So che è stato tratto un film dal libro, e farò di tutto per non vederlo. Quando il libro piace tanto, la trasposizione cinematografica raramente non delude, e non voglio rovinarmi la scoperta di questo libro che, a differenza di altri, ho letto su consiglio, per passaparola. "Leggilo. Lo hanno consigliato anche a me. Ti piacerà.". E mi ha colpito così tanto la scrittura di Frank McCourt da farmi abbandonare fin dall'incipit il mio scetticismo, che è rimasto tutto il tempo imbronciato in poltrona, mentre mi gustavo lo stile fresco di un libro che ho faticato a convincermi a leggere e che ho faticato poi a lasciare andare.
Io non immaginavo che avrei preso coscienza della condizione irlandese dagli anni '30 agli anni '50 nel giugno del 2013, ascoltando Frank che mi racconta pari pari la storia sua e della sua famiglia. Nato a New York da genitori irlandesi che decidono, quando lui ha 4 anni e i suoi fratelli meno, di tornarsene in Irlanda perché il sogno americano nessuno dei due l'aveva toccato con mano, Frank sbobina i ricordi come fossero la pellicola di una cinepresa.
La povertà è un concetto diverso dalla miseria. La miseria non l'avevo mai associata all'Irlanda, prima. Io l'Irlanda l'ho vista: verde, ventosa, desolata; la terra europea più desolata che abbia mai visto; malinconica eppure gentile. Non c'è gentilezza però nella storia d'Irlanda, così dura che viene da pensare che anche i principi cattolici così rigidamente incombenti non fossero solo una reazione al protestantesimo anglosassone ma, ben lontani dalla fede, fossero più un'ancora di salvezza, così pesante però da diventare più che un salvagente uno scoglio contro cui infrangersi.
Sono cresciuta sentendo raccontare qualche storia di bambini morti troppo presto ai tempi dei trisnonni; quelli delle cascine raccontate da Olmi, quelli di contadini che la fame l'avevano conosciuta. Ma la fame io non l'ho mai provata. La fame come la racconta Frank non l'avevo neanche mai immaginata.
Ho dovuto interrompere due volte la lettura del libro, perché il susseguirsi di bambini nati e morti, la assoluta convivenza tra dolore e noncuranza mi aveva creato un senso di nausea. Come fosse possibile tanta indifferenza di fronte alla perdita, alla miseria, a padri alcolisti inesistenti che letteralmente si bevono la paga accanto ai figli che muoiono per malnutrizione e per condizioni igieniche che fanno rabbrividire, come fosse possibile che nessuno facesse niente non riuscivo proprio a sopportarlo.
E' che la miseria ti entra dentro, ed è la vita a diventare miserabile. Il concetto di buono e cattivo, nonostante la religione lo applicasse a qualunque cosa, perde di significato quando è tutto ad essere sbagliato.
Frank ha dei lampi a rischiarare la sua vita, e quasi tutti hanno a che fare con l'amore per la lettura, ma non sono mai lampi salvifici, attanagliato com'è dal pantano. Da quando inizia a lavorare inizia anche a risparmiare per uscirne, perché l'unica via di fuga da una vita che sembra non averne è la nave che lo riporterà in America.
Mi piacerebbe aggiungere "dove tutto è cominciato" ma non è lì che tutto è iniziato: tutto è cominciato in Irlanda, e in Irlanda finisce, perché Frank torna a scriverne delle ceneri di Angela, di una vita dove sembra che la madre sia protagonista, e lo è, tutto sommato; lei come tutti gli altri visti con gli occhi di Frank bambino, tutti protagonisti passivi di una vita bruciata di cui addosso ti restano solo le ceneri. E le ceneri, si sa, sono dolore portato via dal vento.
La parola "cenere" compare una sola volta in tutto il libro, verso la fine. Avrei voluto segnarmi il passaggio per poi rileggermelo, ma non avevo voglia di fermarmi, di interrompere la lettura, e ora non riesco più a ritrovarlo; mi rimane l'immagine vaga di un bambino che chiede qualcosa alla madre, qualcosa che potrebbe portare cambiamento, e poi la madre, uno zoom su di lei, sul mezzo busto che torna a girarsi indietro, e il primo piano su di un sorriso che è un no, gli occhi rivolti alle ceneri del camino.
Mi ha deluso all'inizio il finale: lui, poco prima di approdare a New York, che passa la sera coi compagni di traversata in compagnia di alcune donne. C'è anche un prete, anche lui irlandese, intento ad ammonire, ad indicare la via giusta da seguire; un prete che più nessuno, nemmeno Frank, ascolta, libero da ogni senso di colpa.
Sapete che ho letto tutto il libro senza rendermi conto che fosse un'autobiografia? Potrei provare un po' di imbarazzo ad ammettere di averle lette tutte, quelle trecento pagine e passa, senza accorgermi che il nome del protagonista coincideva con quello dello scrittore. Ed è chi me l'ha consigliato che mi ha detto: "Guarda che è proprio lui. E' la sua vita". E lì mi sono accorta che è successa una di quelle cose che accade quando non puoi credere a qualcosa, perché ti sembra incredibile che sia proprio così. Invece è tutto vero.