Studiare alle volte dà alla testa: soprattutto quando questa nobile attività viene fatta a ritmi pressoché forsennati.
Dopo una settimana con una media di sei ore e mezza di studio al giorno, mercoledì rischiavo di dare di matto. Insomma “vedevo la gente morta”: nella fattispecie Mazzini, Kant, Hegel piuttosto che Platone, Aristotele o Nietzsche camminare spensierati per la mia stanza. Guardavano i pesciolini nel mio acquario, osservavano i poster dei Muse appesi alla parete dell'armadio.
Credo di aver raggiunto il top proprio martedì notte: la microeconomia è venuta a sconvolgere il mio dolce sonno. Ho sognato numeri, le formule di monopolio, quelle del ricavo totale. Ho persino sognato di ripetere ad alta voce la definizione del profitto d'impresa, che, chiaramente, ho sbagliato (sarà forse un triste presagio per lunedì, giorno del mio ultimo esame di microeconomia? Speriamo di no!).
Così ho avuto una brillante idea: a cavallo della mia polo munita di libro di microeconomia, avrei sfidato il mal tempo che imperversava per un po' tutta Italia per andare al mare.
Premetto che il sole splendeva alto in cielo, ed una piacevole “bora” permetteva di resistere al caldo per almeno cinque minuti senza sbuffare.
Dopo essere arrivata in spiaggia, trovo un posticino appartato e posiziono gli attrezzi del mestiere: telo da mare, cibo, acqua e il libro di micro.
Devo dirvi che, tempo due minuti, ero completamente assorta nell'argomento di studio, il monopolio. L'unica distrazione è arrivata dopo un'oretta quando un aitante tedesco si è piazzato proprio davanti a me: a quel punto studiare era pressoché impossibile (vedi riflessioni in riva al mare..).
Ho trascorso al mare ben cinque ore, dalle undici e trenta alle sedici del pomeriggio.
Vi dirò che, quando è stato il momento di tornare a casa, ero più che soddisfatta: io e la microeconomia eravamo una cosa sola. Nulla sfuggiva alla mia somma sapienza, il monopolio non aveva più segreti per la mia mente erudita.
Ma: c'è sempre un ma.
Quando posiziono lo zaino sulla spalla destra, sento un leggero bruciore. Mi dico “mannaggia, credo di aver preso troppo sole sulle spalle”.
Arrivo in auto: non appena mi accomodo sul sedile della mia dolce polo, un urlo acuto squarcia il silenzio all'interno dell'abitacolo. Il dolore alla schiena era lancinante, bruciava come se qualcuno si divertisse a puntarmi addosso una fiamma ossidrica.
“perdincibaccobaccone mi sono scottata!!”.
I venticinque minuti di guida sono stati i più lunghi della mia vita: pur avendo abbassato i finestrini, con la forte speranza che l'aria potesse in qualche modo alleviare le mie atroci sofferenze, soffrivo come sul rogo, torturata dal sole appena preso (quando si dice “l'università fa male”.. beh, in alcune circostanze è vero!).
Non appena arrivo a casa mi piazzo davanti allo specchio: ebbene si, la mia schiena, le mie gambe, ed il mio fondoschiena sono dello stesso colore di un bel semaforo rosso. O della mia fantastica chiavetta della Vodafone a voi la scelta su quale delle due opzioni sia quella più diretta e chiara.
Tutto questo mi fa dire: signori, non vedo davvero l'ora che arrivi giovedì pomeriggio quando tornerò ad essere una donna libera! Almeno fino alla fine di giugno..!