Se oltre uno stretto c’è il mare esterno….
di Antonio Usai
Il primo, invece, a citare le colonne d’Ercole, se non si crede al racconto di Solone su Atlantide, è stato Pindaro (518-438 a.C.).
Ma viene spontaneo, però, chiedersi: come mai le colonne d’Ercole sono state piantate proprio lì tra la Tunisia e le isole Kerkenna?
La risposta si trova nel fatto che i Sami dicono di aver raggiunto Tartesso oltrepassando uno stretto, mentre i focesi non lo dicono.
Quindi in Europa, tra l’Iberia e Tartesso, per i greci non c’è nessuno stretto, mentre in Libia, formato dalla Tunisia e dalle isole Kerkenna, ce n’è uno che i cartaginesi non permettono loro di avvicinarsi. E dato che i Sami sono giunti a Tartesso oltrepassando uno stretto nel quale sono arrivati in quanto, salpati dall’isola di Platea, veleggiavano fuori rotta a causa del vento di Levante (e siccome il vento non cessava di spirare, hanno, appunto, oltrepassato quello stretto giungendo, come guidati da un dio, a Tartesso), quello formato dalla Tunisia e dalle isole Kerkenna, per i greci, è lo stretto che i Sami hanno oltrepassato per giungere a Tartesso.
E così, dunque, nascono le colonne d’Ercole.
Ma il blocco dalle Sirti da parte dei cartaginesi fa capire che i greci non hanno mai visto le colonne d’Ercole e questo spiega il perché, essi, non sapessero che Cartagine si trovava oltre le colonne d’Ercole (vedi p.s. a fine scritto), come spiega, anche, perché i greci, quelli fino, almeno, a quasi tutto il IV a.C. ma con l’eccezione di Aristotele, parlando delle colonne d’Ercole, le abbiano descritte senza che ci sia alcun riscontro; vedi Euctemone oppure Damaste che, secondo Avieno, diceva che l’acqua che passava fra le Colonne era di appena sette stadi (neanche 1 km e 250 metri) o Scilace di Carianda che, come diceva sempre Avieno, affermava che il mare che scorreva fra le colonne era largo quanto quello del Bosforo (anche questo neanche 1 km e 250 metri).
Continuiamo.
Un altro personaggio che avrebbe potuto vedere lo stretto di Gibilterra e quindi chiamarlo colonne d’Ercole è Pitea di Massalia (IV a.C.), che avrebbe visitato l’Europa settentrionale dalla Britannia fino ad arrivare a Tule e ad altre regioni.
Ma da ciò che ci è pervenuto su di lui, si capisce che, sicuramente, il massaliotta non ha mai attraversato lo stretto di Gibilterra; anche perché, guardando il periodo in cui si sarebbe svolto il suo viaggio (IV a.C.), difficilmente lo avrebbe potuto fare in quanto è improbabile che i cartaginesi avrebbero fatto transitare un greco nello stretto di Gibilterra (rimasto sotto il controllo dei cartaginesi fino al termine della seconda guerra punica, nel 202 a.C.).
Strabone dice:« Costui (Pitea) ha tratto in inganno molte persone, dicendo di aver percorso a piedi tutta la Britannia…ha inoltre riportato racconti circa Tule e circa quelle regioni nelle quali non esiste vera e propria terra….Questi sono i racconti di Pitea, il quale, dopo essere ritornato da quei luoghi, dice anche di aver visitato tutta la parte dell’Europa che si affaccia sull’Oceano, da Gades al Tanai» (quest’ultimo divideva, secondo alcuni degli antichi, l’Europa dall’Asia).
Se il massaliotta avesse attraversato lo stretto di Gibilterra avrebbe visitato, come primi luoghi, da Gades in su.
Mentre, come si può vedere, Pitea quei luoghi li ha visitati, invece, solamente dopo essere rientrato dal nord Europa.
Inoltre nessuno degli antichi che parlano di lui (tra cui Dicearco, Eratostene, Polibio e Strabone) ha detto che il massaliotta, quando ha intrapreso quel viaggio, ha attraversato le colonne d’Ercole.
Ma, se ammettiamo che Pitea abbia attraversato lo stretto di Gibilterra, bisognerebbe, allora, tener conto assolutamente di un dato: come mai per Dicearco, suo contemporaneo e morto vent’anni dopo di lui e per Apollonio Rodio, le colonne d’Ercole, come abbiamo visto più su, sono ancora nelle Kerkenna?
Quindi mettiamo da parte anche Pitea.
Ma dopo Pitea non c’è nessun altro personaggio da citare se non colui che ha spostato le colonne d’Ercole che, come ho detto più su, può averle spostate, solamente, il greco che ha visto con i propri occhi lo stretto oltre il quale c’è il vero mare esterno.
