Le camere attigue

Creato il 20 giugno 2012 da Wsf

siate perbene
non stendete mai la biancheria in facciata,
non accostate spazzatura alla porta
e non lasciate lo zerbino consunto

nei piani alti non arrivi frastuono
abbiate il mare vicino e le terrazze
con insospettabili piscine
giardini pensili e dabbasso
pulsantiere d’ottone

(…)

 (da Bacheca, Le camere attigue, Rossella Maiore Tamponi – Il foglio clandestino, 2010)

*

Uno dei significati imputabili all’amore per la lettura è quello che la assimila a un tarlo. Che resta lì, e scava, e dimora nel luogo in cui siamo, come un piccolo fantasma che ci abitua ad essere in-vasi, in un certo senso consumati, senza che ce ne accorgiamo.

E’ a questo che penso oggi, mentre mi chiedo cosa sia stato in questi quasi due anni a farmi tenere sullo scrittoio, in vista e in un certo senso sempre presente, Le camere attigue di Rossella Maiore Tamponi (Editrice Il foglio clandestino, 2010).

Gilberto Gavioli è uno dei pochi editori in Italia capace di curarsi di una ragione profonda nella scelta dei suoi autori. Sono in generale molto curiosa quando il suo lavorio editoriale porta fuori e propone. Ma in questo caso, la lettura ha rappresentato per me un momento alchemico di riconoscimento di una struttura profonda, assegnata alla ricerca poetica e civile (in senso etimologico) dalla Maiore Tamponi, che ha un suo controcanto solo in un altro incontro di lettura, che oramai data per me molti anni, con la ricerca di Patrizia Valduga.

Dico questo perché questa raccolta, che  è in un certo senso un romanzo in perfezione di verso, contiene e riversa, come il lavoro della Valduga, una capacità narrativa che si accosta con delicatezza e  incanto, al tessuto metrico, e a una ricerca, nella lingua, che emoziona e confonde. C’è una tale precisione, grazia e pulizia, nella ricerca delle parole, che il lettore arrossisce.

In molti autori c’è quella che potremmo definire una bellezza sparsa, che si posa nella frase o nel verso, ma che spesso, autoreferenzialmente, tradisce la scommessa contro il destino che si gioca con la narrazione. Rosssella Maiore Tamponi ha invece integra e sfidante la capacità di ospitare in un luogo madre un viaggio e una permanenza, che si apre, paradossalmente, con una annotazione sul ritorno.

Questa raccolta è una casa che costruisce una casa e decostruisce le pareti, con una abilissima tessitura che mantiene il riserbo del confine pur rendendo trasparenti le pareti e i confini. E’ un accostamento senza contatto, un ascolto che non pretende di dire, ma delicatamente restituisce e ripensa, risente.

Ecco, è una poesia capace di risentimento senza rancore, mai edulcorata eppure delicatissima. Un giardino per violette consumate e potentissime. Nessun aggettivo di troppo, la misura esatta del verso, nessuna concessione all’io ma una presenza radicata e profondissima nelle cose ed in sé. La sicurezza degli oggetti, dei corpi, situati eppure universali, come in noumeno della finitezza e della fragilità. Rinvia al canto greco, a un sussurro di mura.

Ho profondamente amato, questo libro, e profondamente lo porto con me. Di recente ne ho fatto dono a un amico che conosce quanto sia scomodo e imprendibile stare, e quanto occorra poter dire di questo stare, con metro esatto, senza sbavature.

Perché forse il senso dello scrivere è in questo, saper dire di sé e dell’altro senza che occorra sfinirsi in superomismi e vele controvento, ri-conoscendo, lavorando ad una lingua ritrovata e ricercata, scostandosi dalla retorica come si scosta il fiore quando il vento è tanto. Ci sono libri sui quali non si dovrebbe dir nulla, se non che stanno dove siamo noi, e ci fanno essere meno soli. Al civico 18, dove in esergo, “non so se ho visto ma ho guardato”

(n.g., Roma, giugno 2012)

Cambiare

Cambiare è il nome vero del medico attento
che ci muove dentro con le mani calde

a fargli spazio ovunque, in ogni luogo,
egli indica il centro

la casa non è che una nicchia
scavata nella carne viva
da un qualcosa di cielo

(Le camere attigue, Rossella Maiore Tamponi – Il foglio clandestino, 2010)

PS: è stato per me intressante leggere la recensione al libro scritta da Cerrai sul suo bel blog http://ellisse.altervista.org/index.php?/archives/526-Rossella-Maiore-Tamponi-Le-camere-attigue.html

Nel merito, devo constatare che la sua lettura è inversa alla mia, in particolare per quanto riguarda il concetto di rischio, fuori da un perimetro borghese.  ”L’essere arrischiante” (usando il senso che al verso riportato affidava Heidegger nel suo Perché i poeti), e l’essere gettati, io li ritrovo interi, nei versi della Maiore Tamponi. Di cui non so biograficamente, di cui non ho cercato e non sento il bisogno di cercare. Mi attrae invece questa presenza così forte e dichiarata, minuscola come i minuscoli delle avanguardie rivoluzionarie, nelle cose. Fra le parole e le cose. Dove non sento un’Io, ma una decisa costruzione. Per questo in apertura raccoglievo la sfida narrativa, come quando si andò verso il Romanzo, nel ’900, quando era fatto e pronto il “tempo di edificare”.


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