Le città invisibili è quel genere di libro che rilascia qualcosa di nuovo ogni volta che lo leggo (un altro libro che rientra in questa categoria è ‘Hotel a zero stelle’ di Tommaso Pincio). Particolari che mi erano sfuggiti, passaggi che non avevo compreso, sfumature legate alla lettura del momento. Fortunatamente esistono questi libri che ti possono dare risposte diverse ogni volta, cambiando colore e forma. Oggetti narrativi stimolanti e carichi di creatività (a volte anche troppa da cogliere tutta in una sola lettura).
Il libro ha una struttura che predispone al libero approccio: cinquantacinque città (meravigliosi viaggi mentali) suddivise in undici categorie e organizzate in nove capitoli. l’introduzione ad ogni capitolo è caratterizzata da un dialogo tra Marco Polo (il narratore a cui Calvino si affida per raccontare questi luoghi immaginari) e Kublai Khan. Si può quindi procedere in diversi modi, scegliendo di seguire un raggruppamento prima di un altro, la divisione in capitoli o in categorie.
Col passare del tempo, nei racconti di Marco Polo le parole andarono sostituendosi agli oggetti e ai gesti: dapprima esclamazioni, nomi isolati, secchi verbi, poi giri di frase, discorsi ramificati e frondosi, metafore e traslati. Lo straniero aveva imparato a parlare la lingua dell’imperatore, o l’imperatore a capire la lingua dello straniero.
Le città invisibili è un gioco, nell’opera e nel suo linguaggio, che può rinvigorire la mia fantasia, a volte oppressa proprio da quelle città che oggi sono caratterizzate dalla mancanza di fantasia e creatività.
Penso d’aver scritto qualcosa come un ultimo poema d’amore alle città, nel momento in cui diventa sempre più difficile viverle come città. ( Calvino ad una conferenza alla Columbia University di New York, Marzo 1983)
Molto interessante la postfazione di Pasolini, che traccia un sincero e approfondito profilo dell’autore e di quest’opera, che descrive, come spesso accade nei lavori di Calvino, il rapporto tra realtà e mondo delle idee.
La prima osservazione che mi viene da fare è che questo suo libro, le città invisibili, è il libro di un ragazzo. Solo un ragazzo può avere da una parte un umore così radioso, così cristallino, così disposto a fare cose belle, resistenti, rallegranti; e solo un ragazzo, d’altra parte, può avere tanta pazienza - da artigiano che vuol a tutti i costi finire e rifinire il suo lavoro. Non i vecchi, i ragazzi, sono pazienti. (P.P. Pasolini)
La città che scelgo (in realtà, lei ha scelto me) per questa lettura è Zora:
Al di là di sei fiumi e tre catene di montagne sorge Zora, città che chi l’ha vista un a volta non può più dimenticare. Ma non perché essa lasci come altre città memorabili un’immagine fuor dal comune nei ricordi. Zora ha la proprietà di restare nella memoria punto per punto, nella successione delle vie, e delle case lungo le vie, e delle porte e delle finestre nelle case, pur non mostrando in esse bellezze o rarità particolari.
L’uomo che sa a memoria com’è fatta Zora, la notte quando non può dormire immagina di camminare per le sue vie e ricorda l’ordine in cui si succedono l’orologio di rame, la tenda a strisce del barbiere, lo zampillo dai nove schizzi, la torre di vetro dell’austronomo, l’edicola del venditore di cocomeri, la statua dell’eremita e del leone, il bagno turco, il caffè all’angolo, la traversa che va al porto.