Le cose nella loro identità

Da Cinzialuigiacavallaro

Un albero dà gloria a Dio in primo luogo con l’essere un albero. Perché essere ciò che Dio intende si sia significa imitare un’idea che è in Dio e che non è distinta dall’essenza di Dio; quindi un albero, con l’essere un albero, imita Dio.

Più è simile a se stesso, più l’albero è simile a Dio. Se cercasse di assomigliare a qualcosa che Dio non ha mai inteso che fosse, diventerebbe meno simile a Dio e quindi gli renderebbe minor gloria.

Non esistono due alberi uguali. E la loro individualità non è imperfezione. Al contrario: la perfezione di ogni cosa creata non è soltanto nella sua conformità ad un tipo astratto, ma nella sua identità individuale con se stessa. Questo particolare albero darà gloria a Dio estendendo le sue radici nella terra e levando i suoi rami nell’aria e nella luce come nessun altro albero prima o poi ha fatto o farà.

Le forme e i caratteri individuali degli esseri che vivono e si sviluppano, delle cose inanimate, degli animali e dei fiori e di tutta la natura, costituiscono la loro santità agli occhi di Dio.

La loro inviolabile identità è la loro santità.

La particolare rozza bellezza di questo puledro in questo giorno di maggio su questo questo campo e sotto queste nubi è una santità consacrata a Dio dalla sua stessa Arte, e proclama la gloria di Dio.

I fiori viola del glicine fuori da questa casa sono santi. I piccoli fiori gialli che nessuno nota sul bordo di questa strada sono santi che fissano il volto di Dio.

Questa foglia ha un suo tessuto, una sua venatura ed una sua forma che sono santi, e il branzino e la trota che si nascondono nelle profondità del fiume sono canonizzati dalla loro bellezza e dalla loro forza.

Ma il grande monte brullo, con tutti i suoi avvallamenti, è un altro dei santi di Dio. Non vi è altro monte che gli sia simile. E’ solo nelle sue caratteristiche;  null’altro al mondo imitò od imiterà Dio nella stesso modo. Ed in ciò consiste la sua santità.

Ma che dire di te? Che dire di me?

A differenza degli animali e degli alberi, non basta per noi essere ciò che la nostra natura presuppone. Non basta per noi essere individui umani. Per noi, santità è qualcosa di più che umanità. Se non siamo altro che uomini, se non siamo altro che il nostro io naturale, non saremo santi, non potremo offrire a Dio l’adorazione della nostra imitazione, che è santità.

Per me la santità consiste nell’essere me stesso e per te la santità consiste nell’essere te stesso e, in ultima analisi, la tua santità non sarà mai la mia e la mia non sarà mai la tua, salvo nella comunione di carità e grazia.

Per me essere santo significa essere me stesso. Quindi il problema della santità e della salvezza è in pratica il problema di trovare che sono io e di scoprire il mio vero essere.

Alberi ed animali non hanno problemi. Dio li ha fatti quali sono senza consultarli, ed esse sono perfettamente soddisfatti.

Per noi è diverso. Dio ci lascia liberi di essere ciò che preferiamo. Noi possiamo essere noi stesso, o non esserlo, a nostro piacere. Ma il problema è questo: poiché Dio solo possiede il segreto della mia identità, Egli solo può rendermi chi sono, o meglio, Egli solo può farmi quale sarò quando infine comincerò pienamente ad essere.

I semi che vengono gettati ogni momento nella mia libertà, per volere di Dio, sono i semi della mia propria identità, della mia propria realtà, della mia propria felicità, della mia propria santità.

Rifiutarli significa rifiutare tutto, significa rifiutare la mia stessa esistenza ed essenza, la mia identità, il mio vero io.

Non accettare, non amare e non adempiere la volontà di Dio significa rifiutare la pienezza della mia esistenza.

E se non divento ciò che dovrei essere, ma rimango sempre ciò che non sono, passerò l’eternità a contraddire me stesso,  perché sarò contemporaneamente qualcosa e nulla, una vita che vuol vivere ed è morta, una morte che vuole essere morta e non può finir di morire perché ancora deve esistere.

Dire che sono nato nel peccato è dire che sono venuto al mondo con un falso io. Sono entrato nell’esistenza sotto un segno di contraddizione, essendo qualcuno che non dovevo essere.

Per dire la medesima cosa senza paradosso: fintanto che non altro che ciò che è nato da mia madre, sono tanto lungi dall’essere che dovrei essere, che potrei benissimo non esistere affatto. E in realtà sarebbe meglio per me non essere nato.

Ognuno di noi è messo in ombra da una persona illusoria: un falso io.

Questo è l’uomo che io voglio essere, ma che non può esistere, perché Dio nulla sa di lui. Ed essere ignorati da Dio è una privazione troppo grande.

Il mio falso e particolare io è quello che vuol vivere fuori dal raggio della volontà di Dio e dell’amor di Dio ― fuori dalla realtà e fuori dalla vita. E questo io non può essere che un’illusione.

Riconoscere le illusioni non è il nostro forte, specie quelle illusioni che abbiamo su di noi, quelle che sono nate con il peccato e nel peccato affondano le loro radici. Per quasi tutti coloro che sono al mondo non vi è realtà soggettiva più grande di questo loro falso io, che non può esistere. Una vita dedicata al culto di questa ombra è ciò che si chiama una vita di peccato.

Ogni peccato parte dal presupposto che il mio falso io, l’io che esiste solo nei miei desideri egocentrici, sia la realtà fondamentale della vita, cui si ricollega ogni altra cosa nell’universo. Così io consumo la mia vita nel tentativo di accumulare piaceri ed esperienze, potere e onore, sapere e amore, di rivestire questo falso io e fare della sua nullità qualcosa di obiettivamente reale.

Ma non vi è sostanza nella cose che ho raccolto intorno a me.  Sono tutte destinate per la loro stessa contingenza ad essere distrutte, di me resteranno soltanto la mia nudità, la mia nullità, il mio vuoto, a dirmi che io sono una cosa sbagliata.

Il segreto della mia identità si nasconde nell’amore e nella misericordia di Dio.

Quindi la mia esistenza, la mia pace e la mia felicità dipendono da un solo problema: quello di scoprire me stesso scoprendo Dio. Se lo trovo, troverò me stesso, e se trovo il mio vero io troverò Lui.

Per quanto sembri facile, ciò è in realtà immensamente difficile. Se vengo lasciato a me stesso, infatti, la cosa sarà assolutamente impossibile. Per quanto, con la ragione, io possa conoscere qualcosa dell’esistenza e della natura di Dio, non esiste mezzo umano e razionale con cui mi sia possibile giungere a un contatto, a quel possesso di Lui che mi scoprirà chi egli è realmente e chi io sono in Lui.

Ciò è qualcosa che nessun uomo può fare da solo.

Né possono in ciò essergli di aiuto tutti gli esseri e tutte le cose dell’universo.

L’unico che possa insegnarmi a trovare Dio è Dio. Lui stesso, lui solo.