Le dimissioni del Santo Padre

Da Maurizio Lorenzi

Pubblichiamo l’editoriale del Direttore de La Stampa, Mario Calabresi, in relazione alle dimissioni del Santo Padre, Benedetto XVI. Buona lettura a tutti Voi, per una corretta riflessione. Nel rispetto di qualsivoglia scelta e delle persone che ci mettono la faccia. 

Una società che non lascia invecchiare

di Mario Calabresi

Le dimissioni di Benedetto XVI, guardate ad un giorno di distanza e superato lo stupore per il gesto, ci raccontano anche una storia emblematica del tempo in cui viviamo: la difficoltà di essere anziani nella società della tecnologia e dell’informazione.

Una società che richiede come presupposti fondamentali la velocità, la capacità di adattarsi e di reagire in tempo reale. Uno scenario dominante di fronte al quale il Papa ammette la sua debolezza con una consapevolezza disarmante e con parole chiarissime: «Nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di San Pietro e annunciare il Vangelo è necessario anche il vigore sia del corpo sia dell’animo. Vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale…».

Un gesto quasi di resa di fronte al mondo che cambia a un ritmo che un uomo nato nel 1927 non avrebbe mai immaginato. Non cambia solo nei modi e nei tempi della comunicazione ma richiede di commentare tutto e subito. Eppure quest’uomo prossimo agli 86 anni, mentre già pensava di lasciare il pontificato, aveva tentato di inseguire quella contemporaneità frastornante, sbarcando perfino su twitter. Piegandosi alla necessità di comunicare con messaggi brevi e sincopati di soli 140 caratteri. Aveva cercato, non senza fatica e dopo dolorose e laceranti incomprensioni, di aderire all’agenda globale con i tempi dettati dai media che trasmettono 24 ore su 24. Un’agenda che ogni giorno sposta i confini dell’etica e delle convenzioni sociali. Una rincorsa spasmodica e innaturale per un uomo che aveva formato la sua vita sullo studio, sulla riflessione, sulla meditazione silenziosa. Sembra di scorgere nelle sue parole e nella sua scelta un cortocircuito tra i suoi studi approfonditi sulla vita di Gesù e quel dover ribattere colpo su colpo a cui è difficile sottrarsi. Quel propagarsi di scandali, polemiche, fughe di notizie su scala planetaria a cui sembra suggerirci può tenere testa solo chi è più giovane: «Sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte…».

Ma non è sempre stato così. Senza bisogno di tornare indietro di un secolo e mezzo, quando Pio IX – era il 1854 – fece un viaggio di un mese nelle Legazioni pontificie arrivando fino in Emilia senza fare un solo discorso ma limitandosi a impartire benedizioni, basterebbe pensare al ritmo del Vaticano di Paolo VI. Per trovare una risposta del Papa era necessario attendere l’Angelus della domenica o l’udienza del mercoledì. Poi, con papa Wojtyla, sono esplosi i viaggi e il ritmo ha moltiplicato le occasioni e i discorsi.

Ma è questo un treno lanciato che non ha altra possibilità che accelerare? Si osserva che la Chiesa vive nel mondo e non può che adattarsi al mondo se vuole incidere ed essere ascoltata. Eppure nel sapersi anche sottrarre, nel celarsi, nel rifiutare di cantare sempre nel coro, perfino nell’assenza si nasconde una grande forza. Immaginate i politici di oggi, costretti a dichiarare trenta volte al giorno, pesate la loro credibilità e la loro durata e paragonatele a quelle di Alcide De Gasperi, Aldo Moro o Enrico Berlinguer le cui interviste, in un anno non in un giorno, si potevano contare sulle dita di una mano. Si potrebbe replicare che i tempi della Chiesa millenaria (e della politica lenta) erano possibili quando le informazioni non passavano attraverso i muri, quando i telefonini non erano un’estensione del nostro corpo, quando i maggiordomi non facevano fotocopie, fax e mail e quando le Mura vaticane trattenevano discorsi e segreti. Ma quei tempi e quella capacità di visione le avevano garantito una centralità lunga venti secoli.

Ma allora, in questo arrendersi all’età, nel riconoscere invece quasi una centralità determinante alla giovinezza, alle energie e alla velocità che spazio e che valore hanno ancora il sapere meditato, la saggezza e l’esperienza? Benedetto XVI che sceglie di tornare ad essere Joseph Ratzinger ci ha dato la sua risposta ma questa domanda resta centrale e irrisolta, anche perché la risposta plasmerà la nostra società, deciderà se si può accettare di vivere nella frammentazione, alleggeriti della memoria e dei progetti di lungo respiro. Non si risolve naturalmente solo in questa domanda e nella sua risposta la travagliata decisione del Papa, che è necessariamente figlia di una complessità di problemi su cui si scriveranno libri per un tempo infinito. Ma l’età è il passaggio nodale della dichiarazione resa nella lingua più antica, quasi a sottolineare la volontà di sottrarsi alla dittatura della contemporaneità.

C’è in Ratzinger, l’uomo che oggi tutti paragonano nel suo passo indietro al Wojtyla del calvario coraggioso, della croce portata fino alla fine, anche la consapevolezza dei danni che può seminare la mancanza di energie. Benedetto XVI sa che il prezzo del calvario del suo predecessore fu anche un’assenza di governo della Chiesa, lo sa perché ne ha ereditato tutti i problemi irrisolti, insieme alle lotte intestine. Li ha affrontati con coraggio, a partire dalla pedofilia, ma forse anche questa consapevolezza lo ha spinto a ricordarci che ci vuole forza per governare, lo ha indotto a fare un passo indietro, ora, per non lasciare un altro percorso in salita al suo successore. E’ forse questo il gesto più rivoluzionario che ha fatto.

Tratto da www.lastampa.it


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