In questi giorni sta passando sulle nostre reti televisive questo spot:
Sono rimasta particolarmente stupita nel visionare una pubblicità del genere, trovandola assolutamente anacronistica rispetto al prodotto venduto.
Allora mi sono chiesta se questa impressione non fosse dovuta al fatto che non siamo soliti assistere nel nostro contesto sociale alla nudità e alla sensualità maschile per vendere, a fronte di un bombardamento mediatico di senso opposto, attraverso il quale subiamo tutti i giorni passivamente immagini di donne in tutte le pose possibili e immaginabili accanto a slogan pubblicitari che con il corpo femminile non c’entrano nulla.
Ho anche raccolto qualche impressione dal web e i pareri passavano da chi esultava per questa inversione di rotta oprata dal marchio e chi invece se la prendeva con le femministe, accusate di aver smantellato le pubblicità in stile Saratoga per lasciare così lo spazio a pubblicità rivolte a donne e omosessuali (perché si sa, il bisogno di essere appagato “sessualmente” è prerogativa del maschio etero e la società deve essere costruita a sua norma e misura).
Lo spot in questione è stato studiato per vendere energia elettrica e gas alle famiglie e vede come protagonisti un Camille Lecourt, incoronato come l’atleta più bello delle olimpiadi 2012 (tra un quarto di chiappa di una pallavolista e l’altro), nella parte del bello e stupido e un Gerry Scotti in giacca e cravatta, nelle vesti del saggio di mezza età che ”ammonisce” paternalisticamente il ragazzo.
Il contesto in cui si gioca questo sketch è un’atmosfera leggera e allegra, quasi una parodia, che non ci impedisce comunque di constatare l’intento della pubblicità: colpire con un’azione di marketing inusuale e mostrarci maliziosamente il fisico del nuotatore francese.
Eh già, perché lo spot non si limita a mostrarci un bel fisico ma le inquadrature sono studiate per lasciare giusto quel poco all’immaginazione e su alcune parti anatomiche risultano insistenti, tanto che alla fine il tablet tenuto in mano va a coprire quei pochi centimetri che definiscono le parti intime.
L’impressione che ho avuto in ultima analisi è stata quella di una figura maschile svilita, sebbene nella nostra società gli uomini non siano rigidamente incastrati in questo modello allo stesso modo del femminile e, in definitiva, questo spot risulti meno incisivo nella coscienza di genere maschile. Inoltre, ci si può chiedere se la parità tanto agognata possa essere raggiunta proponendo la stessa quantità di carne maschile e femminile in tv (intento spesso attribuito alle femministe).
Bisogna sottolineare che il nostro intento, a qualcuno forse non è ancora chiaro, non è mai stato di stampo moralista. Non ci siamo mai battute contro il nudo e la sessualità. Anzi, riteniamo che questi siano profondi tabù sociali, e che la malizia spesso presente in pubblicità, che si tratti di uomini o donne, sia conseguenza diretta di queste negazioni e frustrazioni vissute nel quotidiano.
Quindi per raggiungere la parità servirebbero trasmissioni televisive e spot pubblicitari privi di riferimenti sessuali o basterebbe pareggiarli aggiungendo una maggior quantità di uomini in atteggiamenti sensuali?
Credo che queste tematiche impoveriscano la discussione, e probabilmente in un contesto sociale in cui la sessualità e la nudità fossero vissute con naturalezza e senza malizia molte problematiche di genere legate al marketing non si porrebbero nemmeno.
La parità di genere si gioca su più livelli e nasce dalla problematica per le donne di ritagliarsi spazi sociali che al momento non hanno. Sta qui il discrimine tra maschile e femminile, poiché questa disparità accompagna una rappresentazione stereotipata della donna in televisione e pubblicità che però è collegata a quella reale, mentre per il maschio non è così!
Ciò non toglie che il riconoscimento della soggettività sessuale femminile non si gioca sul campo degli spot pubblicitari ma su quello dell’educazione alla reciprocità e al rispetto.