Come nel 1994 un nuovo partito fa il suo ingresso trionfale in Parlamento, eleggendo 109 deputati e 54 senatori: si tratta del Movimento 5 stelle del comico genovese Beppe Grillo, che ritroviamo nell’Archivio storico Luce in un cinegiornale del 1980 del Caleidoscopio Ciac, premiato come personaggio televisivo dell’anno.
Dalle fonti disponibili sul Web è però possibile ricostruire una storia delle elezioni in Italia, ripercorrere le date che hanno segnato nel profondo la vita del paese, a partire dalla raccolta di legge elettorali disponibili nel Portale storico della Camera dei deputati.
Le elezioni politiche per la prima Camera del Regno d’Italia (il Senato era di nomina regia) si svolsero sulla base della Legge Sarda del 17 Marzo 1848 (e in effetti nel 1861 si aprì l’ottava legislatura, essendo le prime quelle del Regno di Sardegna): avevano diritto al voto i cittadini maschi alfabetizzati che godevano dei diritti civili e politici, che avevano compiuto 25 anni e che pagavano un annuo censo di imposte oscillante dalle 40 alle 20 lire. Pur con delle eccezioni, su una popolazione di più di 22 milioni di abitanti, gli elettori chiamati alle urne nei 443 collegi erano solo il 2% della popolazione, in tutto poco più di 400.000 persone.
A partire da quella tornata elettorale altre tappe importanti segnarono il progressivo allargamento della partecipazione alle elezioni: la legge del 1882, che abolì il principio censuario e introdusse lo scrutinio di lista; l’introduzione del suffragio universale maschile nel 1913 e la riforma del 1919, con la quale si cambiava il sistema elettorale da maggioritario a proporzionale, dando piena rappresentanza ai due partiti che si erano da poco affacciato alla vita politica del paese, il Partito Socialista e il Partito Popolare.
“Chissà perché non piove mai quando ci sono le elezioni” cantava Giorgio Gaber. Lo scorso 24 e 25 febbraio invece è piovuto molto, e non solo meteorologicamente
Dopo gli anni del fascismo, in cui si votò solo per plebisciti confermativi, si arrivò al 1946 anno in cui finalmente per la prima volta anche le donne si recarono alle urne, festeggiate in questo servizio del cinegiornale Nuova Luce girato in occasione delle elezioni amministrative del marzo di quell’anno.
Il due giugno del 1946 si tenne un doppio appuntamento elettorale: si votò infatti per un referendum istituzionale attraverso il quale decidere se dare allo stato una nuova forma repubblicana o mantenere quella monarchica. Contemporaneamente si elesse un’Assemblea Costituente con il compito di scrivere la nuova Carta costituzionale.
Nei 18 mesi che separano queste elezioni dall’approvazione della Costituzione Italiana, firmata il 31 dicembre 1947, cambiano molte cose.
Alle prime elezioni del 1948 si giunse con una netta divisione tra due schieramenti: da una parte la DC e i suoi alleati centristi; dall’altra il Fronte democratico popolare, che raggruppava al suo interno il PCI e il PSI. La campagna elettorale assunse toni molto accesi; le forze in campo si accusarono reciprocamente di voler privare il paese della libertà. Il Fronte accusava i democristiani di attuare una politica che avrebbe finito per impoverire tutti. I centristi sostenevano che una vittoria delle forze di sinistra avrebbe aperto le porte anche in Italia a un colpo di stato comunista, come era accaduto pochi mesi prima in Cecoslovacchia e come veniva ricordato in questo cinegiornale della Settimana Incom.
L’Archivio Luce ci racconta l’atmosfera di quei giorni nei diversi servizi dei cinegiornali dell’epoca: una selezione la si può consultare sul portale “Fare gli italiani“. Ed anche la chiesa partecipò direttamente alla campagna elettorale, fino alla scomunica che papa Pio XII impartì a chiunque avesse votato per i comunisti e i loro alleati.
I risultati delle elezioni del 1948 furono molto più netti di quello che si era immaginato alla vigilia: il Fronte Popolare si fermò al 31% dei suffragi, mentre la Democrazia Cristiana da sola superò il 48% e con i suoi alleati centristi, sfiorava quasi il 55% dei suffragi; all’estrema destra dello schieramento politico fece la sua comparsa in quell’occasione il Movimento Sociale Italiano. Cinque anni più tardi, nel 1953, la maggioranza sembrava in crisi e non in grado di ottenere i voti sufficienti per continuare a governare in tranquillità. Nasce da qui l’idea di una modifica alle legge elettorale, che premiasse con più seggi quel partito o quella coalizione di partiti che avessero ottenuto una maggioranza del 50,1 % dei voti. Era quella che venne ribattezzata “Legge truffa” e che non scattò per poche migliaia di voti.
La storia della prima repubblica si chiude con le elezioni politiche del 1992, mentre anche gli equilibri internazionali cambiavano profondamente dopo il crollo del Muro di Berlino, ricordato in questo bel documentario conservato presso l’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico.
Quelle elezioni furono le ultime in cui si votò con il sistema proporzionale.
Nel 1993, sull’onda di una schiacciante maggioranza emersa da un referendum popolare, si adottò il maggioritario. Sotto i colpi delle inchieste giudiziarie sparirono i partiti protagonisti della storia dell’Italia repubblicana: la DC, che tornò a chiamarsi Partito Popolare, il Partito socialista, ridotto ai minimi termini, il PCI, che dal 1991 si era diviso dando vita a PDS e Rifondazione comunista. Sul finire di quell’anno Silvio Berlusconi, imprenditore televisivo, fonda un nuovo partito, Forza Italia, che in quattro mesi, alleandosi a Nord con la Lega e a Sud con Alleanza Nazionale, erede del MSI, conquista la maggioranza assoluta nel paese vincendo le elezioni.
Nel 2006, con l’approssimarsi del termine della legislatura, venne approvata dal parlamento una nuova legge elettorale che segnò il ritorno al proporzionale, corretto da un premio di maggioranza su base nazionale alla Camera e su base regionale al Senato. Roberto Calderoli, senatore leghista, tra i firmatari della legge, la definì lui stesso una porcata (da qui il nome porcellum con cui è comunemente conosciuta) spiegando che lo scopo, nemmeno troppo celato, era di rendere il Parlamento ingovernabile. Come nel 2006 anche nel 2013, l’obiettivo sembra essere stato centrato.
La foto di Alberto Sordi che vota alle elezioni amministrative del 1956 è riprodotta per gentile concessione dell’Archivio storico Luce