di Gianfranco Leccis
I luoghi di culto rappresentano la testimonianza più importante del periodo storico che precedette quello dei Giudicati
Il periodo Giudicale – come si è detto – è stato tra i più importanti della storia sarda. I Giudicati sardi erano delle nazioni abbastanza progredite per l’epoca, le loro corti erano allo stesso livello di quelle degli altri regni europei. Col tempo divennero dei regni (su rennu), con un re (judike) erano divisi in curatorie e i paesi (biddas) erano retti da un maiore. Si governava in assemblee chiamate corona de logu col concorso del clero e del popolo. Il livello di vita era accettabile e avevano leggi e regole abbastanza progredite,
per esempio l’elezione dei giudici avveniva per successione ma il nuovo giudice doveva ricevere l’approvazione della corona de logu. Esistevano le classi sociali, i liberi (piccoli e grandi proprietari), i coloni ed i servi. Le condizioni di questi ultimi erano migliorate rispetto al passato, erano trattati più umanamente, avevano un cognome, potevano sposarsi legalmente, testimoniare nei processi. Si può dire che esistesse una prima forma di democrazia, in quell’epoca non vi era molto di simile: solo nel ’200 in Inghilterra furono approvati dei diritti umani. I giudici furono spesso in contrasto tra loro e alcuni cercarono di riunire l’Isola e sottomettere gli altri. Però non avevano la forza per difendersi dagli aggressori arabi e il Papa, per proteggere le coste sarde e quelle italiane, aveva chiamato le repubbliche marinare di Pisa e Genova che sconfissero i nemici – solo per breve tempo perché le aggressioni continuarono per secoli – ma approfittarono dell’occasione per sviluppare i rapporti commerciali ed arrivarono ad ottenere il controllo di varie regioni, anche talvolta per via matrimoniale. I Pisani praticamente si impadronirono delle Gallura prima e poi pure di Cagliari; i Genovesi invece praticamente acquisirono il giudicato di Torres con alcune grandi famiglie. Alcune città si erano costituite in Comune: Cagliari, Iglesias, Bosa, Alghero, Sassari, Castelgenovese (l’attuale Castelsardo). Il giudicato di Arborea fu quello che mantenne l’indipendenza e sopravvisse più a lungo, ebbe una durata di circa 5 secoli. I loro giudici erano imparentati con la nobiltà catalana ed avevano rapporti con i pisani e con i genovesi ma restando indipendenti. Il giudice Mariano IV fu un sovrano illuminato, colto e raffinato, in contatto con i sovrani e le maggiori personalità contemporanee. Egli creò una serie di regole che poi furono completate
dalla figlia Eleonora, la Carta de Logu, una raccolta di leggi penali e civili scritte in lingua volgare e cioè non in latino come si usava allora), di grande valore tanto che fu adottata anche dagli aragonesi, dagli spagnoli e dai piemontesi restando in vigore
fino al 1827; ne furono ispirati pure gli inglesi quando realizzarono la loro Magna Carta. Nel 1297 il Papa nell’intento di risolvere vari problemi nel Mediterraneo creò il “regnum Sardiniae et Corsicae” e lo assegnò al conte-re di Catalogna e Aragona che però doveva conquistarselo. Nel 1323 iniziò la conquista e la lotta con i giudicati: quello che resistette più a lungo fu Arborea che in un primo momento ne fu alleata ma in seguitò di fronte alla dura dominazione si ribellò. Prima Mariano e poi Eleonora che è la leggendaria eroina dei sardi, tuttora ampiamente ricordata: il suo regno durò dal 1383 fino alla morte avvenuta tra il 1402 ed il 1404.
