Le Iene di Quentin Tarantino

Creato il 25 luglio 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Il 1992 ha regalato all’intero panorama cinematografico una delle figure più controverse e appariscenti che la settima arte abbia mai avuto, Quentin Tarantino, un giovane commesso di un videonoleggio americano abituato a divorare quotidianamente dozzine e dozzine di VHS. E sarà proprio la sua cinefila voracità a renderlo uno dei registi più influenti e brillanti degli ultimi 20 anni. Tarantino esordisce alla regia e alla sceneggiatura con Le iene (Reservoir Dogs) e segna al primo lungometraggio la storia del cinema mondiale; allo stesso tempo il regista americano espone al grande pubblico e al mondo della critica internazionale i capisaldi della sua filmografia, perché Le iene, oltre a essere il punto più alto mai raggiunto dal cineasta statunitense, è la sorgente della filosofia tarantiniana. In occasione del ventesimo anniversario, il primo lavoro di Tarantino è ritornato nelle sale offrendo, a chi per questioni anagrafiche o impegni improrogabili si era lasciato sfuggire l’opportunità, la possibilità di gustare per la prima volta la pellicola al cinema, e contemporaneamente permettendo agli estimatori dell’opera di ritornare a rivivere le emozioni della prima visione con maggior consapevolezza. A Los Angeles una strampalata banda di malviventi in giacca e cravatta (è chiara l’influenza dei Blues Brothers) e dai nomi fittizi fallisce una rapina a causa di un poliziotto infiltrato ed è costretta a una disordinata fuga; il loro successivo incontro all’interno di un deposito abbandonato darà vita a una carneficina fisica e verbale di altissimo livello, in cui Tarantino mostra il meglio di sé.

Le iene, la pellicola che inaugura la cosiddetta “Trilogia Pulp”, è infatti un oggetto prezioso, un ibrido cinematografico che non lascia nulla al caso. Tarantino, guidato dal suo estremo citazionismo, reinventa il gangster movie attingendo alla Nouvelle Vague e al cinema orientale e fondendo insieme Kubrick e Scorsese, donando al suo cocktail un’impronta assolutamente personale. Nelle mani di Tarantino le citazioni acquisiscono una nuova forma e un diverso significato, al tempo stesso la loro presenza permette di reinventare il passato, attualizzarlo e renderlo futuribile. Il marchio di fabbrica tarantiniano è ormai divenuto famoso in tutto il mondo, ma solo con Le iene, e i successivi Pulp Fiction e Jackie Brown, è riuscito a mostrare la sua vera essenza: ironia dissacrante, violenza ultrarealistica, dialoghi deliranti, cronologia frammentata e cultura avantpop. Elementi per cui il primo lungometraggio di Tarantino è stato duramente denigrato, e rivaluto solo dopo il successo planetario di Pulp Fiction. Il cineasta americano ha iniziato in tal modo un cammino fatto di sangue e parole, di morte e sogghigni, di sacro e profano, spianando la strada a numerosi autori che hanno fatto e fanno del suo cinema il proprio punto di riferimento, primo tra tutti Robert Rodriguez.

Nonostante il mondo tarantiniano sia ricordato e riconosciuto per l’estrema violenza e per l’enorme quantità di colore rosso, le sue opere non sono affatto impetuose e irrazionali, ma sono caratterizzate da una certa logicità. La perfezione maniacale delle scene, del profilo dei personaggi e dei dialoghi è frutto di un lavoro estremamente delicato e accuratamente studiato. Il caos e il disordine che avvolgono i suoi film sono creati razionalmente e razionalmente devono essere assimilati; per questo motivo si commette uno sbaglio quando si pensa che Tarantino sia un abile intrattenitore che delizia i suoi spettatori con schizzi di sangue e brillanti giochi di parole. E nell’errore è caduto proprio lo stesso Quentin, il quale nelle ultime pellicole ha trasformato in semplice “violenza di pancia” quella furia brutale che intende invece arrivare al cervello, e che è propria de Le iene. Non è un caso che l’elemento che regge la filosofia tarantiniana sia il logos, inteso sia come parola o discorso sia come ragione; nei film di Tarantino la parola arriva prima delle immagini e investe l’intera opera, precede e segue la violenza e della violenza si nutre.

I dialoghi sono stati in effetti un punto di riferimento per gli sceneggiatori di tutto il mondo. Il logos, insieme al suo opposto, caratterizza ogni elemento e ogni personaggio del mondo cinematografico di Tarantino, un universo in cui gli opposti convivono e si servono l’uno dell’altro e in cui il concetto di reale acquisisce connotati nuovi. A Tarantino va il merito di aver creato un mondo parallelo a quello vissuto quotidianamente, in cui tutto acquisisce un senso proprio perché è il regista a darlo. Vent’anni dopo gli elementi che hanno reso memorabili i suoi lungometraggi sono in gran parte andati perduti, non perché non sia più capace di realizzare film di un certo livello, ma perché lui stesso ha iniziato a logorare la sua filosofia cinematografica e a riproporre i medesimi all’infinito, svuotandoli del loro significato originario. Il logos ha ormai lasciato il posto al mero intrattenimento.


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