Magazine Salute e Benessere

Le due personalità al cancelletto di partenza: l'allenamento mentale per far sempre trionfare ...

Creato il 09 ottobre 2012 da Ekis Sport Coaching @Ekis_srl

L’allenamento mentale ci fornisce tutti gli strumenti di cui abbiamo bisogno per presentarci alla partenza al massimo delle nostre potenzialità“Allenati a saper vincere e allenati a saper perdere.”

Quante volte durante gli anni di professionismo ho sentito questa frase risuonarmi nella mente e quante riflessioni su di essa. Me la pronunciò un allenatore delle squadre giovanili e a quell’età la trovai assurda; amavo lo sport che praticavo, amavo le sensazioni che mi regalava, amavo anche il mettermi continuamente in sfida con me stessa e con le mie avversarie e amavo anche le splendide sensazioni della vittoria.

Che senso poteva avere “allenarsi alla sconfitta”?

Gli anni a seguire, le esperienze sul campo e le intense riflessioni che ogni atleta fa con sé stesso, mi hanno chiarito molto, anche sul significato autentico di quella frase lontana.

Chi vuole vincere e imparare a saper continuare a vincere, deve essere abile nel trasformare ogni sconfitta in una “piccola” vittoria, intesa come quell’occasione utile ed irripetibile per migliorare, apprendendo da quel “risultato” tutto ciò che è in grado di offrire.

La sconfitta ha un gusto amaro, colori scuri e voce triste, sta a noi allenarci ed imparare a saper assaporare quel po’ di dolce che si nasconde in essa, a saper irrompere con qualche lampo di luce per comprenderla in tutti i suoi aspetti e saperle dare un tono più lieve.

La sconfitta è dura qualunque sia il proprio avversario, ma credo che la sconfitta più dura per un atleta sia quella contro sé stesso e ancor più se la vittoria la gettiamo nella sfida con noi stessi ancor prima di uscire dal “cancelletto” di partenza.

Quante vittorie perse perché cedute alla “personalità depotenziante”.

Tecnicamente è uno stato d’animo.  Mi sono volutamente sbilanciata nel riferirmi ad esso in termini di “personalità”, in quanto assume talvolta connotazioni e “tinte” così pregnanti, da indurre facilmente l’osservatore ad errare e a ritenerlo elemento costitutivo di una struttura molto più profonda.

Non mi occupo in questa sede delle sue origini, bensì di come si presenta all’esito della sua manifestazione nel mondo fattuale, recuperando non solo la mia esperienza vissuta, ma anche molti elementi a me trasmessi da atleti di ogni livello.

Richiamo qui di seguito quanto detto da un atleta a me molto vicino, che rappresenta e sintetizza credo in modo perfetto, quanto devastante sia questa dinamica mente-cuore-fisico.

“Le modalità di estrinsecazione coinvolgono tutti i sistemi rappresentazionali, nonché la stessa fisiologia, secondo una sequenza temporale strettamente legata all’erosione delle mie risorse energetiche.

Per ciò che ho potuto riscontrare, l’avvio del processo depotenziante ha luogo 24, o talvolta, anche 48 ore prima dall’apertura del cancelletto di partenza. In alcuni casi, tuttavia, alcuni aspetti di tale processo, benché in modo alquanto latente, possono essere avvertiti anche fino ad una settimana prima l’evento agonistico.

Il focus è inizialmente orientato verso elementi potenzianti, vuoi di natura tecnica (ripasso mentale dei gesti), che di natura cinestesica (ricerca delle sensazioni positive raccolte nel corso degli allenamenti). La mente richiama l’associazione tra questi due fattori, finalizzando tale azione al conseguimento di benessere e fiducia, che si traduce in ultima analisi nell’acquisizione di uno stato di tranquillità e sicurezza.

Parallelamente all’avvicinarsi della partenza, il processo depotenziante acquista maggior consistenza e credo anche individualità: l’associazione “gesto tecnico/ricordo della sensazione positiva” riesce progressivamente meno; solo talvolta viene temporaneamente rinvigorita nel corso della ricognizione in pista.

