Iacobelli viene da lontano. Quali sono le origini e l’evoluzione della casa editrice?
In realtà la casa editrice Iacobelli esiste da circa sei anni, dalla fine del 2007, però abbiamo una storia e radici molto profonde nel mondo dell’editoria. Nasciamo infatti come azienda di arti grafiche negli anni ’50, grazie all’iniziativa di Giovanni Iacobelli, ma fin dall’inizio abbiamo avuto esperienze editoriali interessanti. Ad esempio Roberto Iacobelli ha partecipato alla prima iniziativa editoriale degli Istant Book con un libro sulla diga del Vajont. Negli anni ’80 siamo stati i primi a parlare della notte a Roma e a portarla sulla carta stampata, sia con le Agende della notte, sia con la Tovaglia (un foglio distribuito nei locali romani e utilizzato appunto come tovaglia dove erano riportati gli eventi notturni della città), anticipando nei tempi Cartellone, un inserto di Repubblica che poi diventerà l’attuale Trovaroma.
Grazie poi alla sinergia con Enrica D’Augè, la direttrice editoriale, alla sua lunga esperienza nel mondo della pubblicità e alla passione per i libri, abbiamo creato la casa editrice.
Iacobelli è una casa editrice ma nasce come tipografia. Forse è questa la vostra peculiarità più significativa: gestire “in casa” l’intero processo di formazione di un libro. Quali sono i vantaggi e gli svantaggi (se ce ne sono) di offrire un “prodotto libro” completo?
È sicuramente un vantaggio perché si lavora insieme, si decidono le cose insieme, il contributo grafico precede addirittura la scelta del libro. Lo svantaggio invece è rappresentato dal non avere solo i propri libri da stampare, cosa che comporta spesso il mancato rispetto dei tempi. In ogni caso, ed è bene ricordarlo, la nostra storia di arti grafiche è molto radicata, soprattutto a partire dagli anni ’80, nel mondo dell’editoria. Siamo una tipografia molto conosciuta, soprattutto fra le piccole e medie case editrici romane (che, tra l’altro, rappresentano un fenomeno culturale molto importante in Italia e ormai da diversi anni sono molto più numerose di quelle milanesi).
Oggi come è organizzata la casa editrice, quante sono le persone coinvolte, come è suddiviso il lavoro?
In casa editrice lavorano quattro persone a tempo pieno, una per l’ufficio stampa e tre per la redazione.
Colpisce il numero elevato di collane presenti in catalogo e soprattutto la loro diversità. C’è una scelta progettuale precisa? Qual è il criterio guida del vostro piano editoriale?
Sì è vero, c’è un’offerta troppo vasta. Inizialmente è stata anche una scelta perché, presi dall’entusiasmo, volevamo fare tutto, la narrativa, i saggi, i fumetti, sollecitati anche dai moltissimi contatti che, soprattutto nei primi anni, è stato difficile codificare e razionalizzare. Adesso però abbiamo deciso di rivedere il piano editoriale e nel 2013 passeremo dalle attuali dieci collane a quattro. Prevediamo di chiudere la collana Graffiti, una collana di letteratura, lasciando soltanto Frammenti di memoria, una collana che si pone tra narrativa e saggistica ospitando memoir e storie vere. Manterremo Parliamone, collana di saggistica dedicata all’attualità, la collana, per intenderci, dove è stato pubblicato Amortalità di Catherine Mayer. Resterà anche la piccola collana Workshop, sempre di saggistica ma dedicata alle Università e a un pubblico più specialistico. Resteranno ovviamente le Guide perché ci piacciono molto e piacciono anche ai lettori. Ad esempio, la guida sul Cimitero acattolico è stata recensita ancora qualche giorno fa, a otto mesi dalla pubblicazione. Sono guide particolari, i percorsi turistici presi in esame vengono affrontati anche dal punto di vista storico e letterario, il lettore può diventare lui stesso guida. Abbiamo concepito, inoltre, la primaguida di Romaal femminile, suddivisa per quartieri. Dopo Trastevere sta per uscire quella dedicata al quartiere Ostiense. La peculiarità è raccontare Roma attraverso le esperienze di donne che hanno contribuito a scrivere la storia, da Anita Garibaldi alla Sora Lella, ad esempio.
La variegata offerta editoriale comporta anche una variegata offerta grafica. Come nascono le copertine Iacobelli? È più importante una bellissima copertina o un bellissimo contenuto per il successo di pubblico di un libro?
In generale il rapporto con il grafico non è facile, dovendo fare i conti con l’autonomia e un’interpretazione del libro spesso distanti dalle proprie. Anche su questo però stiamo cercando di unificare e abbiamo deciso di affidare le nostre due collane più importanti, Parliamone e Frammenti di memoria, aRiccardo Falcinelli, il grafico di Einaudi e minimum fax, indubbiamente tra i migliori grafici sul mercato. Una persona eccezionale. Noi del resto ci siamo sempre riferiti a grafici di livello. Le guide sono state prodotte da Design Factory La copertina resta comunque un elemento molto importante per un libro, a parte la qualità dei contenuti, soprattutto per una casa editrice come la nostra che è molto piccola e che rischia sempre di passare inosservata in libreria.
Quanti libri pubblicate in un anno?
Dipende. Lo scorso anno ne abbiamo pubblicati 28-30, l’anno prima molti di più. Lo scorso anno abbiamo pubblicato meno libri ma abbiamo aumentato il fatturato. Con la diminuzione delle collane il prossimo anno aumenterà il numero di titoli, e potremo arrivare anche a 35.
Di ritorno dall’ultimo Salone del Libro di Torino, quali le considerazioni e le riflessioni? Partecipare a questi eventi è opportuno, necessario o inutile per una casa editrice come Iacobelli?
Saloni come quello di Torino si rivelano utili soltanto per gli incontri tra gli addetti ai lavori e in particolare per i diritti esteri. Per l’immagine invece servono a poco. Se a Roma, ad esempio, il salone sull’editoria si conferma un’ottima opportunità per la propria immagine, a Torino invece il pubblico affolla sostanzialmente gli stand dei grandi editori, e tutti gli altri restano pressoché ignorati. Noi siamo andati con la Camera di Commercio, altrimenti i costi sarebbero stati troppo elevati. Ogni anno è sempre una grande delusione. Quest’anno ci sono state assenze tra gli editori indipendenti a conferma che manifestazioni di questo tipo non sono più sostenibili, soprattutto per come vengono impostate. Al loro interno il pubblico è male indirizzato. Torino è, in realtà, una grandissima libreria per le grandissime case editrici.
Che cosa pensate dei nuovi e sempre più diffusi mezzi di comunicazione e social network utilizzati per la promozione editoriale e non solo?
È sempre opportuno studiare i fenomeni, anche quelli che possono sembrare futili. E lo diciamo come editori che nascono nella carta e credono nella carta. Questi nuovi sistemi di comunicazione hanno facilitato il collegamento tra le persone, anche se a volte sembra che si sia perduto il senso della misura. Esistono poi problemi di target. Essendo il popolo dei social network un popolo molto affollato e variegato, si rischia di disperderela comunicazione. Utilizzare questi strumenti è comunque molto importante, ma altrettanto lo è continuare a servirsi di quelli tradizionali.