A come Atrocità, doppia T come... No, quello è un altro acrostico. A come Ambrosio, R come Rees, O come Oliver, W come Wass, S come Southgate. Unica concessione una doppia R invece che singola ed esce 'ARROWS', ovvero 'frecce'. Il nome scelto dai transfughi della Shadow a inizio 1978 è proprio bello. Ma se è vero l'adagio che dice che chi ben comincia è a metà dell'opera, allora la povera Arrows in più di vent'anni di onorata carriera in Formula 1 dell'opera non riuscirà mai a completare l'altra metà e portarsi a casa un successo in un Gran Premio valido in un mondiale nonostante le buone occasioni non le mancheranno.
Il primo simbolo è Riccardo Patrese. Ambrosio è quello che mette i soldi e così tra Jones e Patrese è più normale che sia il giovane emergente padovano ad essere trafugato alla Shadow insieme ai tecnici. A Kyalami, al terzo gran premio della stagione 1978 e quindi alla terza apparizione della nuova Arrows A1 (che in realtà è uguale alla Shadow DN8) , Riccrado va in testa verso metà gara ma la rottura del motore lo appieda poco dopo. Un bel secondo posto arriva in Svezia, dietro la criticata Brabham-Alfa di Lauda con le ventole. Tutti si convincono che la vittoria prima o poi arriverà. Invece il buon Riccardo colleziona solo un secondo posto a Long Beach nel 1980 e uno splendido avvio nel 1981 che gli vale un terzo posto in Brasile, un secondo a Imola e tanta rabbia a Long Beach. Sul circuito californiano tutti sembrano dover cadere nella tela dell'Uomo-Ragno, soprannominato così per la marca di ceramiche che appare a caratteri cubitali sulla sua Arrows marroncina: pole, 25 giri in testa e poi un pezzo di lana usato per eliminare le perdite finisce nel filtro della benzina e ciao ciao sogni di gloria. Una tragedia sfiorata nel Gran Premio del Belgio lascia presagire che la seconda parte della stagione 1981 non sarà altrettanto ricca di soddisfazioni. Sulla griglia Patrese si agita perché il motore si è spento, il meccanico Dave Luckett si butta in pista, ma il direttore di gara da comunque il via e Siegfrid Stohr sull'altra Arrows centra alle gambe lo sfortunato meccanico.
Quando Boutsen va via arrivano la coppia Warwick-Cheever, i motori Megatron e un primo cambio di denominazione: da Arrows a Footwork. Nel triennio 1987-1989 la macchina è buona, va spesso a puntio ma per il podio contro i colossi Honda ci vuole ben altro. L'americano de Roma Eddie Cheever ne arpiona due: a Monza nel 1988 nel giorno in cui Jean Louis Schlesser fa fuori Senna e regala alle Ferrari l'unica vittoria non McLaren della stagione, e poi a Phoenix nel 1989, in un altra gara a eliminazione. Ma il vero cruccio per la Footwork rimane il Gran Premio del Canada 1989, una gara un po' bagnata e un po' asicutta in cui Derek Warwick sembra azzeccare i giusti pneumatici e staziona stabilmente nella zone podio quando lo tradisce il motore. Alla fine vincono le due Williams degli ex Boutsen e Patrese, un segno del destino.
Altre cinque stagioni a centro gruppo con qualche soddisfazione momentanea e poco più. Poi nel 2002 le frecce ormai definitivamente spuntate chiudono i battenti. I telai 2002 assaggeranno ancora l'asfalto della Formula 1 nel 2006 dopo l'acquisto da parte della Super Aguri. Una fine ancor più ingloriosa per una scuderia che ha vissuto gli ultimi anni della Formula 1 a buon mercato e ha resistito per un'altra ventina di stagioni senza però mai compiere il salto di qualità.