Mio papà, di cui ricorre domani l'anniversario di morte, era una persona molto semplice. Aveva studiato solo fino alla quinta elementare, poi aveva iniziato a spaccarsi la schiena come saldatore. Potete ben immaginare che non aveva molto tempo da dedicare ai libri e alla cultura. Evitando le melensaggini che potrei facilmente evocare, vi confido che a dire il vero non aveva nemmeno grande simpatia per tutti coloro che puzzavano di “intellettuali”. Con la sana praticità dei lombardi vecchia maniera, diffidava da chi non arrivava a sera fisicamente stanco e “sporco”. Come se nell'esercizio mentale ci fosse qualcosa di sbagliato, di svilente. Questo è un punto su cui, no, non potevamo certo andar d'accordo.
Nonostante questa premessa, in casa mia non son mai mancati i libri. Mia madre (casalinga, ex sarta) mi procurò in età giovanissima le versioni in prosa, per ragazzini, dell'Iliade, dell'Odissea e della Divina Commedia. Testi fedeli all'originale ma comprensibili da bambini di un'età compresa tra i 6 e 12 anni, più o meno. Inutile dire cosa generarono in me quelle letture... Solo in seguito avrei scoperto i vecchi Salgari che lo zio di un mio amico custodiva in cantina, e poi ancora i Librogame, che qualche sapientone classifica erroneamente come narrativa di serie B.
Mio padre invece mi regalò le Favole al telefono, di Gianni Rodari. Non solo: gli piaceva leggermene qualcuna, la sera prima di andare a dormire, quando ancora i film iniziavano alle 20.30 e finivano alle 22. Verso i dieci-undici anni, quando già s'intuiva una mia certa inclinazione per la letteratura fantastica e avventurosa, iniziò a portarmi a casa delle copie della vecchia Fantacollana Nord, quella colorata di grigio, ricordate? Scoprii che aveva un collega appassionato di fantascienza che gli regalava i preziosi libercoli dopo averli letti. Di quei tanti volumi ne conservo solo alcuni, in particolare il primo che mi capitò tra le mani: La proposta, di Nino Filastò. Non certo il più bello ma, cribbio!, è pur sempre il primo...
Qualche mese più tardi arrivò a casa un libro ancora più bizzarro, che ancora conservo in bella mostra sullo scaffale: Guida alla lombardia insolita e misteriosa. Che fosse anche quello un segno premonitore? Sta di fatto che m'innamorai di tutti quei racconti di folklore popolare che parlavano di streghe, fantasmi e cavalieri che affrontavano draghi e diavoli.
Da quegli anni sembra passata un'era geologica, e magari è anche così. Adesso il livello medio d'istruzione è assai più alto, e molti genitori delle “nuove generazioni” possono vantare lauree o quantomeno diplomi. Eppure le statistiche ci parlano di un popolo sempre più ignorante, che magari conosce a memoria gli ultimi modelli di tutti i telefonini, ma che non sa nemmeno quali sono le regioni d'Italia o chi ha scritto Pinocchio. Ho la sensazione – ma sarà senz'altro la mia proverbiale supponenza – che i titoli di studio stiano diventando, oltre che inutili, dei simpatici trofei che le mamme mostrano alle amiche del circolo del té.
« Ohhh, ma lo sai che il mio Anselmo si è laureato con 110 e lode in Scienze delle comunicazioni alla Cattolica? »
« Che bravo! La mia Rita invece sta prendendo il master in cazzi e mazzi alla Bocconi! »
Scambio di battute da immaginarsi condito di finti sorrisi e di una gran voglia di prevaricare sulla controparte a furia di titoli veri o presunti.
E, sto generalizzando, lo so, mi viene in mente il papà di un mio conoscente, noto professionista con fior fior di laurea, diversi anni di carriera e studio con poltrone in pelle umana e piante di ficus, il cui unico vanto, ogni volta che lo incontro, è quello di “aver addocchiato la nuova zoccola che batte alla rotonda. Una veramente figa!”.
Inutile chiedergli se leggeva le favole di Gianni Rodari a suo figlio quando era piccolo, mi sa.