Le favole di papà

Creato il 30 luglio 2010 da Mcnab75

Mio papà, di cui ricorre domani l'anniversario di morte, era una persona molto semplice. Aveva studiato solo fino alla quinta elementare, poi aveva iniziato a spaccarsi la schiena come saldatore. Potete ben immaginare che non aveva molto tempo da dedicare ai libri e alla cultura. Evitando le melensaggini che potrei facilmente evocare, vi confido che a dire il vero non aveva nemmeno grande simpatia per tutti coloro che puzzavano di “intellettuali”. Con la sana praticità dei lombardi vecchia maniera, diffidava da chi non arrivava a sera fisicamente stanco e “sporco”. Come se nell'esercizio mentale ci fosse qualcosa di sbagliato, di svilente. Questo è un punto su cui, no, non potevamo certo andar d'accordo.

Nonostante questa premessa, in casa mia non son mai mancati i libri. Mia madre (casalinga, ex sarta) mi procurò in età giovanissima le versioni in prosa, per ragazzini, dell'Iliade, dell'Odissea e della Divina Commedia. Testi fedeli all'originale ma comprensibili da bambini di un'età compresa tra i 6 e 12 anni, più o meno. Inutile dire cosa generarono in me quelle letture... Solo in seguito avrei scoperto i vecchi Salgari che lo zio di un mio amico custodiva in cantina, e poi ancora i Librogame, che qualche sapientone classifica erroneamente come narrativa di serie B.

Mio padre invece mi regalò le Favole al telefono, di Gianni Rodari. Non solo: gli piaceva leggermene qualcuna, la sera prima di andare a dormire, quando ancora i film iniziavano alle 20.30 e finivano alle 22. Verso i dieci-undici anni, quando già s'intuiva una mia certa inclinazione per la letteratura fantastica e avventurosa, iniziò a portarmi a casa delle copie della vecchia Fantacollana Nord, quella colorata di grigio, ricordate? Scoprii che aveva un collega appassionato di fantascienza che gli regalava i preziosi libercoli dopo averli letti. Di quei tanti volumi ne conservo solo alcuni, in particolare il primo che mi capitò tra le mani: La proposta, di Nino Filastò. Non certo il più bello ma, cribbio!, è pur sempre il primo...

Qualche mese più tardi arrivò a casa un libro ancora più bizzarro, che ancora conservo in bella mostra sullo scaffale: Guida alla lombardia insolita e misteriosa. Che fosse anche quello un segno premonitore? Sta di fatto che m'innamorai di tutti quei racconti di folklore popolare che parlavano di streghe, fantasmi e cavalieri che affrontavano draghi e diavoli.

Da quegli anni sembra passata un'era geologica, e magari è anche così. Adesso il livello medio d'istruzione è assai più alto, e molti genitori delle “nuove generazioni” possono vantare lauree o quantomeno diplomi. Eppure le statistiche ci parlano di un popolo sempre più ignorante, che magari conosce a memoria gli ultimi modelli di tutti i telefonini, ma che non sa nemmeno quali sono le regioni d'Italia o chi ha scritto Pinocchio. Ho la sensazione – ma sarà senz'altro la mia proverbiale supponenza – che i titoli di studio stiano diventando, oltre che inutili, dei simpatici trofei che le mamme mostrano alle amiche del circolo del té.

« Ohhh, ma lo sai che il mio Anselmo si è laureato con 110 e lode in Scienze delle comunicazioni alla Cattolica? »

« Che bravo! La mia Rita invece sta prendendo il master in cazzi e mazzi alla Bocconi! »

Scambio di battute da immaginarsi condito di finti sorrisi e di una gran voglia di prevaricare sulla controparte a furia di titoli veri o presunti.

E, sto generalizzando, lo so, mi viene in mente il papà di un mio conoscente, noto professionista con fior fior di laurea, diversi anni di carriera e studio con poltrone in pelle umana e piante di ficus, il cui unico vanto, ogni volta che lo incontro, è quello di “aver addocchiato la nuova zoccola che batte alla rotonda. Una veramente figa!”.

Inutile chiedergli se leggeva le favole di Gianni Rodari a suo figlio quando era piccolo, mi sa.
 


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