Era già da un pò che avevo voglia di analizzare quelle che io chiamo “Le illusioni della mia generazione“, cercando di comprendere cosa ci sia di cosí diverso oggi dalla spensieratezza che emergeva sempre dai racconti dei propri genitori che avevano la possibilitá di vivere completamente la propria vita, senza essere sempre in relazione ad un contesto in difficoltà e troppo vasto in cui è difficile comprendere il proprio ruolo ma dove è semplice capire di essere vittima della voracità di pochi, dovendo ogni volta rivoluzionare i propri obiettivi perchè il contesto si è trasformato completamente.
Capita spesso, se non sempre, di volgere il pensiero verso il tempo che è stato dei nostri genitori o per meglio dire, il tempo delle generazioni che ci hanno preceduti. Con altrettanta facilità si strutturano confronti con quelle generazioni su alcuni fattori che caratterizzano le nostre vite, in genere, veri e propri capisaldi ancorati alla vita stessa, quindi casa, lavoro, e collegati indissolubilmente a questi, spesso come il risultato di un processo lungo e tortuoso, ci sono la serenità e soprattutto la felicità.
Capita poi di dover destrutturare le proprie aspettative, tutte costruite attorno alle favole di quei tempi, il lavoro a tempo indeterminato, il lavoro statale che ti abbraccia dalla culla alla tomba, avere il tempo di coltivare con calma e pazienza i propri sogni, avere una bella famiglia e passare un pò di tempo in più con i propri figli.
Risulta, quindi, davvero difficile trovare un punto d’incontro tra questa e quelle vite senza intenderci, tutti, immersi in un mondo che va troppo veloce per noi. Non è tanto rintracciabile nella modernità questo carattere dinamico del mondo ma nel fallimento di quella struttura costruita sulla possente base del capitalismo, che trasforma tutto in merce. Le parole d’ordine che dovrebbero essere i capisaldi di uno sviluppo certo come merito ed uguaglianza sono state, anno dopo anno, barattate per l’ingordigia e l’avidità e quando queste sono divenute devastanti, ogni struttura od istituzione si è così riempita di superficialità, caratteristica principalmente collegata ai nuovi valori imperanti nella società.
Anche l’Università, essendo istituzione, si è trasformata in una fabbrica di sapere omologato, iperselettiva e vanesia sino al punto di tenersi i peggiori e cacciare i migliori , che spalle al muro venivano e vengono tutt’ora accolti dalle Università del mondo, estasiate dalla stoltezza italiana.
Il sapere è sotto il giogo delle élites accademiche.
Da Universitario quale sono, la mia riflessione risulta molto più semplice.
La comparazione tra il prezzo che si paga per un bene e la sua qualità, nell’Università, risulta alquanto indecorosa.
Soprattutto negli ultimi anni le Università si sono trasformate in bancomat mangiasoldi senza trasformare questi in possibilità concrete di vedere realizzato, o almeno iniziato, nella sostanza, quell’investimento. File indecorose, paragonabili a quelle della “social card”, per attestare che tuo padre è un morto di fame e quindi tu meriti la borsa di studio e non quello avanti a te, che ha un padre che lo fa mangiare giusto un pò in più, ma troppo per prendere la borsa di studio.
Eppure il prezzo della tassa regionale al diritto allo studio si è impennato del 120 per cento, gravando in modo esagerato proprio su quelle famiglie, escluse al fotofinish per la borsa di studio.
Così l’Università da bene pubblico, si trasforma in bene per pochi, solo chi può permettersi quei costi può entrarci, è solo per chi riesce ad ottenere per un pelo la borsa di studio (dimostrando a libretto di poter mantenere quella borsa di studio, altrimenti si deve arrangiare). Quindi ti devi arrangiare se un prof. ti prende di mira ed invece di utilizzare una scala di valutazione che va dal misero 18 al fenomenale 30 decide che la tua preparazione è a-valutativa, in questo caso “scarsa”, la tua storia alle spalle, i tuoi sacrifici, il tuo impegno passano in secondo piano e l’importante è che tu ripeta un esame 10 volte, senza intuire che c’è qualcosa che non va se ci sono tanti, troppi “suoi” studenti che quell’esame non riescono a superarlo.
Il risultato di tutto questo è semplice.
Criminalizzare gli studenti è stata sempre la strada più semplice da intraprendere per giustificare i numeri indecorosi dell’istruzione italiana, senza guardare al poltronificio creato ad hoc per accontentare gli amici degli amici, per ammansire quegli intellettuali che con unghie ben affilate proteggono le loro poltrone e che potrebbero rappresentare una minaccia per la stabilità del sistema.
Come è possibile che in tutti questi anni, non si sia fatto nulla per evitare l’emigrazione quasi totale del capitale umano prodotto a fatica da Università sempre meno pragmatiche in termini di sapere? Cosa c’è dietro alla mediocrità dell’Università pubblica italiana o il tutto deve essere sempre risolto nella constatazione di un privato, in Italia, sempre più avvantaggiato e reso invulnerabile dai favoritismi della politica arraffona e corrotta fino al midollo?
Pensate mai a come farete per sostenere tutte queste spese quando toccherà a voi costruire una famiglia col sudore della vostra fronte?
Io alle volte ci penso, forse troppo spesso, e le reazioni del mio corpo sono le più svariate. Mi gira spesso la testa perchè quando guardi nel vuoto non riesci proprio ad orientarti, hai perso ogni riferimento, quei riferimenti dove sei cresciuto con la tua famiglia e quindi inizi a perdere la percezione della realtà. Cerchi distacco ma sai di essere legato a quella vita, ma non sai quando ci sarà quella tremenda rottura rispetto al passato. Quel giretto ogni tanto per far passare quel disorientamento, quel gelato per raffreddare i pensieri più caldi e più persistenti che continuano a non dare tregua alla tua vita.
Il futuro oggi è quel vuoto, dove sai di non poter trovare nemmeno un appiglio, e l’unica cosa che ti è rimasta è paradossalmente la tua persona e la tua tenace voglia di galleggiare, ancora per un pò, centimetro dopo centimetro cercando di emergere da quella grande distesa di incertezza. Sai quanto vali ma non sai se è il tuo momento e fuori tutto è buio. Guardi chi prima di te non ce l’ha fatta e ti domandi cosa mai avrai di più tu per arrivare a quel traguardo. Ti siedi, mentre ancora la testa gira, e cerchi di concentrarti almeno sulle certezze, quelle che stenti a trovare.
Tu che sai fare?
Bah, a parte aprire un libro, leggerlo, impararlo e ripeterlo all’infinito per poi dimenticarlo rapidamente dopo aver sostenuto l’esame, proprio niente.
Sai scrivere?
Bhè me la cavo, ma niente di eccezionale a mio avviso, certo ho visto anche gente peggiore ma continuano a dirmi che anche il mondo dell’editoria è in crisi e che se non ti metti a quattro zampe e con un cappotto bello pesante sulle spalle non vai da nessuna parte.