Le (dis)avventure di Maddalo, agricoltore di Uggiano La Chiesa

Da Cultura Salentina

9 settembre 2013 di Pierluigi Camboa

La calabrese (Pasquale Urso: incisione su rame)

Questa storia è dedicata al mio amico Maddalo, nel ricordo di una memorabile cena (si era giovani e forti, a quei tempi!), durante la quale, in tre (il terzo era Totò) divorammo quattro chili di bucatini all’amatriciana (con tanto di scarpetta finale)… Un giorno, il mio amico Maddalo, esperto agricoltore di Uggiano La Chiesa, disse alla moglie: “Ada, sai cce aggiu pinzatu? Ca ttrova cra’ mmane era bonu va’ aru ‘u fore de sutta ‘a turre de Santu ‘Milianu cu lu mezzu nou. Ce dici, ‘ici ca nun è bonu cu vau de veru, pocca?” (Sai cos’ho pensato, Ada? Credo che sarebbe bene che domattina io vada ad arare il campo sotto la Torre di Sant’Emiliano con il trattore nuovo. Che ne pensi? Non credi che sia una buona idea?”. Ottenuta l’approvazione della saggia moglie, l’indomani, dopo una robusta colazione, tipicamente contadina, Maddalo s’incamminò tutto contento verso la cascina per mettere in moto il suo nuovo, stupendo, fiammante trattore, comprato da appena 5 giorni, ma si ricordò, smozzicando alcune “robuste” imprecazioni, anche queste tipicamente contadine, che nel serbatoio il concessionario aveva immesso solo pochi litri di gasolio, assolutamente insufficienti per (arrivare a e tornare da) la zona di Sant’Emiliano. Mentre si avviava verso il deposito del gasolio, notò che non era stato dato da mangiare alle vacche e si recò, bofonchiando e smoccolando, a prendere il foraggio; nel recarsi verso il fienile, notò, sotto la tettoia, una pila di sacchi accatastati, che gli fece ricordare esserci l’urgente bisogno di mettere le patate a germogliare. Si avviò, perciò, verso la zona delle patate, ma scorgendo, sul percorso, il deposito della legna, fu colto da sgomento e il terrore gli si dipinse in volto. Si era ricordato, infatti, che Ada altro non gli aveva raccomandato se non di portarne un po’ a casa; allora pensò: “Focu meu beddru ‘mpizzi-catu! E ci la sente, quira, ci nu li portu l’asche?” (Mamma mia! E chi la sente, quella, se non le porto la legna?). Prima, però, doveva tagliarla in pezzi più minuti e si fermò a pensare e a ripensare su dove potesse aver messo l’ascia; per fortuna, ricordò di averla usata alcuni giorni prima per riparare il recinto del mulo. Recuperata l’ascia, si mise a spaccar legna e, dopo averne accatastata una quantità ritenuta più che sufficiente, pensò, finalmente soddisfatto, che l’avrebbe portata a casa alla fine della giornata, passando con il trattore al ritorno dall’aratura. Prima di recarsi a svolgere, a ritroso, tutti i compiti individuati, si rese conto di aver dimenticato a casa il cestino del pranzo. Orrore! Non volendo correre il rischio di dimenticarsi definitivamente del fatto durante l’esecuzione delle diverse incombenze, decise di incamminarsi verso casa, dove, lo attendeva qualcosa alla quale non avrebbe mai rinunciato: il suo cestino del pranzo, contenente un bel panino robusto, tipicamente contadino, fatto di un’intera forma di pane “te cranu” (di grano) cotto nel forno a legna, stracolmo di “pezzetti” di cavallo e di “cunserva ‘mara” (salsa piccante); il bottiglione d’acqua e quello, ben più gustoso, di vino rosso paesano, di quello… “ca te pitta lu vitru de nìuru, tantu cullu sacci. E nu’ boiu te ‘icu autru, pocca!” (…che colora il vetro di nero, tanto perché tu lo sappia. E non voglio aggiunger altro!)… Nel procedere verso casa, decise di passare dal pollaio, per vedere di recuperare per il pranzo anche un buon uovo fresco di giornata da mandar giù al bisogno… Nel pollaio incontrò la moglie intenta a dare il mangime alle galline. La donna lo guardò sorpresa e gli chiese: “Be’? E tie? Nu’ su’ mancu ‘e unnici e stai ‘ntorna a qquai? Comu furmine ha’ fattu cu ari tuttu ‘u fore, pocca?” (Non sono ancora le undici e sei già tornato? Ma – dimmi – come diavolo hai fatto ad arare tutto il campo?).

Il nostro eroe, non riuscendo a celare l’evidente imbarazzo, abbassò lo sguardo e con un fil di voce le rispose: “Ci ‘oi te ‘icu ‘u veru, Ada mia, nu’ aggiu mancu ‘ncignato, pocca!” (A dire il vero, Ada mia, non ho nemmeno cominciato!)