Le Idi di Marzo

Creato il 03 gennaio 2012 da Elio
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LE IDI DI MARZO (2011)
Regista: George Clooney
Attori: George Clooney, Philip Seymour Hoffman, 
   Ryan Gosling, Marisa Tomei, Paul Giamatti, 
   Evan Rachel Wood
Paese: USA

Le Idi di Marzo”, un titolo quanto meno pretenzioso. Usare la festività dedicata nell'Antica Roma al Dio della guerra per una pellicola simile, già impone un risultato, se non altro in termini di potenza, al minimo notevole; perché impone ancor prima delle aspettative affatto indifferenti. Quello scelto, peraltro, è uno scenario che si offre perfettamente al soddisfacimento di tali aspettative, essendo di suo un miscuglio melmoso di viscidume e cinismo, e che non ha quindi bisogno di esser reso ancora più spettacolare dallo strumento cinematografico. Non semplicemente politica, ma politica in campagna elettorale, ossia una delle espressioni più significative ed esplicative della stessa.
Stephen (Ryan Glosling), freddo e sicuro, è il caporedattore della campagna elettorale a sostegno del governatore Morris (George Clooney), idealista e uomo modello. A dirigerla è Paul (Philip Seymour Hoffman), passionale e con anni di esperienza alle spalle. Tom Duffy (Paul Giamatti), cinico e provato anch'egli dagli anni passati nell'ambiente, si occupa invece della campagna a favore del senatore Thompson (Jeffrey Wright). Ida (Marisa Tomei), opportunista e senza troppi scrupoli, e Molly, giovane e fin troppo fragile, rispettivamente giornalista e stagista, contribuiranno come gli altri alla rottura di equilibri già di per sé precari e più in generale all'evolversi della storia.

I caratteri tipici di un classico thriller politico americano, insomma, ci sono tutti e Clooney almeno inizialmente sembra posizionarli nel racconto e servirsene nel migliore dei modi. Non ha bisogno, “Le Idi di Marzo”, di troppe sequenze per darsi un volto riconoscibile, tanto da far proprio fin da subito un ambiente che pur non essendo, invero, così difficile da inquadrare, necessita comunque di scelte ed aspetti filmici ben precisi. Su tutti i dialoghi. Devono essere, infatti, particolarmente curati e modellati secondo quel linguaggio tipicamente politico che punta a dire tutto senza dire niente, risultando tuttavia affascinante – già i primi discorsi del governatore Morris, o quelli di Paul nel bar - e quello diretto e tagliente di chi sa di muoversi tra gente e situazioni così labili da rischiare di svanire in meno di un'ora. In questo la parte iniziale del quarto lungometraggio di Clooney riesce senza dubbio e la scacchiera, con le relative pedine, che sarà poi teatro delle interazioni tra i personaggi elencati, risulta assai chiara e ben delineata.
Riesce inoltre anche dal punto di vista prettamente estetico. L'uso delle luci è perfetto per un thriller di questo genere. Già le sequenze all'interno dei locali sarebbero sufficienti a dare concretezza a quanto scritto. Si veda anche solo quella che inquadra Stephen con Paul e Ida; seduti al tavolo di un locale illuminato da luci calde, capaci di contrastare in maniera innegabilmente affascinante il grigiore della metropoli, come dell'ambiente in cui per tutta la giornata si sono mossi i protagonisti, vengono osservati attraverso uno sguardo registico che si lega a filo doppio con una fotografia ricercata ed essenziale. Come quest'ultima, infatti, quella di Clooney è una regia calibrata ed elegante che non si lancia in particolari virtuosismi, né evidenti cambi di registro. Il risultato è un'eccellenza stilistica davvero notevole che non solo contribuisce a tenere in piedi la pellicola ma che in tutta probabilità ne rappresenta la colonna portante. Ricorda in questo senso l'ottimo “Michael Clayton” di Gilroy, con protagonista lo stesso Clooney; anche in quel caso il comparto estetico giocava un ruolo fondamentale nel vestire una sceneggiatura che pur non parlando specificatamente di politica, comunque si avvicinava alla stessa con dinamiche torbide e aggrovigliate.

Sul paragone tra le due pellicole, tuttavia, si tornerà a breve. Scrivendo, infatti, degli elementi che contribuiscono a sostenere l'ultimo lavoro di Clooney, non si può non elogiare le interpretazioni. Giocano un ruolo che definire essenziale potrebbe anche suonare riduttivo, considerato il fatto che al netto della qualità delle stesse il giudizio sarebbe stato ben più negativo. Clooney continua a mostrarsi attore davvero capace, convincente e assai cinematografico. Ad affiancarlo nomi che come il suo non hanno certo bisogno di presentazioni, su tutti un Philip Seymour Hoffman che si avvicina sempre più a livelli divini, già toccati peraltro in quel capolavoro che è “Synecdoche, New York”. Marisa Tomei e Paul Giamatti sono sempre ottimi caratteristi ed Evan Rachel Wood sembra anch'essa essere in continua crescita. E poi c'è la stella del momento, Ryan Glosling, lanciato definitivamente con il recente “Drive” di Refn. Il problema, tuttavia, riguarda proprio la sua interpretazione. Quando non deve battere ciglio, non deve assumere espressioni o quando, tutt'al più, deve limitarsi ad un sorriso sornione, è perfetto. Perfetto, infatti, è nella pellicola di Refn. Quando però è chiamato a fare altro crolla in maniera paurosa; Basti dare un'occhiata anche veloce alla sequenza della rivelazione nella camera d'albergo. La sua offerta espressiva in fatto di sgomento è imbarazzante, tanto che quegli occhi sgranati in maniera così elementare sembrano quelli di un giovane attore improvvisato durante la recita di fine anno.
Ma non è questo a compromettere la riuscita della pellicola, ovviamente. A farlo, invece, è la sceneggiatura. Non che sia superficiale, abbozzata o poco curata. È però davvero debole, priva di un intreccio ricercato e coinvolgente; al termine non si può fare a meno di restare impassibili dinanzi ad una evoluzione assai anonima del racconto. Peraltro quanto descritto è un mondo che si conosce fin troppo bene e che come si diceva inizialmente non ha certo bisogno del cinema per essere cinematografico. Una qualsiasi campagna elettorale in questo stesso Paese è sufficiente a far impallidire quanto accade ne “Le Idi di Marzo”. Certo, è vero anche che una sceneggiatura non ha necessariamente bisogno di un intreccio folgorante laddove voglia raccontare uno stato d'animo, un'atmosfera, o la parte più intima di un personaggio. In quel caso, però, deve saperli raccontare e il film di Clooney decisamente non riesce a farlo. Torna utile in questo senso il paragone con “Michael Clayton”, in cui si respira un'aria soffocante e maleodorante che rende la storia viva e non a caso particolarmente riuscita; una storia i cui personaggi appaiono umani e credibili e quindi assolutamente degni della più totale empatia.

La classica confezione di tutto rispetto al cui interno però non c'è molto, quindi, capace di mettere in risalto l'importanza, seppur per demeriti, della capacità narrativa ancor prima che degli altri aspetti tecnici che interessano la costruzione di una pellicola. Tuttavia la mano registico-autoriale c'è e si vede, quindi è lecito sperare nelle prossime pellicole di colui che un tempo faceva scoppiare teste nel Titty Twister.