Anche l’inizio della fase di riscaldamento muscolare può essere occasione di richiamo delle sensazioni positive; ciò, tuttavia, solo quando immediatamente successiva alla ricognizione, e quindi, da questa ancora fortemente influenzata. Il riscaldamento, comunque, quasi sempre coincide con la definitiva affermazione della “personalità” depotenziante. È un processo apparentemente invincibile, in cui ogni mio tentativo di aggrapparmi ad elementi che producano un diverso stato emozionale, risulta vano. Fisiologicamente si manifesta una sintomatologia ormai nota: aumento della frequenza cardiaca, forte intorpidimento della muscolatura e correlata crescente incapacità di gestirne la risposta secondo i parametri sperimentati in allenamento. Non di rado sento di non riuscire a tollerare oltre tale sensazione e per cercare di venirne fuori ho sperimentato gesti vari quali quello di chiudere gli occhi, incrociare e stringere con forza le dita delle mani, quasi a voler ritrovare me stesso. Subentra un leggero affanno, che riduce ulteriormente le capacità di reazione muscolare; mentalmente, entro in uno stato di trance governato dalla totale assenza di ogni facoltà di gestione dell’approccio tecnico; “è come se non sapessi più che cosa devo fare”. Gli stimoli auditivi sono ovattati e la muscolatura del viso è tesa ed intorpidita. Subentra uno stato di irrigidimento complessivo, che inevitabilmente si ripercuote sull’esecuzione del gesto tecnico: “mi vedevo e sentivo come dominato da qualcun altro”.

Mi chiedo cosa possa insegnare una sconfitta subita da sé stessi e ancor prima di gareggiare.

Mi chiedo che senso abbia esasperare gli aspetti fisici, tecnici, tattici, atteggiamento oggi diffusissimo in ogni disciplina sportiva, quando il più delle volte la vittoria la perdiamo contro noi stessi e prima dello start.

Mi chiedo come si possa sconfiggere questa personalità depotenziante e presentarsi al via ad esprimere tutto il proprio potenziale, ed è questo il vero obiettivo e la vera vittoria di ogni atleta.

Sono interrogativi che, al di là della grande ricchezza di riflessioni che alimentano in me, mi portano ad un tema che amiamo e condividiamo.

L’allenamento mentale ci fornisce tutti gli strumenti di cui abbiamo bisogno per presentarci alla partenza al massimo delle nostre potenzialità, per poterci sfidare al meglio e per poter sfidare tutti i nostri avversari consapevoli di essere pronti a vincere e pronti eventualmente anche ad imparare dalla sconfitta.

Quando ero atleta e riflettevo su quella fatidica frase, avendone finalmente compreso tutti gli aspetti e gli insegnamenti, mi chiedevo come potevo riuscire a trasformare il tutto in una pratica quotidiana.

La risposta è arrivata a carriera finita, peccato.

Il mental coaching e la guida attenta di un sport coach ci aiutano ad “allenarci a saper vincere e ad allenarci a saper perdere per imparare a vincere prima di tutto la sfida con noi stessi e a vincere con continuità.”

Cosa fare dunque di pratico per sconfiggere la “personalità depotenziante”?

Molti strumenti li conoscete già, essendo assidui e attenti lettori, il lavoro specifico con il “mio” atleta lo inizieremo a breve e vi terrò informati.

Da ex atleta, che ha tanto sentito la mancanza di uno sport coach e di quanto di entusiasmante ed efficace ci propone l’allenamento mentale, mi sento di invitarvi a credere in voi stessi anche e soprattutto quando gli altri o i fattori esterni vi porterebbero a perdere un po’ di fiducia, appoggiarvi ad allenatori e preparatori competenti, farvi aiutare da un mental coach, senza mai dimenticare di divertirvi ed essere felici di poter praticare lo sport che amate.

Ricordo la frase di una medaglia d’oro olimpica di Pechino poco dopo la vittoria: “Non sono felice perché ho vinto, ho vinto perché sono felice!”, atleta che nella preparazione a Londra 2012 si è costruito la più amara e deludente sconfitta per ogni atleta, il ricorso al doping, chissà quanto dipesa dal non essere più felice.

A presto.

Tiziana De Martin
Di Tiziana De Martin


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :