La prima civiltà finora riconosciuta come organizzata, i sumeri, compaiono nel IV millennio con un pantheon e un corpus di dottrine paragonabili a una religione, ma di stampo completamente diverso da quello che i sostenitori del culto della ‘Dea’ dipingono.
Di fatto, mentre questo presunto culto viene proposto come qualcosa di ‘spirituale’, sappiamo ormai che le prime forme di culto erano estremamente materiali e pratiche, e solo dopo si sono evolute verso un percorso più spirituale. Con il IV millennio e l’ avvento dei sumeri abbiamo anche la possibilità di consultare testimonianze scritte, e per la prima volta, oltre alla scrittura veria e propria, anche testimonianze iconografiche che lasciano pochi dubbi, al contrario delle statuette e delle incisioni / pitture di cui abbiamo parlato finora. E, paradossalmente, é da qui che possiamo partire per stabilire come sia nata la figura della ‘Dea’come nome comune che racchiude diverse figure e i loro attributi. La mitologia e l’ iconografia sumera ci parlano di una dea primordiale, chiamata Namma, definita come ‘creatrice dei primi dei’. A lei si deve, secondo il mito sumero del diluvio, la nascita delle prime città. Ma Namma era si una dea primeva, ma solo nei confronti della Terra e non era la prima divinità esistente. Namma infatti era partner di An, il dio del cielo.
Dalla loro unione nasce Ea, il signore delle acque. Altri miti, successivi di migliaia di anni, e risalenti all’ epoca babilonese, ci parlano della ‘Creazione’ ad opera di Tiamat, la
‘dea delle acque salate’. Ma Tiamat é consorte di Apsu, che viene chiamato ‘il primevo’. Ancora una volta dunque il ‘primo’ dio non é una divinità femminile ma maschile. In un mito ittita che parla della ‘regalità’, e di come questa discese dal cielo, ci viene raccontato che addirittura prima di Anu (compagno di Namma) esistevano altri dei, tra i quali viene nominato Alalush, del quale Anu era coppiere.
Insomma prima della ‘prima dea’ di cui abbiamo traccia c’ erano intere generazioni di altre divinità maschili e femminili. Il prototipo della ‘dea madre’, però, non é nè Namma nè Tiamat, ma più probabilmente la dea sumera Ninmah (grande signora), figlia di AN (Anu - cielo) e KI (Antu - terra), la quale é responsabile, su richiesta degli dei lavoratori, della creazione del primo uomo.
Viene aiutata dalle ‘Sud’ o ‘Dee della nascita’, il chè indica che seppur lei viene ricordata come la ‘grande madre’, in realtà vi furono svariate madri. Per intenderci, Ninmah (che i sumeri chiamavano affettuosamente ‘Mami’) é la Hator egizia, rappresentata da una mucca, esattamente come Ninmah in tarda età.
Ninmah era per i babilonesi la prima dea assocciata alla Vergine, attributo che le fu poi rubato da Inanna. Ninmah era una mediatrice nelle faide familiari, una abilissima stratega e pacificatrice, nonchè una curatrice. Oltre ad essere il prototipo della ‘dea madre’ é anche sicuramente il prototipo della ‘dea guaritrice’ e della ‘dea amministratrice’. Perchè allora non guardare proprio a questo pantheon per cercare l’ origine della famosa ‘Dea’? Di fatto, anche iconograficamente, possiamo identificare due fasi ben distinte nell’ arte mesopotamica che rappresentava le dee. Una fase dedicata alle ‘vecchie dee’, cioè quelle di prima generazione, nate dai cieli e da questi discese, e una seconda fase, quella delle ‘dee giovani’ nate sulla Terra.
Questa suddivisione combacia perfettamente con un altro tipo di suddivisione: quella in base alla ‘silouhette’ femminile. Le ‘vecchie dee’ della prima generazione venivano tutte ricordate come ‘matrone’ corpulente, paffutte, di enorme statura.
Oltre a Ninmah, ricordiamo anche Gula, il cui nome significa ‘grande e grossa’, anche lei rappresentata come corpulenta.
Le ‘giovani dee’ invece, della seconda e terza generazione, nate sulla terra, venivano rappresentate come donne affascinanti, di corporatura più minuta e sinuosa, come si può generalmente vedere osservando le tante rappresentazioni di Inanna, Ninsun, Ereshkigal e Ninkasi.
Abbiamo inoltre, con l’ avvento della seconda e terza generazione di dee, la vera e propria attribuzione di ruoli a queste figure femminili indipendentemente dalla loro relazione con divinità maschili e, allo stesso tempo, si inizia a delineare una ‘promozione’ di divinità femminili come artefici dei destini degli uomini. Ricordiamo che mentre i primi re di Sumer sostenevano di essere ‘del seme reale’ di questo o quel dio, improvvisamente dal periodo accadico iniziamo ad avere re nutriti ‘dal sacro seno’ di questa o quella dea. Le vecchie dee ‘vanno in pensione’ e le nuove avanzano: abbiamo così Inanna che prende il posto della dea Ninmah, tanto che in alcuni templi ella viene raffigurata come dea corpulenta, segno distintivo delle prime dee (Ninmah e Gula), aTtribuendole il ruolo di ‘generatrice’ e ‘madre’ (benchè la mitologia attribuisca a Inanna solo un figlio, Shara) oltre che quello di ‘concubina’ e di ‘amante’ di innumerevoli dei e re.