E il primo dei greci, da quando sono state piantate le colonne d’Ercole, ad aver visto coi propri occhi lo stretto oltre il quale c’è il mare esterno è stato Polibio. Gli è stato possibile perché riuscì, a Roma, a stringere amicizia con Scipione Emiliano che seguì nella terza guerra punica, assistendo anche alla distruzione di Cartagine. Polibio era un ipparco, cioè il capo della cavalleria della Lega Achea, la quale non si schierò né con la Macedonia e né con Roma. Fu coinvolto nella repressione contro i sostenitori del re macedone Perseo e di quelli che non si erano schierati apertamente con Roma e per questo fu portato prigioniero in quest’ultima per essere processato. A Roma, però, come ho detto, strinse amicizia con Scipione Emiliano e questa sua amicizia con il generale romano gli consentì di compiere lunghi viaggi: Alessandria, Iberia, Gallia, Africa e lungo la costa atlantica di quest’ultima.
E’ stato Polibio, dunque, ad aver spostato le colonne d’Ercole.
Ma, per Polibio di Megalopoli, le colonne d’Ercole sono sempre state a Gibilterra e lo sono sempre state perché lui non sapeva che si trovavano nelle Kerkenna.
Lo si capisce perché quando critica Dicearco, lo critica non per la posizione delle colonne ma per la distanza; quella distanza di 10.000 stadi dal Peloponneso alle colonne d’Ercole che a lui, Polibio, risulta, invece, essere di 22.500. Ma mentre il percorso di quella distanza di 10.000 stadi, come ho detto più su, era Peloponneso – Creta – Cirenaica – Grande Sirte – Piccola Sirte e Colonne d’Ercole (Kerkenna) = 10.000 stadi, per Polibio era, sintetizzando, Capo Malea – Stretto di Messina – Narbona e Stretto di Gibilterra ovvero le Colonne d’Ercole per convinzione = 22.500 stadi.
Polibio, come ho detto più su, ha criticato quella distanza di 10.000 stadi di Dicearco e lo ha fatto perché convinto che anche per lo storico di Messina le colonne fossero a Gibilterra e che, quindi, il percorso da fare per arrivarci fosse il suo stesso, quando lo storico di Messina afferma che dal Peloponneso allo stretto di Messina c’è una distanza di 3000 stadi, lui, Polibio, pensa che quei 3000 stadi facciano parte di quella distanza di 10.000 e che, quindi, sottraendoli da questi ultimi ne conseguirebbe una rimanenza di 7000 per coprire la distanza dallo stretto di Messina alle colonne d’Ercole (per convinzione) e questo, per Polibio, non era accettabile.
Strabone, in quanto è lui che ne parla, dice:« Quando Dicearco afferma che dal Peloponneso alle Colonne d’Eracle c’è una distanza di diecimila stadi e che maggiore è quella tra il Peloponneso stesso e l’ansa più estrema del Mar Adriatico (distanza, quest’ultima, con cui è d’accordo lo stesso Polibio), così come quando, della distanza fino alle Colonne, fa ammontare a tremila stadi il tratto fino allo Stretto di Sicilia, cosicché il rimanente tratto dallo Stretto alle Colonne risulta essere settemila, Polibio dice di non curarsi se il calcolo dei tremila stadi sia stato ricavato correttamente o meno; ma dell’altra distanza, quella dei settemila stadi, sostiene che non è comunque accettabile».
Anche per quanto riguarda Eratostene, Polibio è convinto che, per il Bibliotecario, le colonne d’Ercole siano a Gibilterra e un esempio sono proprio quelle distanze da Massalia e dai Pirenei fino alle colonne d’Eracle che lo stesso Polibio critica.
Ma Polibio non ha avuto bisogno di spostare le colonne d’Ercole e questo “grazie” a quella convinzione. Per lui, infatti, è un fatto normale che siano lì a Gibilterra e ha, proprio davanti a sé, la prova di quella convinzione: lì c’è uno stretto oltre il quale c’è il mare esterno e quindi se oltre uno stretto c’è il mare esterno, quello è lo stretto delle colonne d’Ercole.
Infatti più che Polibio, ad aver spostato le colonne d’Ercole è stata quella convinzione che è perdurata fino ai giorni nostri e questo spiega, anche, il fatto che nessuno degli antichi e non solo, abbia mai parlato di uno spostamento delle colonne d’Ercole.
Torniamo, ora, nuovamente al Timeo.
Il fatto che lo stretto di cui parla il sacerdote sia quello di Gibilterra, scagiona Platone ma anche Solone, dall’accusa di aver inventato la storia di Atlantide. Infatti, se fosse stata un’invenzione di uno dei due, l’autore sarebbe stato, senza ombra di dubbio, l’unico fra i greci a conoscenza dell’esistenza dello stretto di Gibilterra e anche come unico ingresso per il mare interno. E questo rende anche più attendibile ciò che dico nel mio scritto “Crizia: l’incompiuta di Platone?” e cioè che, come dice Plutarco in “Vite parallele”: «Platone nell’ambizioso tentativo di trattare con ampiezza e abbellimenti l’argomento dell’Atlantide…cominciò l’opera… Sennonché, avendo cominciato tardi a scrivere, terminò prima la vita che l’opera», Platone non ha terminato il racconto su Atlantide, cioè il “Crizia”, in quanto è morto. Inoltre la morte, come causa dell’incompiuta del “Crizia”, rende possibile, come dico sempre nel mio scritto, che Aristotele, il quale affermava che l’ultima opera di Platone era “Le Leggi”, riconoscesse, appunto come ultima opera del suo maestro, quest’ultimo e non il “Crizia”, perché non considerava, quest’ultimo, un’opera, in quanto incompiuto, motivato anche dal fatto che lui, Aristotele, riteneva il racconto di Atlantide frutto della fantasia di Platone.
Ma, Atlantide, è realmente esistita?
Secondo il mio punto di vista sì ed esiste ancora.
Infatti quella che si è inabissata, a mio avviso, è quell’isola formata dalle tre cinte di mare e due di terra dove risiedeva il re più importante.
E l’unica isola che ha le caratteristiche per poter essere stata Atlantide (ma anche questo non sono stato il primo a dirlo), è la Groenlandia.
La Groenlandia si trova in un mare che è circondato da un continente (le Americhe).
Sempre da essa è possibile ai naviganti passare alle altre isole (tra cui le Isole della Regina Elisabetta e l’isola di Baffin) e, da queste, all’intero continente che vi si trova di fronte (le Americhe, appunto).
Le sue dimensioni calzano a pennello con quelle di Atlantide. La sua superficie, infatti, è di circa 2.170.000 km quadrati e se si dovessero sommare le superfici delle parti dell’isola suddivise tra i dieci fratelli sovrani che, per primi, hanno governato Atlantide, delle quali parti, la più grande e la più bella era quella spettata al primo nato, Atlante, in cui si trovava quella pianura di tremila stadi per duemila (cioè circa 190 mila km quadrati) che circondava la città, più l’isola formata dalle cinte di mare e di terra dove si trovava la dimora del re più importante, spettata, sempre, ad Atlante e le cinte stesse e, inoltre, le parti dell’isola non sfruttabili, la coprirebbero, sicuramente, esattamente tutta.
Sempre la Groenlandia, inoltre, ha l’estrema parte meridionale che termina con Capo Farvel in direzione dello stretto di Gibilterra ed è quella parte che, a mio avviso, è spettata, come dice il Crizia, al gemello di Atlante di nome Eumelo:« il fratello gemello nato dopo di lui, che aveva ricevuto in sorte l’estremità dell’isola verso le Colonne di Eracle...».
Per quanto riguarda, invece, i metalli e la pianura, non si può parlarne in quanto l’84% della Groenlandia è, ora, ricoperta dai ghiacci.
Le traduzioni di un termine che si trova in un passo del Timeo, però, sembrerebbero escludere la Groenlandia. Infatti nel passo in questione c’è scritto che Atlantide si trovava “prò tou stomatos ” che è stato così tradotto: “davanti allo stretto” o “a quella imboccatura” e “innanzi a quella bocca”. Quindi, secondo queste traduzioni, Atlantide era di fronte allo stretto di Gibilterra, mentre la Groenlandia non lo è. Ma il termine “prò”, oltre a “davanti” e ad “innanzi”, si traduce anche “avanti”. Ma mentre “davanti” e “innanzi” per essere definiti come tali devono, necessariamente, essere visibili, quindi “di fronte”, “al cospetto” etc., “avanti” non lo necessita. Un esempio: l’isola di Madeira, le isole Canarie , le isole Azzorre e le Americhe sono avanti allo stretto di Gibilterra, non davanti o innanzi. Infatti quei luoghi non sono visibili dallo stretto (le Canarie e Madeira, che sono i luoghi più vicini allo stretto, distano, dallo stesso, le prime quasi 1000 km. e la seconda più di mille). Quindi la Groenlandia non è da escludere in quanto, essa, è avanti allo stretto di Gibilterra.
Infine c’è anche un altro dato che depone a favore della Groenlandia = Atlantide ed è che sfogliando la storia geologica di quell’isola che fa parte del Regno Unito di Danimarca e che in danese significa Terra Verde, si scopre che la sua parte centrale è incurvata, formando, così, un avvallamento che raggiunge la profondità di 360 metri sotto il livello del mare.
Causa il peso del ghiaccio come dicono i geologi? Oppure…
Grazie, ancora una volta, per l’attenzione prestatami.
P.S.
