Le “donnine” di Amun (e le altre) in Sardegna. 2a parte

Creato il 13 giugno 2012 da Zfrantziscu

di Atropa Belladonna
vd. 1a parte Nel suo bell'articolo del 2006, Orly Goldwasser fa una cosa oltremodo interessante (1a). Seguendo il suo modello secondo il quale i segni del proto-sinaitico derivano dai geroglifici egizi, mette a confronto i segni alfabetici delle miniere di turchese, con i contemporanei geroglifici delle scritte egizie: non generiche ma proprio quelle del Sinai. Fatalmente giunge per queste ultime ad alcune scritte che appaiono in qualche modo contaminate dal gusto cananeo e le attribuisce a persone poco familiari con i geroglifici. In polemica con Rainey, che invece sostiene che li conoscevano benissimo per poterci giocare in quel modo e re-inventarsi una scrittura che avrebbe rivoluzionato il modo di comunicare: l’alfabeto proto-sinaitico. Lasciamo la disputa, nota come "Who really invented the alphabet-illiterate Canaanite miners or Northwestern Semite sophisticates?", a questi due giganti (2) e più modestamente occupiamoci del nostro segno ’ankh/Tanit-simile, quello che abbiamo chiamato, per comodità, “donnina”: appartiene o no al repertorio proto-sinaitico e affini? da dove deriva e come si è evoluto? Goldwasser fa derivare il segno dell’antropomorfo a braccia alzate, la lettera semitica H, dal suo più ovvio precursore egizio: A28 (più qualche variante), determinativo per rallegrarsi, gioire, ballare, fare lutto. [sighi a lèghere]

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