Le fils de l’autre – Il figlio dell’altra

Creato il 12 marzo 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Anno: 2012

Durata: 105’

Distribuzione: Teodora Film

Genere: Drammatico

Nazionalità’: Francia

Regia: Lorraine Lévy

Uscita: 14/03/2013

Recensire l’ultimo film di Lorraine Lévy con ancora impresse nella mente le immagini del documentario Five Broken Cameras (Palestina/Israele/Francia 2011) di Emad Burnat e Guy Davidi diventa un’operazione più critica del previsto.

Di fronte alla potenza delle immagini della resistenza non violenta filmate da Emad Burnat nel suo villaggio Bil’in che, come un lembo di stoffa sdrucito, sventola nel centro della Cisgiordania, di fronte all’intensità dell’impatto emotivo di cui tali immagini sono il portato, Le fils de l’autre (soggetto originale di Noam Fituossi) corre il rischio di apparire una storiella edulcorata e un po’ scontata sui conflitti di appartenenza religiosi e culturali. Questo perché gli autori del film francese hanno voluto intrecciare a un tema che di per sé costituisce una fonte infinita di spunti narrativi, e cioè quello del ruolo che ciascun individuo riveste nella propria vita e in quella degli altri, del rapporto con l’infanzia e dell’esperienza di essere genitori, il tema spinoso del conflitto etnico, culturale, religioso che lacera la Palestina dalla notte dei tempi. La domanda è: in un film complessivamente ben girato, che cattura bene o male l’attenzione dello spettatore soprattutto grazie al carisma di Emmanuelle Devos che interpreta forse il personaggio più riuscito, perché andare a scomodare le appartenenze religiose dei protagonisti?

Ma andiamo alla trama. Durante la visita per il servizio di leva nell’esercito israeliano, Joseph (Jules Sitruk) scopre di non essere il figlio biologico dei suoi genitori, poiché appena nato è stato scambiato per errore con Yacine (Mehdi Dehbi), palestinese dei territori occupati della Cisgiordania. La rivelazione getta scompiglio nelle due famiglie e costringe ognuno a interrogarsi sulle rispettive identità e convinzioni e sul senso dell’ostilità che continua a dividere i due popoli. Nelle note di regia, Lorraine Lévy definisce il cinema uno strumento per comprendere l’umanità dell’Altro, che sembra essere da lei pensato come il portatore di una diversità e di una unicità più filosoficamente intese che connesse a una precisa e circoscritta, seppure molto complessa, realtà storica. L’inconciliabile conflitto etnico, nel film, sembra allora voler essere utilizzato, senza troppo successo, come trampolino di lancio per una storia che avrebbe potuto decollare da sola. Al contrario, la scelta di mantenere un doppio livello narrativo si rivela controproducente, non rende possibile un vero approfondimento della psicologia dei personaggi, laddove però questo approfondimento sembra perseguito! E incide malamente anche sul finale, noto scoglio, sul quale la regista riesce con una manovra di salvataggio a evitare di incagliarsi, ma senza troppa convinzione.

Manuela Materdomini


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