Le dimore dello spirito assente

Da Dedalus642 @ivanomugnaini

Pubblico qui di seguito la nota di lettura di Sandro Angelucci al libro LE DIMORE DELLO SPIRITO ASSENTE, recentemente edito da puntoacapo con la postfazione di Massimo Morasso. Molti sono gli spunti e i temi trattati, adeguatamente sottolineati da Angelucci nella nota critica. Mi trovo a concordare anche con Morasso, che, nella postfazione, indica con nitida acutezza l’attualità della poesia di Leronni. La capacità di utilizzare linguaggi di oggi, facendo i conti “con il tempo del segreto che attraversa sottotraccia l’accadere, restituendone i geroglifici”. Un libro con un’impronta autentica e inviduale, non criptico ma anche non banale, rivolto all’esplorazione di quella terra di mezzo che separa ed unisce l’immediatezza e la profondità, l’indagine sul mistero dell’umanità che ancora, per vie traverse, dimora nei gesti e nelle parole. IM

LERONNI: L’ORDITO CHE CONTIENE LA FARFALLA

Recensendo l’opera prima, Polvere del bene, di Giacomo Leronni, sostenemmo che il poeta non si accontentava di vedere alla luce del giorno e che il cielo che, così, si presentava alla sua vista appariva più luminoso anche di quello rischiarato dalle stelle. Ciò, ci spinse a parlare di poesia dell’assenza, dell’allontanamento, della sospensione ma, non meno, della conservazione.
Ora – quasi preannunciato e, con una certa compiacenza; dobbiamo confessarlo – ci giunge il suo secondo lavoro che, guarda caso, reca il titolo Le dimore dello spirito assente; non solo senza smentire ma avvalorando quella che era stata la nostra opinione. Di più: facendoci ulteriormente riflettere sull’ampliamento del concetto che accompagna il pensiero di cui siamo sempre maggiormente convinti.
Ritornando al libro d’esordio, asserimmo altresì che quella scrittura fungeva da anestetico, permetteva di vincere la paura d’immergersi nel buio profondo per scovare la luce; ebbene – scopriamo adesso – che, di quel narcotico, si ha ancora bisogno, ovviamente, ma è come se l’efficacia dei suoi componenti sia notevolmente aumentata, al punto tale che l’atto catartico della parola, in bozzolo nella prova precedente, arriva ad assumere le fattezze della farfalla, la forza del suo levarsi in un volo libero e liberatorio.
I prodromi di questa metamorfosi – non in termini sovvertitivi, naturalmente – erano già significativamente presenti nell’incipit di una poesia che non potemmo fare a meno di citare e ci piace riproporre per una ragione che esplicheremo andando avanti con l’esegesi.
“Nella polvere del bene / quando splende la morte rigorosa / ti ritiri con un soffio. . .”: questi versi, con i quali Leronni si congedava dal lettore nel suo primo libro, sono – a nostro modo di vedere – orientativi; chiudono, si, una fase ma, nello stesso tempo, ne aprono un’altra che, poi, avrà il suo compiuto sviluppo lungo il cammino de Le dimore dello spirito assente.
Si rifletta, allora, sulla chiusa di una delle liriche contenute nella sezione Neve francese, della nuova raccolta: “si deve arare mentre si vive – scrive il poeta – / avere fiducia, la morte verrà”, e non si potrà non avvedersi di un processo in corso, di un filo conduttore (la tessitura del baco che permette lo schiudersi del bozzolo), che lega indissolubilmente le due prove in nome della continuità di un progetto di poetica.
La parola-chiave è “morte”, ma di una fine si tratta che tutto è fuorché conclusione, definitivo annullamento: no, qui, la morte prima “splende rigorosa” consentendo il raccoglimento, e poi, attraverso il duro lavoro, tramuta (meglio sarebbe forse dire: si rivela) in speranza, in qualcosa che si aspetta e per la quale tutta la vita si lotta perché possa realizzarsi. Un’ontologia, dunque, che si basa sull’assenza e non sulla presenza dell’essere; attenzione, però, perché è una mancanza solo apparente, lo spirito dimora in noi anche quando è coperto dal velo dell’esistenza.
Ecco che torna, chiara, l’allegoria del baco da seta: il suo incessante, faticoso ordire, la sua crisalide che attende fiduciosa di trasformarsi in farfalla. Certo, non c’è possibilità di riscontro immediato e neppure di una verifica contingente ma il poeta ne è consapevole e, non per questo, smette di credere: “Si fa fatica per saldare l’alba / al tramonto // per conoscere // poi gli occhi / ti si schierano contro / e così i cuori, le colline // si fa un’immensa fatica / per arrivare a lambire / la volta del tempo // e la grazia invece / è del tutto spontanea.” (da Lezioni dall’oscurità).
La composizione, che abbiamo voluto riportare integralmente, esprime, per l’appunto, il gravoso dispendio di energie che richiede un vivere cosciente dello sforzo da compiere per giungere, se non altro, a sfiorare il senso dell’immane lavoro, di ciò che è e non può che restare inesplicabile, in contrapposizione – apparente, però: è bene ricordarlo – alla grazia che, invece, “è del tutto spontanea” e, di nuovo, all’apparenza, gratuita.
Ne consegue – e veniamo al nocciolo – che i pensieri che occupano gli spazi mentali di Leronni sono quelli di un intelletto (una “mente che si scompone / in altra mente”) costantemente curvo “sul segreto” per tentare di “agganciare il mistero”, di pronunciarne almeno il nome, un appellativo il più possibile rispondente alla verità dell’essere, alla sua realtà “in spirito e assenza”. E, nonostante si chieda, sul finire: “Qual è la verità che ci aspettiamo”, quantunque il dubbio – segno ineludibile di una fede autentica – gli faccia dire “dove (la stessa) ostenterà le sue grazie, le sue difese”, egli sa bene che “quando la mente si avvezzerà all’usura” e “…virerà / dal suo inseguimento // sar(à) pronto, lesto / a rinserrare // il (suo) divino abbandono”.
Si, dopo la lettura de Le dimore dello spirito assente, siamo sempre più persuasi che questa poesia si stacca dall’asfissiante, ingombrante presenza dell’ego per la precipua esigenza dell’autore d’essere “un corpo scarnificato / evaporato // nient’altro che un’anima.”.

Sandro Angelucci

Giacomo Leronni. Le dimore dello spirito assente. Puntoacapo Ed. Novi Ligure. 2012. Pp.152. € 15,00