“I vecchi e le comete sono sempre stati venerati per una stessa ragione: hanno la barba lunga e la pretesa di predire gli avvenimenti”.
Johnatan Swift, Opere
Gli antichi avevano idee molto confuse sulle comete. Non che le conoscenze sugli altri corpi celesti fossero perfette, ma per quanto riguarda il Sole, la Luna e i pianeti erano riusciti, dopo millenni di osservazioni, a mettere ordine nel disordine dei vari corpi, arrivando, a definire un sistema eliocentrico, con un Sole come centro di moti di tutti gli oggetti celesti. Le comete, invece, col loro improvviso apparire e scomparire nei raggi mattutini del Sole o affievolendosi a poco a poco nel corso del tempo, con le loro strane chiame e lunghe code variabili di notte in notte per forma, lunghezza e splendore, venivano completamente confuse. Gli antichi di fronte a tali oggetti erano disorientati, tanto che non erano riusciti a capire se si trattava di oggetti al di là della nostra atmosfera, oppure fenomeni temporanei legati alla nostra atmosfera.
Tali conoscenze sbagliate avevano portato a immaginare le comete come delle portatrici di caratteristiche e di poteri che non avevano. Con l’attribuzione di influenze astrologiche, l’allontanamento dal vero significato di “cometa” fu sicuramente significativo e contribuì non poco alla cattiva conoscenza della natura di tali oggetti e alla possibilità di poterli scoprire.
Aristotele, come la maggior parte dei filosofi del periodo greco, aveva dato una spiegazione del tutto sbagliata, anche se scientificamente corretta. Le comete appartenevano al mondo sublunare e avevano anche influenze di natura meteorologica. L’attribuzione di influssi astrologici alle comete comportò un’errata interpretazione del fenomeno. Gli antichi in questo modo si allontanarono dal discorso scientifico. Alle comete si iniziò ad attribuire caratteristiche che non avevano nulla a che fare con la loro natura e tale visione venne accolta da tutti. Purtroppo, non fu solo recepita ma ulteriormente trasformata. Le comete divennero segno di buono e, successivamente, di cattivo presagio per una serie di vari motivi:
- per una tradizione orale imprecisa, tramandata dai vecchi (che avevano visto una o più comete) ai giovani (che non ne avevano vista alcuna);
- per l’immaginazione che faceva vedere nelle comete aspetti e particolari che non esistevano, come code lunghe dalla forma di spade o pugnali;
- per il ricordo che col tempo ingigantiva sempre di più ciò che si era visto o creduto di vedere.
Lo stesso risultato l’ho avuto io ascoltando i miei nonni raccontare di una cometa dalla lunga coda che copriva l’intero orizzonte al tramonto del Sole. Una cometa di tali dimensioni non si è mai vista nell’ultimo secolo.
La Grande Cometa, 1861.
I calcoli di Edmund Halley e di Isaac Newton nel Seicento diedero sicuramente un assestamento decisivo al concetto di cometa, ma, nonostante le fondamentali scoperte, come quella della loro appartenenza al mondo translunare, queste non furono accettate da tutti. La maggior parte delle persone rifiutava non solo le idee ma negava persino le scoperte. C’era chi affermava che le macchie solari erano non erano sul Sole ma nel cannocchiale, dato che il Sole non poteva essere corruttibile; c’era chi metteva l’occhio al cannocchiale per osservare i satelliti galileiani di Giove e a priori affermava che i puntini luminosi erano dei difetti delle lenti perché solo la Terra poteva essere centro del moto di tutti i corpi, non il Sole.
Parigini che osservano una cometa. Honorè Daumier (1808-1897).
Secondo la religione dell’epoca era Dio che poteva provocare disgrazie o anche soltanto annunciarle, non certo le comete da sole. Era Dio che le creava e che le faceva apparire quando voleva castigare o chiamare alla penitenza gli uomini, irritato dai loro peccati.