Riprendiamo ora il discorso iniziato sulle testimonianze archeologiche e dei monumenti. Si è già detto dei principali Musei e dei maggiori siti archeologici dove sono conservati importanti documentazioni e reperti che riguardano i periodi preistorici, nuragico,
fenicio-punico e romano. I monumenti principali dei periodi bizantino e giudicale sono chiese, vi sono poche altre opere. Del periodo bizantino le chiese più note sono San Saturnino di Cagliari e San Giovanni di Sinis e le catacombe di Sant’Antioco. Sono le più antiche dell’Isola, risalgono al V sec. e sono state restaurate da monaci. Nel caso di Cagliari sono stati i vittorini, ai quali fu donata nel 1089, che la ricostruirono in forme romanico- provenzali; forse allora fu dedicata a San Saturnino, vescovo di Tolosa molto venerato nella Francia meridionale e in Spagna. Del primo impianto rimane solo la cupola, è stato fatto di recente un intervento conservativo e nella piazza sono stati rinvenuti importanti reperti archeologici. Anche la chiesa di Sant’Antioco fu ricostruita dai monaci vittorini sui resti di una chiesa paleocristiana, se ne riparlerà in seguito. La chiesa di San Giovanni di Sinis vicino a Cabras, sulla strada per Tharros, fu costruita nel sec. XI su una precedente chiesa bizantina del sec. V, in conci di arenaria provenienti dalle mura della città di Tharros. L’interno è a croce latina con tre navate con volta a botte, mentre al centro si trova la parte più antica su quattro colonne e copertura a cupola. Non si sa quali fossero i monaci, può darsi che si trattasse dei camaldolesi presenti nella vicina Bonarcado, dove si trova la chiesa di Santa Maria di Bonacattu con vicino il Santuario della Madonna di Bonacattu. La prima è una chiesa romanica del sec. XII, ampliata successivamente; la seconda è bizantina del VII sec., costruita su precedenti
strutture nuragiche e romane, rimaneggiata anch’essa nel XIII sec. Sempre nell’Oristanese, nei pressi di Simaxis, sorge la chiesa bizantina di San Teodoro, pianta a croce greca, copertura a botte, cupola centrale, recentemente restaurata Vicino a Siligo si trova la piccola Chiesa di Santa Maria di Bubalis, detta di Mesumundu. È una delle poche chiese bizantine, costruita nel VII sec. sopra un precedente edificio termale romano e poi proprietà dei monaci di Montecassino. Nei dintorni, sul Monte Santo, si trova la piccola Chiesa dedicata ai Santi Elia e Enoch costruita dai monaci Cassinesi invitati nel 1063 dal giudice Barisone che assegnò loro terreni e privilegi per il loro primo insediamento in Sardegna. Anche qui resti di un convento. Non lontano verso Cossoine, l’antica Chiesa di Santa Maria Iscalas, uno dei maggiori esempi dell’artebizantina nella Sardegna settentrionale, appartenuta poi ai camaldolesi. Ad Iglesias vi è pure la chiesetta di San Salvatore, di epoca tardo bizantina purtroppo abbandonata ed in rovina, mentre nel Sulcis vicino a Nuxis vi è la chiesa di Sant’Elia, tardo bizantina del sec. X-XI. Peraltro del periodo bizantino sono rimasti molti costumi ed usanze, a cominciare dai miliziani di Sant’Efisio.
L’arte romanica si diffuse in Europa dalla fine del XI sec. fino al XIII sec. quando subentrò l’arte gotica. In Sardegna le chiese romaniche sono numerose, spesso belle, e la loro maggior caratteristica è costituita dal contesto in cui si trovano, talvolta in piccoli paesi, talvolta nelle campagne, talvolta nelle città. Formano un ricco patrimonio, memoria di un periodo di alto rilievo che coincide in parte col periodo giudicale. In alcune sono conservate opere d’arte sacra di grande valore come i retabli (grandi dipinti) o le statue estofado de oro (statue di legnodorate e damaschinate) che verranno citate anche se di epoca posteriore. Alcune Chiese sono state rifatte o restaurate modificandole in stile gotico. Naturalmente vi è sempre una questione di proporzioni: chiese romaniche in Italia ed in altre nazioni europee ve ne sono di più grandi, belle e note. Non si possono fare paragoni. Delle chiese sarde la più grande, e tra le più antiche e belle, è la Basilica di San Gavino di Porto Torres, fatta costruire dal giudice Comita di Torres, iniziata nel 1030 da maestranze pisane, in conci di arenaria e calcare. Ha la particolarità di avere due absidi alle estremità, gli ingressi laterali mentre non ha una facciata, ha tre navate con 11 colonne di marmo e granito provenienti da TurrisLibisonis, il tetto è sostenuto da grosse travi di rovere con la copertura di piombo argentifero. Notevole la statua di San Gavino a cavallo, del sec. XVII. Sotto vi è una cripta con sarcofagi romani del III sec. I giudici di Torres favorirono gli insediamenti dei monaci benedettini che costruirono le chiese in stile romanico, quasi sempre parte di conventi. A Sassari e dintorni vi sono: Santa Maria di Betlem, costruita nel sec. XII dai benedettini, poi ripresa dai francescani conventuali nel secolo successivo; San Pietro in Silki, degli inizi del sec. XII, chiesa di un convento
di monache benedettine poi affidata ai minori francescani e rifatta in stile gotico a metà del sec. XVI. Si vedranno in seguito le numerose chiese del giudicato di Torres.
Nelle immagini: la chiesa paleocristiana di San Giovanni di Sinis, a Tharros.