Le duellanti

Creato il 12 febbraio 2012 da Kelvin

Ho cominciato a sentir parlare di Meryl Streep quando ancora avevo tutti i capelli in testa (e ne è passato di tempo...): 'Lady Oscar' il suo soprannome preferito. E lo credo: diciassette candidature, due vittorie, svariati trionfi ai Golden Globes e ad altri premi cinematografici. Non penso che esista al mondo un'attrice più premiata di lei. Autentica 'signora' di Hollywood, mito senza tempo, esempio per le giovani attrici di tutto il mondo, eccetera eccetera...
Ovviamente non si può eccepire nulla sulla bravura artistica della Streep. Sarebbe come dire che l'acqua è bagnata. Eppure, lo dico, non mi ha mai particolarmente emozionato. Sapete perchè? Perchè l'ho sempre considerata una 'cannibale' del grande schermo: vale a dire un'attrice bravissima ma talmente egocentrica da fare il vuoto attorno a sè e 'costringere' lo spettatore a guardare nessun'altro che lei, quasi volesse ogni volta 'ricattarlo'!
Perchè dico questo? Fateci caso: provate a scorrere l'immensa filmografia della Streep e ditemi, oggettivamente, quanti sono i grandi film che ha interpretato. Attenzione, non i film in cui è più brava, ma i film che possono essere considerati capolavori del cinema, o quantomeno degni di essere ricordati. A mio avviso, si contano sulle dita di una mano: Il cacciatore di Cimino (1978), Manhattan di Allen (1979), I ponti di Madison County di Eastwood (1995). Stop. Ad essere generosi potremmo aggiungere quel gioiellino di comicità tagliente e corrosiva che è Il diavolo veste Prada (2006). Ma, davvero, ci fermiamo qui.
Che cosa significa? Che questa grande attrice, da sempre, sceglie di interpretare non i film più belli, ma quelli in cui è la protagonista assoluta, per non dire l'unica. Film, cioè, anche mediocri, ma che consentono la classica 'prova d'attore', indipendentemente dalla qualità. Ne è un tipico esempio anche The Iron Lady, che è ancora in sala e che con buona probabilità le farà vincere il terzo Oscar. E' un bel film? Assolutamente no: si tratta di un biopic scontatissimo e banale, completamente fuorviante per chi vuole conoscere davvero il personaggio di Margaret Tatcher.
Nella pellicola di Phyllida Lloyd infatti l'attività politica della 'lady di ferro' passa quasi in secondo piano a vantaggio della caratterizzazione 'umana' della protagonista: ne viene fuori così un ritratto privato di una donna che sembra quasi un' 'eroina' del gentil sesso, una specie di 'icona' del femminismo, che deve farsi a spallate in un mondo di uomini. Inutile cercare un qualsiasi serio approfondimento storico su una figura che ha caratterizzato più di ogni altra la politica europea degli anni '80. Il film viene così ancora una volta 'divorato' dalla Streep, a questo punto unico motivo per pagare il biglietto. E la diva americana ci ripaga certamente da par suo, non fosse per il fatto che... beh, insomma, quella che si vede sullo schermo non è certo la Tatcher, ma la Streep che ne dà un'interpretazione 'perfetta' quanto si vuole ma totalmente personale. E chissà mai quanto lontana...
Ma Hollywood è questa, prendere o lasciare. E se vuoi l'Oscar devi sottostare a certe regole. Sarà per questo che la principale antagonista della Streep è un altrettanto attempata signora, con un percorso artistico però, nettamente diverso. Eppure anche Glenn Close, che avevamo finora sempre ammirato (al contrario della Streep) in pellicole 'difficili', alternative, persino politicamente scorrette (pensiamo a Le relazioni pericolose, Il mistero Von Bulow, Attrazione fatale, Il mondo secondo Garp) questa volta, per dare l'assalto a quella statuetta dorata per ora sempre sfuggitole, si ricicla anch'essa in un ruolo molto 'sentito' (da lei interpretato anche a teatro) ma cinematograficamente molto modesto... che però le consente di attrarre a sè tutti gli sguardi dei giurati. Se sarà un bene o un male, poi, lo vedremo solo il prossimo 26 fabbraio...
Anche Albert Nobbs, infatti, non è certo un film esente da difetti. Anzi. Funziona bene per tutta la prima parte, quella dedicata al 'travestimento' e alla paura di rivelare la propria identità: un corpo di donna improgionato in abiti maschili che soffocano anche le pulsioni emotive e sessuali della donna, che si vede costretta a rinunciare alla propria passione amorosa per conservare lavoro e condizione sociale (in questo il film assomiglia molto all'ivoriano Quel che resta del giorno). Quando però compare sulla scena la giovane Mia Wasikowska nel ruolo della camerierina che 'sconvolge' l'esistenza della protagonista... la pellicola di Rodrigo Garcia ondeggia pericolosamente verso il ridicolo involontario, in quanto la 'confusione' sessuale della pur brava Glenn Close risulta ben difficilmente credibile, non aiutata certo in tal senso da una sceneggiatura quantomai lacunosa.

Due film mediocri, insomma, che consentono alle due protagoniste ruoli 'da Oscar'. La sfida per la miglior interpretazione femminile quest'anno è tutta qui. Indice, ancora una volta, di una certa penuria di ruoli femminili in una Hollywood ancora molto 'conservatrice' e avara verso il gentil sesso, quando non si tratta di blockbuster fracassoni e signorine giovani e discinte. Del resto, basti vedere la cinquina (e soprattutto i film) delle cinque attrici candidate e confrontarla con quella maschile, che la differenza è evidente. La vecchia cara Hollywood non è più un paese per donne, specie se sopra gli 'anta'...

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