Newton fu in grado, con un metodo geometrico, di ricavare il tratto osservabile di un’orbita cometaria e lui stesso applicò tali risultati alla cometa del 1680, che fu così la prima cometa per la quale l’orbita venne calcolata applicando la Legge di Gravitazione Universale. Il tratto ricavato geometricamente riusciva a spiegare molto bene quello osservato. Le comete da questo momento in poi divennero oggetti con orbite ellittiche, paraboliche o iperboliche. Fu così che Newton e Halley furono in grado di intuire il fatto che se per due comete osservate in epoche differenti gli elementi orbitali che caratterizzano ogni singola orbita cometaria fossero stati gli stessi, allora non si sarebbe trattato di due comete distinte ma della stessa apparsa due volte. La sua orbita doveva essere di tipo ellittico e dalla differenza tra le due dati dei passaggi al perielio si poteva ricavare immediatamente il periodo del suo passaggio. Utilizzando successivamente la II legge di Keplero (il raggio vettore che unisce il Sole col pianeta descrive aree uguali in tempi uguali) si potevano ottenere la distanza media dal Sole, la forma e l’estensione dell’intera ellisse. Metodo apparentemente facile, ma in pratica terribilmente difficile. Mancavano, infatti, misure e osservazioni precise per la quasi totalità delle comete osservate; i calcoli relativi ad ogni cometa erano lunghi e complessi dato che a quel tempo non c’erano calcolatori o computer in grado di semplificare il problema. Ma la posta in gioco era molto alta. Dimostrare il loro ritorno significava dimostrare che alcune facevano parte del Sistema Solare; che la teoria di Newton della Legge di Gravitazione Universale era corretta e applicabile ad altri corpi che non fossero i pianeti, per i quali era già stata verificata. Si poteva in questo modo prevedere il moto di altri corpi visibili solo per un piccolo tratto dell’orbita che, tornando al momento previsto, avrebbero confermato la validità di tutto il percorso invisibile, accessibile solo al calcolo matematico. Anche se si fosse trovata una sola cometa di questo genere, sarebbe stata una scoperta straordinaria. E fu E. Halley che riuscì a compiere tale scoperta.
Il 23 agosto 1682 fu vista una cometa nella Francia meridionale. Halley ne calcolò gli elementi orbitali con l’approssimazione parabolica utilizzata da Newton con la cometa del 1680. Calcolò anche gli elementi orbitali di qualche altra cometa e li confrontò. Iniziò così a sospettare che la cometa del 1682 fosse già apparsa nel nostro cielo ma per confermare tale ipotesi erano necessarie altre osservazioni. Nel 1705 Halley presentò alla Royal Society di Londra la sua Astronomiae Cometicae Synopsis che venne poi pubblicata nelle Philosophical Transactions. In questo trattato Newton mostrava al mondo i suoi calcoli su 24 comete apparse tra il 1337 e il 1689 e per le quali era riuscito a raccogliere un buon numero di osservazioni abbastanza precise. Il suo sospetto di una decina di anni prima, ossia che la cometa del 1682 doveva essere già apparsa in precedenza era ben fondato.
Dato che i tempi astronomici sono estremamente lunghi rispetto alla vita umana occorre osservare, registrare e attendere per osservare ancora. Tutto questo deve essere fatto da intere generazioni di astronomi e di conseguenza il lavoro di un astronomo non è mai isolato nel tempo, ma come diceva Newton, si vive un po’ sulle spalle dei giganti che ci hanno preceduto.
Halley non fu in grado di osservarne il ritorno della cometa del 1607 e del 1682 ma ne predisse il suo ritorno verso la fine del 1758 o all’inizio del 1759.
Se la cometa fosse tornata anche le altre sarebbero dovute tornare. E la cometa tornò. Non la vide un astronomo ma Johann Georg Palitzsch, un agricoltore appassionato di astronomia che viveva in un paese della Sassonia. Riemerse dalle tenebre come un pallido punto luminoso quando, nella notte di Natale del 1758, puntò il suo telescopio di otto piedi verso il cielo. Palitzsch sapeva che si stava aspettando il ritorno della cometa di Halley, ma forse non avrebbe immaginato che sarebbe stato proprio lui il primo a vederla.
E’ bello pensare che tale ritorno sia stato osservato non da un astronomo ma un agricoltore appassionato di astronomia, proprio da chi il cielo in passato lo aveva osservato con occhi diversi.
Sabrina
Scritto in occasione del Carnevale della Fisica n 41 che verrà pubblicato a fine mese su Il Poliedrico di Umberto Genovese: http://ilpoliedrico.com/