In questo periodo in cui si ha la ‘specializzazione’ delle ‘giovani dee’ e l’ attribuzione di ruoli e competenze, abbiamo dunque la Ninkasi dea della birra, la Nidaba astrologa, la Nisaba dea della scrittura, la Ereshkigal dea degli inferi e della magia, ma, ancora più importante, abbiamo i primi esempi di ‘semidei’ di origine divina derivante da linea femminile, come Lugalbanda eGilgamesh, e i primi re ‘eletti’ da dee, come Sargon amante di Inanna.
Abbiamo dunque qui, a mio avviso, svariate indicazioni iconografiche e mitologiche che ci permettono di identificare i prototipi che hanno portato alla nascita del concetto della ‘Dea’, e sta di fatto che le più importanti dee spesso mischiate e rimischiate senza cautela dal movimento di seguaci della ‘Dea’, particolarmente quelli di stampo pagano, e quindi Asherah, Astarte, Diana, Afrodite, Persefone, Athena, Iside, Ishtar, Oshun, e altre, sono nate dalle interpretazioni successive che le civiltà del II e I millennio a.C. hanno dato delle dee mesopotamiche appena viste. Ma questa rivoluzione non riguarda solo le divinità. Riguarda anche gli uomini e le donne mortali. E’ nel 2280 a.C. circa che abbiamo il primo esempio di sacerdotessa a cui viene dato il compito di redigere documenti per gli dei, con Enheduanna, sacerdotessa lunare del dio Sin, che redice il famoso ‘Inno delle case degli dei’, un documento talmente importante che scribi successivi, sia uomini che donne, vi hanno aggiunto del loro mantenendo lo stile originale dettato dalla sacerdotessa. Ed é all’ incirca nel 1800 a.C. che abbiamo il consolidarsi della tradizione sacerdotale femminile di Babilonia, con una suddivisione gerarchica in Naditu, Shagitu, Kulmashitu, Qadishtu e Ubgabtu.
Che conclusione trarre dunque alla luce di queste analisi? Il culto della ‘dea’ é sicuramente esistito, e per lungo tempo é stato importantissimo e testimoniatissimo da centinaia di composizioni letterarie e iconografiche giunteci nel corso di millenni. I tentativi di affossare l’ esistenza di questo culto non possono trovare supporto, poichè se da un lato i più antichi reperti non ci danno indicazioni univoche, i reperti degli ultimi 5000 anni mostrano senza ormbra di dubbio che ledivinità femminili erano ‘elegibili’ e di fatto ‘elette’ a entità venerabili.
Indubbiamente questo culto ha generato realtà localizzate, di carattere prevalentemente regionale, nelle quali si aveva una prevalenza della figura divina femminile (basti pensare alla civiltà di Harappa, nell’ Indo, incentrata per oltre un millennio sulla figura di Ishtar / Inanna e dove fu proprio il consorte di lei, Dumuzi, ad essere ‘subordinato’). Meno certo é che questi culti fossero esclusivamente femminili, e che in tutti i casi la dea adorata in questa o quella regione fosse ‘innalzata’ al ruolo di ‘dea suprema’ al di sopra della sua genealogia maschile. Un caso di questo genere é la Inanna adorata a Babilonia a partire da circa il 1200 a.C., infatti qui la Inanna adorata non é la Inanna sumera, ma una rappresentazione di Sarpanit, moglie del dio nazionale Marduk, esattamente come a Kutha veniva adorato Nergal come rappresentazione di Enlil. Non testimoniato, e quindi non accettabile, é che prima del IV millennio ci siano state realtà societarie incentrate su un culto religioso organizzato di stampo matristico. Niente esclude che ci fossero comunità matristiche in termini societari, ma niente supporta l’ idea di un culto divino di questo genere. Come abbiamo visto, il grosso dei casi di riferimenti ipotizzati come a ‘divinità femminili’ prima del IV millennio é estremamente controverso, ambiguo, se non in alcuni casi addirittura fraudolento. A partire dal III millennio poi, dopo un millennio circa nel quale le figure femminili erano si riconosciute, ma subordinate in tutto e per tutto ai corrispettivi maschili, e dunque prive di funzioni e attributi particolari (salvo i due casi esemplari di Gula e Ninmah), si inizia a delineare la attribuzione alle ‘giovani dee’ dei ruoli essenziali per lo sviluppo delle società. A queste dee viene regalata (o concessa) la meritata attenzione e responsabilità, vengono ‘elevate’ a soggetti di culto, rese capaci di influire sulla storia delle popolazioni. Gli antichi dei in generale si allontanano sempre più, Enlil ed Enki si fanno da parte lasciando lo spazio ai figli e nipoti, Ninurta, Nanna e Ishkur, Utu e Inanna da una parte, eMarduk, Ningishzida e Nabu dall’ altra. Dopo circa mezzo millennio, a cavallo del XV secolo a.C. si hanno due avvenimenti importanti: la nascita della civiltà egea, da cui nasce quella greca, che tanto ha dato alla attuale idea della ‘Dea’, e l’ affermazione del Yahwismo.
E in un certo senso la nascita del Yahwismo segna, purtroppo, l’ inizio del declino di questo culto femminile. L’ ebraismo seguito al Yahwismo infatti si tramanda esclusivamente per linea patristica, é un culto maschile, nel quale la donna viene relegata di nuovo al ruolo di ‘serva’. Ciò peggiora con l’ avvento del cristianesimo, e successivamente dell’ Islam, religioni che nei confronti del culto femminile (salvo il caso di Maria) hanno condotto una vera e propria crociata fino a quei tempi oscuri noti come ‘Medio Evo’ in cui addirittura la donna é considerata portatrice di peccato, e il solo ricordo dei tempi in cui le divinità erano anche femminili veniva considerato ‘eresia’.