chiusi gli occhi per il dolore e la paura, ma lui mi costrinse ad aprirli con le sue dita tozze e ruvide. Con gesto sicuro allontanava la pelle delle palpebre dal bulbo oculare. Lo assecondai, se non l’avessi fatto mi avrebbe di sicuro strappato la sfera vitrea che si nascondeva sotto quella fragile protezione.
Incombeva sopra di me, percepivo la presenza muscolosa del suo corpo, il suo membro premeva contro la mia testa. Erano i suoi occhi, però, ad attirare l’attenzione. Erano gialli, il demone gli era entrato sotto pelle.
La bramosia che si accendeva nel suo sguardo mentre violentava il mio corpo con quegli occhi famelici mostrava chiaramente che Lilith era padrona delle sue azioni. Il demone che si muoveva nelle sue viscere era un Iamaliel, un Osceno.
Con velocità innaturale spinse la mia testa in avanti, il mento andò a sbattere contro il petto e i denti si chiusero con uno scatto secco procurando un taglio profondo sulla lingua che prese a sanguinare copiosamente. Il sapore dolciastro e metallico del sangue mi riempì la bocca.
Guardai il sigillo disegnato con tratti precisi e definiti sulle assi di legno che si trovavano sotto ai miei piedi. Era un disegno antico, che ormai in pochi conoscevano. La potenza di quei tratti arzigogolati era qualcosa che si perdeva nella notte dei tempi. Finché quel sigillo rimaneva impresso sul pavimento non potevo far nulla per salvarmi. Provai a far scivolare su e giù il piede nel tentativo di cancellare una parte del bordo e diminuire così l’effetto del simbolo, ma schegge di legno perforarono la mia carne procurandomi un acuto dolore.
Appena l’uomo notò cosa stavo cercando di fare con uno scatto felino mi fu addosso e si mise a sedere a cavalcioni sulle mie gambe, lo sguardo sempre più intenso. 
Afferrò il mio braccio con una presa decisa, slegò le corde che lo incatenavano al bracciolo della sedia e con ferocia lo sbatté sopra il tavolo sgangherato e lercio che giaceva alla mia sinistra.
Un povero cacciatore, ecco cosa era stato questo essere umano prima che il demone entrasse in lui. La solitudine aveva attanagliato il suo debole cuore e aveva aperto un varco per tutti i demoni che avessero voluto utilizzare il suo corpo. La rabbia repressa e la distorta bramosia sessuale che l’avevano caratterizzato da uomo ora erano al servizio della potente Lilith.
Un ghigno si dipinse sul suo volto, afferrò il manico consumato del coltello da cucina che aveva appoggiato per terra e spinse la punta sul mio braccio. Una goccia di sangue fuoriuscì e scese come un rivolo fino alla superficie di legno scurito per via dello sporco. La vista della densa sostanza color cremisi acuì il suo desiderio e con fare febbricitante guidò il coltello dal gomito verso il polso.
Un urlo straziante avvolse la stanza. Era la mia voce stridula e innaturale che spezzava l’oscura quiete di quel posto. Lacrime copiose scesero dai miei occhi e andarono ad inzuppare la camicia che mi faceva da bavaglio. Tutto questo lo eccitò ancor di più, il demone dentro di lui urlò la sua vittoria e costrinse quell’ammasso di muscoli e ossa a dirigere il volto verso il lago di sangue che si stava velocemente spandendo intorno al mio braccio. Con la lingua leccò avidamente il liquido che fuoriusciva dalle vene pulsanti.
Un brivido di piacere lo scosse e gli fece inarcare la schiena. Strappò la camicia graffiandomi con le unghie luride, premette la sua bocca lorda di sangue contro la mia e si fece strada con la lingua. In quel momento cominciai a tremare, sempre più forte, in modo convulso, fino a smuove anche il corpo che giaceva sopra di me. L’intera stanza sembrò scossa da un terremoto, i cassetti della credenza si rovesciarono a terra, il bicchiere appoggiato sopra il lavabo piombò sul pavimento infrangendosi in mille pezzi.
La voce metallica dello Iamaliel risuonò sinistra: «Per te è finita, Raguel. Hai insudiciato la tua anima con la mia. La tua essenza è corrotta ora». La risata di Lilith deflagrò come un’esplosione, ferendomi le orecchie. «Finalmente mi appartieni, Raguel».
Un fumo nero uscì dalla bocca e dal naso dell’uomo alzandosi verso l’alto e scomparendo tra le travi del soffitto. Il corpo senza vita del cacciatore si accasciò come un sacco vuoto e cadde a terra con un tonfo secco. Il sigillo non aveva più potere su di me dal momento che Lilith l’aveva rotto, ma ormai ero perduto.
Mi misi in piedi barcollando dopo essermi slegato, polsi e caviglie erano feriti dalle corde. Mi diressi verso la porta e a fatica riuscii a girare la maniglia. Una raffica di velo gelido investì il mio corpo fiacco e mi spinse all’indietro facendomi cadere.
Quelle che un tempo erano state candide, ora giacevano rattrappite e sporche sotto il mio peso. Le mie ali.

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