di Atropa Belladonna
vd. 1a parte Nel suo bell'articolo del 2006, Orly Goldwasser fa una cosa oltremodo interessante (1a). Seguendo il suo modello secondo il quale i segni del proto-sinaitico derivano dai geroglifici egizi, mette a confronto i segni alfabetici delle miniere di turchese, con i contemporanei geroglifici delle scritte egizie: non generiche ma proprio quelle del Sinai. Fatalmente giunge per queste ultime ad alcune scritte che appaiono in qualche modo contaminate dal gusto cananeo e le attribuisce a persone poco familiari con i geroglifici. In polemica con Rainey, che invece sostiene che li conoscevano benissimo per poterci giocare in quel modo e re-inventarsi una scrittura che avrebbe rivoluzionato il modo di comunicare: l’alfabeto proto-sinaitico. Lasciamo la disputa, nota come "Who really invented the alphabet-illiterate Canaanite miners or Northwestern Semite sophisticates?", a questi due giganti (2) e più modestamente occupiamoci del nostro segno ’ankh/Tanit-simile, quello che abbiamo chiamato, per comodità, “donnina”: appartiene o no al repertorio proto-sinaitico e affini? da dove deriva e come si è evoluto? Goldwasser fa derivare il segno dell’antropomorfo a braccia alzate, la lettera semitica H, dal suo più ovvio precursore egizio: A28 (più qualche variante), determinativo per rallegrarsi, gioire, ballare, fare lutto. [sighi a lèghere]