Ero comodamente vestito di leccornie e ipocrisie. Cos’era successo? Quello che ricordo è sempre poco. Non so perché ma la mia mente non sa più accumulare informazioni e dilapida il nuovo. Forza, forza c’è da imparare. Non ci si può fermare. E corri, corri, corri e poi cosa c’è alla fine? La fine.
<< A me se rimani fa molto piacere. >>.
Glielo dissi con la sublimità nel volto. Era bella; talmente bella che le mancava quel tanto per assomigliare a qualcosa di perfetto e sostenere le prove che Afrodite avrebbe scelto per lei. Non aveva risposto. Dormiva ancora. Io le tenevo un braccio sotto la schiena, di cui non avevo più sensibilità. Era stata tutta la notte tra le mie braccia. Mi ha respirato tutto il tempo e io sono sempre stato sveglio; credo. Forse erano le sei di mattina e alle prime luci la vedevo brillare.
<< Non posso restare. >>.
Chiedersi perché non aveva senso. Cominciavo ad accarezzarle la testa spostandole senza peso i capelli dalla faccia. Volevo vederla. Aveva un non so che di sobrio. Non era più come l’avevo vista il giorno prima. Era mia.
<< Perché non puoi? >>.
Era seduta di fronte a me ma non mi guardava perché era troppo attenta alle piccole cose che passavano inosservate ad un occhio diverso dal suo. La polvere la esasperava e si chiedeva perché lì, in quella casa, non c’era. Lei che ha sempre licenziato l’arte dell’adulazione; lei che poche volte restava attonita, quella volta ha distrutto il suo ego in favore di un maggiore senso di libertà.
Continuavo a chiederle di restare. Non volevo: se ne andasse. In fondo se non aveva in mano le sue cose e non poteva lasciare che tutto la riflettesse, non permetteva che la adescasse un micro fattore di ingenuità. Non era a casa sua: era nella mia.
Il letto era caldo e odorava di profumo notturno: non quello che si sente nelle città ma quello che si assapora naturalmente e che a quell’età non si è tanto abituati a sentire. Il mio soffitto era bianco e, sicuramente, non il bianco che si sogna quando si sta male ma più quello che è sporcato dal tempo.
<< Non voglio. >>.
Non si deve essere uomini grandi per avere grandi supplementi. Nella mia vita ho avuto così tanti sconti che non ho più saputo quanto effettivamente avessi pagato le cose. E gli sconti che ho avuto erano anche fasulli. Mi hanno ingannato tante volte, pur tuttavia non ho mai imparato davvero come si facesse.
Ed ora ho dato un nuovo smacco al mondo, quasi come se fossi uscito da una sfida, da un lancio di dadi riuscito. Ho fatto full anche se la gente dice che sono “foll”. Sono “foll” quando tento e non riesco, quando smetto invece di continuare, quando tremo invece di lottare o reagisco al posto di mettere le mani in tasca. Sono “foll” quando faccio quello che metà della gente mi dice di fare, mentre l’altra me lo sconsiglia. E fa male. Si stringe la gola ogni qual volta che mi rendo conto che siamo tutti diversi da tutti e ogni azione, anche il semplice camminare, può non piacere.
Vivo in un mondo in cui per tre quarti delle volte vorrei evitare di ascoltare le dicerie. Se vuoi una birra è per stare in compagnia, non per espormi il tuo punto di vista su una persona che non ti interessa. Se vuoi una birra è perché la vuoi, non perché solo io la voglio. Se mi cerchi è perché hai bisogno di me, non perché intorno a te non è rimasto che il vuoto.
<< Non capisco: perché non vuoi? >>.
Ho provato a vedere negli altri qualcosa di più di una semplice bugia. Il risultato è stata un’altra bugia. E io non ne posso più. Ne ho abbastanza di offerte generose senza raccontarsi, darsi un po’, confidarsi. Dov’è finita la vera essenza della vita? È tutta nascosta in frottole e ironia?
Io invecchio. Ma la mia esistenza e direttamente proporzionale a quella di chiunque altro. Quindi anche tu che stai leggendo, stai invecchiando. Inesorabilmente.
<< Perché sono già innamorata di te. >>.