Qualche tempo fa, nel bel mezzo di una crisi (che, come ci ricorda Morgan, c'è sempre quando qualcosa non va), ho deciso di risollevare le mie endorfine ormai sparite del tutto, regalandomi le scarpe più fantastiche che abbia mai avuto: nere, open toe, tacco costruito su queste strane ed imperfette forme geometriche... una piccola bestia alta ben 15cm, ma capace di donare alla sottoscritta (dimenticata da chi si occupava di distribuire l'altezza il giorno della nascita) una figura davvero invidiabile.. Sapendo di dover andare in fiera (al SIAL) e sapendo di dovermi dare un certo "tono", ho deciso che quelle due piccole, splendide, fantastiche creature avrebbero accompagnato la sottoscritta verso il trionfo dello stile. Dopotutto, per la sottoscritta, camminare sui tacchi, per quanto alti, non è un problema: quindi, cosa poteva andare storto?
Ora numero uno: sto in piedi, parlo con i clienti, sorrido e sono felice della mia fantastica altezza. Ho appena vinto contro la pioggia brasiliana che voleva farmi cadere come un'oca all'ingresso dell'Expo Center Norte. Nulla può abbattermi: sono una piccola DiCaprio sul parapetto del Titanic. Il fatto che questo, poi, fosse sparito nelle profondità dell'Oceano a far compagnia alle aragoste, doveva farmi immaginare l'epilogo.. Ma in quel momento ero davvero troppo carica per fare un qualsiasi parallelo simile.
Ora numero due: primi segni di cedimento. Mi accomodo sullo sgabello del mio stand, davanti ad una imponente scrivania. Sono ancora positiva. Ma non per molto.
Ora numero tre: vedi ora numero due.
Ora numero quattro: inizio a chiedermi la ragione dell'esistenza delle dita dei piedi. Soprattutto di quei piccolissimi ditini che, diciamocelo, non servono a nulla se non a farsi stringere dalle scarpe con il tacco in una morsa non poco dolorosa. Pensate che carine le mie scarpine: avendo capito il mio odio verso questi piccoli esemplari di dita, avevano deciso di aiutarmi.. amputandoli direttamente. Un dolore che non riesco a descrivervi, sembrava davvero che quelle due ditina dovessero cadere da un momento all'altro. Ad ogni modo, sono ancora in grado di dissimulare il tutto: insomma, ogni donna compresa la sottoscritta, è molto ma molto brava a fingere in casi di "estrema necessità".
Ora numero cinque: sto parlando con un agente italiano. Mi fa "Sai Elena, il problema di queste fiere è che devi vestirti in un certo modo, capisci? Devi metterti queste scarpe tutte strette e sagomate - indica quell'obrobrio a papera che ha nei piedi - e.. cazzo, soffri! -
Queste parole accendono senza esitazioni, il diavolo che è in me. Incurante della gente e della gonna, alzo una gamba per mostrargli i piedi, lo guardo con odio e gli dico, sfoderando i canini "Preferiresti forse portare queste?".
Ora numero sei: dato che devo stare seduta dietro ad una scrivania, mi sbarazzo delle scarpe e faccio finta di nulla. Tanto, chi caspita deve arrivare che non posso accogliere da quella posizione?
Ora numero sette: ecco che arriva il capo e mi spedisce in un altro stand. Indosso a fatica le scarpe, contengo il dolore e sfoggio un sorriso a settantaquattromila denti. Ce la posso fare, mi ripeto, solo un piede davanti l'altro per qualche chilometro e tutto sarà finito.
Ora numero otto: maledico le stupide scarpe e spero che la giornata finisca presto perché non ne posso davvero più. ed invece..
.. e invece devo andare a cena. Non posso, chiaramente, passare dall'albergo per mettermi un paio di scarpe più decenti e nemmeno prendere un taxi perché, che sia benedetto l'inventore dei tacchi, il ristorante è a soli 500 metri! e dai, ci si arriva benissimo a piedi, lamentona che non sei altro!
Così decido di resistere, cammino evitando - con la stessa grazia di una gazzella con una zampa rotta - le pozzanghere e, dopo soli venti metri, esplodo come un vulcano.
Davanti al capo e agli altri, urlo "e che ca***, non ho mica ucciso nessuno!". Mi tolgo le scarpe e sfido il lozzo delle strade di San Paolo con i piedi coperti da un sottilissimo strato di calze (che ora dovrò lavare con acido muriatico e tanto olio di gomito). Non mi poteva importare di meno di cosa ci fosse a terra: l'unica cosa veramente importante era tornare a respirare!
Inutile dire che il secondo ed il terzo giorno di fiera, indossavo le ballerine...! Alla faccia delle mie endorfine ritrovate!