A conferma che i greci non sapevano che Cartagine si trovasse oltre le colonne d’Ercole, c’è un episodio riportato dallo storico Sallustio (I a.C.) nel suo “La guerra Giugurtina”. L’episodio ha come protagonisti Cartaginesi e Cirenei che, dopo tante battaglie, decisero di stabilire quale sarebbe stato, nella Grande Sirte, il confine dei rispettivi imperi. Il cap. 79 de “La guerra Giugurtina” recita:« Al tempo in cui i Cartaginesi estendevano il loro dominio su gran parte dell’Africa, anche i Cirenesi erano ricchi e potenti; sabbioso e uniforme era il territorio intermedio (la Grande Sirte): né fiume né monte vi era che segnasse i loro confini. Questo fatto li indusse a gravi e incessanti lotte reciproche…durante una tregua stabiliscono un accordo secondo il quale, in un giorno determinato, degli ambasciatori partissero ciascuno dalla propria città (Cartagine e Cirene): il punto (della Grande Sirte) in cui si fossero incontrati sarebbe stato considerato il confine comune di entrambi i popoli. Pertanto due fratelli di nome Fileni, inviati da Cartagine, si affrettarono a compiere il cammino; quelli di Cirene procedettero più lentamente… I Cirenesi, resisi conto di essere alquanto più indietro…accusano i Cartaginesi di essere partiti dalla patria prima del tempo, rompono i patti,… Poiché i Cartaginesi chiedevano altri patti, purché giusti, i Greci lasciano ai Cartaginesi la scelta: o essi, in quel luogo che pretendevano come confine al popolo loro, si lasciassero seppellire vivi o, alle stesse condizioni, potessero essi stessi avanzare fin dove volessero. I Fileni, accettato il patto, sacrificarono sé e la loro vita alla patria: così furono sepolti vivi. In quel luogo, i Cartaginesi dedicarono are ai fratelli Fileni».
Se i Cartaginesi non fossero stati certi che i Greci non sapevano dove si trovasse Cartagine, non avrebbero mai accettato o proposto l’accordo suddetto, per un motivo evidente (la distanza di Cartagine dalla Grande Sirte rispetto a quella di Cirene). I fratelli Fileni sono partiti, certamente, da Leptis Magna, la città che, sicuramente, i greci pensavano, e i Cartaginesi glielo facevano credere, fosse Cartagine.
Antonio Usai
Bibliografia: Platone “Timeo” Bur, RCS Libri S.p.A. Milano 2003— “Timeo” e “Crizia” Platone/Le Opere Newton & Compton editori s.r.l. Roma 2005--- “Timeo” e “Crizia” /Platone Opere complete 6 Editori Laterza Roma 2003---le Colonne d’Ercole un’inchiesta di Sergio Frau 2002 Nur Neon s.r.l. Roma --- Erodoto “Storie” a cura di Luigi Annibaletto Arnoldo Mondatori editore S.P.A. Milano 2009 I° libro par.163, II° libro par. 32, 33, III° libro par. 115 IV° libro par.42, 43, 45, par. dal 150° al 159°--- Erodoto Storie volume secondo libro IV° par. 42 Bur Rizzoli editore Milano 1984--- Erodoto Le Storie introd. e comm. di Aldo Corcella vol. IV° libro IV° par. 42 Fondazione Lorenzo Valla A. Mondadori editore Vicenza 1993 --- “Sulle coste marine” di Ruffo Festo Avieno e “Periplo delle terre libiche” da “Antichi viaggi per mare” a cura di Federica Cordano edizioni Studio Tesi Pordenone 1992--- Polibio “Storie” a cura di Roberto Nicolai 1998 Newton & Compton editori s.r.l. Roma XXXIV libro par. 5/6/7--- “Trattato Sul cosmo per Alessandro” di Giovanni Reale/Abraham P.Bos ed. Vita e Pensiero Milano 1995--- Strabon “Geographie” a cura di Germane Aujac ed. Les Belles Lettres Paris 1969 livre I/ 4,5 livre II/ 1,1/1,21/1,40/1,41/4,2/4,4/4,5/4,8---Apollonio Rodio “Le Argonautiche” introduzione e commento di Guido Paduano e Massimo Fusillo traduzione di Guido Paduano edit. RCS Rizzoli Libri S.p.A Milano 1986 dalla riga 1225 alla riga 1584 --- Omero Odissea Fondazione Lorenzo Valla 1981 Mondadori 2008 Cles (Trento)---Omero Iliade casa editrice Einaudi Torino 2009---Esiodo Le Opere Teogonia a cura di Aristide Colonna Tea 1993 Utet Torino--- Olimpiche Pindaro editore Garzanti Milano 1981---Plutarco “Vite parallele 1” Solone par.32,1 Utet S.p.A Torino 2005--- Dizionario Enciclopedico Italiano Treccani Roma 1955---Enciclopedia Zanichelli editore Bologna 1992---
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