Un buon punto di partenza, ad esempio, può essere la semplificazione dell'odiatissima burocrazia. Un recente studio di Confartigianato ha messo nero su bianco una realtà allucinante: tra il 2008 e il 2012 sono state emanate 189 nuove leggi che hanno complicato ancor di più la vita delle imprese, costringendole a perdere 285 ore l'anno (circa 36 giorni) per rincorrere le varie scadenze imposte dal Fisco (contro una media Ocse di 186 ore, il 53,2% in meno), causando una perdita di produttività pari a circa 3 miliardi di euro l'anno. Un macigno assurdo da sopportare, se si vuole competere in campo internazionale o se si vuole anche solo sopravvivere alla tempesta della crisi economica. Di questo sembra che il governo se ne sia reso conto, cosa che, però, non lo ha spinto ad agire con coraggio, visto che il decreto fiscale, appena varato, contiene solo qualche timida semplificazione.
Tant'è vero, infatti, che l'altro oggetto dell'odio degli italiani, le tasse, è stato trattato solo in termini di aumenti, che stanno mettendo a dura prova la resistenza di lavoratori e pensionati e strangolando le aziende, tanto che si prevede, per quest'anno, un aumento della pressione fiscale pari al 45%, con il mercato interno in calo del 2,7%, in questi primi mesi del 2012. Le conseguenze sono catastrofiche: la CGIA di Mestre ha certificato che nel 2011 sono scomparse oltre 11 mila imprese, messe in ginocchio dalla crisi e dalla pressione fiscale asfissiante e meno aziende = meno posti di lavoro = meno entrate fiscali per lo Stato = default assicurato. Per far fronte agli impegni presi con l'UE e per tappare il buco del nostro mostruoso debito pubblico (ormai vicino ai 1.900 miliardi di euro), aumentare le tasse è la via più facile e semplice, ma anche la più "suicida". Dove trovare allora i soldi per onorare impegni e pensare alla crescita? Se pensiamo che gli sprechi della Pubblica Amministrazione (dai famigerati costi della politica, agli enti inutili) ammontano a oltre 50 miliardi di euro l'anno, che l'evasione fiscale viaggia intorno ai 120 miliardi l'anno, che la corruzione consuma più di 60 miliardi l'anno, che la criminalità organizzata parassita alla società civile e all'economia legale circa 150 miliardi l'anno, ecco che la risposta è semplice: basta contrastare questi fenomeni, che potremmo avere tutti i soldi necessari, senza aumenti di tasse.
Per quanto riguarda la carenza delle nostre infrastrutture e di ogni forma di innovazione, è come sfondare una porta aperta: abbiamo parlato tante volte dei vantaggi che la banda larga apporterebbe alla nostra economia; un piano energetico nazionale, basato sulle energie rinnovabili, potrebbe metterci al riparo dalle bizze del prezzo del petrolio e, allo stesso tempo, creare posti di lavoro; un piano di vere liberalizzazioni (altro che taxi e farmacie) nel trasporto ferroviario e in quello aereo, nelle frequenze tv, negli ordini professionali creerebbe un mercato più concorrenziale. Tutti passi necessari, per creare le condizioni adeguate per una buona riforma del lavoro, altrimenti priva di senso.