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Le gioie della malinconia. Una lettura critica del romanzo GIOVINEZZA di Paolo Sorrentino che ha ispirato il film YOUTH.

Creato il 24 maggio 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
 2015-05-21-1432169372-1677278-Lagiovinezzadi Giuseppe Leuzzi. Un’allegra storia di vecchiaia. Dove si cumulano altri fallimenti, e si incassano nuovi dividendi. Attorno a due  mostri sacri, il grande musicista e il grande cineasta,  rinchiusi in una spa conventuale, un centro benessere – si dice sia il Bergogtel Schatalp a Davos, lo stesso dove Thomas Mann ambientò “La montagna magica”. Testimone ubiquo e muto l’alter ego, anche somatico, del regista: l’attore di cinema re degli incassi incerto sul senso della storia – finirà per immedesimarsi in Hitler. 

Un film allegro benché claustrale – d’immediato successo di pubblico. Sottilmente claustrofobico benché immerso tra i prati smeraldini delle Alpi. Per la Spa o Kurhaus dominante, monumentale e vuota, sempre tristemente alla moda oltralpe – e più per le storie letterarie e artistiche che si vuole v si dipanassero, soprattutto gli adulteri in età matura. Ma in controtendenza con le tematiche funeree, sesso esplicito compreso, del festival di Cannes dove ha esordito: si potrebbe dire le gioie della malinconia. Di una tristezza avvertita, matura, nei vecchi come nei giovani, che sanno guardare oltre – solo l’intellettualità vacua è bollata (“Strawinskij una volta mi ha detto che gli intellettuali non hanno gusto”), sotto forma di  sceneggiatori di cinema assorti e sciocchi.

Un film nuovamente felliniano, come “La grande bellezza”, e personale. Infiniti gli echi e i calchi. Sophia Loren al debutto nelle forme di Madalina Ghenea, con lo stesso sguardo sottomesso e sfidante, oltre che con le forme prorompenti. Lo Steiner-Alain Cuny della “Dolce vita” nel regista Harvey Keitel che sceneggia “L’ultimo giorno di vita”, l’ultimo suo film, prima di uccidersi. Il regista inseguito dalle sue attrici, i suoi fantasmi, nel prato, in maschera. Madalina Ghenea sull’acqua alta in piazza San Marco come Anita Ekberg nella fontana di Trevi

Per molti versi Sorrrentino sembra un avatar, buono, di Fellini. Per il gusto delle immagini, che si diverte in ogni film a rifare. Ha perfino il “suo” attore, Toni Servillo, come Matroianni per Fellini. Che a un certo punto anche lui abbandona – qui per Michael Caine. Altrettanto innamorato della cinepresa, del mestiere – qui improvvisa pure il videoclip, senza respiro, più rapido del videogame.  Se “La grande bellezza” era la sua “Dolce vita”, questo “Youth”“ è il suo “8 e 1\2” – o piuttosto il suo “Amarcord”.

Ma, poi, Sorrentino scrive i suoi film – filma i suoi romanzi – mentre Fellini li disegnava. Li scrive e li sceneggia da solo. Qui irride la truppa dei cosceneggiatori che normalmente fa corona al regista di un film, presuntuosi, incapaci. E non improvvisa. Fellini, che era stato sceneggiatore di Lattuada, Germi, Comencini, amava lavorare con sceneggiatori di genio, Zavattini, Flaiano, Tullio Pinelli, Tonino Guerra, Brunello Rondi, Pasolini – oggi, certo, dove li troverebbe Sorrentino? E sul set improvvisava, lasciandosi trascinare dagli umori e dalle immagini stesse. Sorrentino vuole personaggi, anche marginali, con una storia, costruiti, mentre Fellini ne voleva di episodici, meglio se in maschera, esagerati. Fellini è autofictivo nei film maggiori, compreso “Casanova”, e esagerato, “espressionista”. Sorrentino è un narratore, limpido, non intromettente. Della stessa forza malinconica, ma sottile, ugualmente invadente, forse ossessiva, ma non gridata.

Paolo Sorrentino, Youth

Paolo Sorrentino, Giovinezza. Youth, Rizzoli, pp. 194, ril. € 17


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