Conseguenza logica e inevitabile di quel “cerebralismo” e di quell’abbandono della “bellezza”, che quasi sempre vi si accompagna, è la fuga in massa dei lettori appassionati – talvolta anche molto sinceramente e fortemente motivati alla scoperta delle nuove frontiere letterarie – dalle proposte di questi spiriti nobilmente intellettuali e propositivi – ma pressoché inaccessibili agli intelletti più ordinari –, per andare a rifugiarsi in tutta una serie di iniziative offerte dal mercato e dal Web: settori molto vasti e ricchi dal punto di vista quantitativo, ma non altrettanto da quello qualitativo. Molto rare sono le eccezioni che riescono a conciliare in una sola opera una larga diffusione e un serio impegno letterario-contenutistico, quasi che sia destino ineluttabile che alla larga diffusione debba coincidere necessariamente la dozzinalità e al serio impegno inevitabilmente uno sperimentalismo inaccessibile ai più. Su questo punto però mi sento di condividere a grandi linee le idee espresse da stroszek85 in un bell’articolo diviso in tre parti su digita.org, e in particolare nella prima e nella seconda (sulle sue conclusioni, sul “caso Wu Ming” e sul New Italian Epic, di cui si dice nella terza parte, parlerò in maniera più specifica in un prossimo intervento).
Questo tipo di lettore si rifugerà dunque in una zona di più comoda fruizione; una fumosissima “zona intermedia”, dai confini molto indistinti e difficilmente tracciabili, adattabile all’occasione un po’ a tutti i tipi di lettori – difficoltà di tracciabilità sia a livello qualitativo che di genere letterario, visto che vi si addensa praticamente di tutto, a volte in una commistione interessante, spesse volte meno. Si tratta di quell’area dove si colloca la maggior parte delle opere attualmente pubblicate nel magmatico universo letterario, dagli stili più variegati, ma sempre abbastanza comprensibili alla grande massa dei lettori, in cui si può spaziare dai romanzi di Alessandro Baricco ai racconti di Antonio Tabucchi; da Dacia Maraini ad Umberto Eco; da Stephen King a Joanne Rowling, tanto per fare alcuni esempi tra i più noti e amati dal pubblico.
Un’area letteraria in cui non sarebbe strano confondere qualche buona opera con altre più scadenti, irriconoscibili perché mimetizzate nella selva di libri che si addensano sugli scaffali delle librerie; laddove invece un certo tipo di opera più complessa e “difficile” – appunto quella avanguardistico-sperimentale –, non essendo affatto reperibile tra i libri più richiesti o più venduti, perché articolata in tecniche e stilemi sgraditi al vasto pubblico, non correrà mai il rischio di essere confusa tra i libri più popolari, nel bene o nel male. Altrettanto certamente però, purtroppo, l’acquirente potrà ottenerla solo su esplicita richiesta al libraio, oppure solo andandola a cercare in qualche piccola libreria specifica semi-sperduta da qualche parte, o ancora attraverso l’acquisto on-line, visitando il sito di qualche specializzatissimo editore, quasi sempre indipendente e immancabilmente poco noto ai naviganti meno informati: insomma, dopo innumerevoli peripezie. Sarà difficile invece non vedere almeno un libro – e spesso più di uno – di Baricco – tanto per fare un esempio –, appoggiato, in bella mostra, su qualche scaffale di tutte le librerie della vostra città, nel corso di tutto l’anno…
Quelli che infine non gradiranno neppure rifugiarsi nelle opere “intermedie”, non potranno fare a meno di buttarsi su quei prodotti letterari di livello veramente pessimo; prodotti caratterizzati spesso da una certa pornografia dei sentimenti, o da una comicità spicciola, senza vero e proprio contesto narrativo. Ora è necessario dire – e questo probabilmente è il loro unico, vero, importante pregio – che, malgrado tutto ciò, sono proprio questi prodotti ad avere un notevole successo commerciale, più diffuso e più sicuro rispetto agli altri: a basso rischio, diciamo così. Di quest’ultima tipologia di opere possiamo constatare una vera e propria “invasione barbarica” in ogni scaffale di libreria, di edicola e naturalmente anche in quelli dei supermercati; per non parlare ovviamente del Web, dove imperversano in lungo e in largo, dettando spesso la loro legge: la legge del più assiduo, dell’onnipresente, del più veloce a rispondere nei siti tematici; in una parola, la legge del più forte. Quindi sono proprio questi libri che tengono viva l’industria editoriale, onde per cui, da questo punto di vista, non se ne potrà dire male: il mercato editoriale non è certo in espansione, anzi è uno dei settori più colpiti dall’attuale crisi, ed è pur sempre fonte di reddito per un buon numero di lavoratori. Se questi ultimi, per mantenere il proprio posto di lavoro, dovessero sperare nelle vendite delle opere degli autori più “sperimentali”, farebbero meglio a cercarsi subito un nuovo posto di lavoro, perché attualmente non esiste nessuna possibilità in tal senso…
Ora però non è questo che mi interessa, e prima di essere trascinato ad argomentare sulla crisi del settore editoriale, dirigo la mia attenzione sulle risposte che gli autori delle categorie sopracitate danno nelle proprie opere alle esigenze contemporanee e le possibilità di diffusione dei loro contenuti. Per le cose dette negli altri articoli, constatato che per una buona diffusione non si possa abdicare alla ricerca di una “bellezza” che incida anche sul piano sensoriale, e tenuto conto quanto siano diversi e variegati gli approcci a questa ricerca, appare evidente come la risposta più efficace sia rintracciabile prevalentemente presso autori collocabili nella categoria che ho definito “intermedia”, perché sono i soli, a quanto pare, realmente interessati ad adottare nelle proprie opere tecniche e stilemi tesi a mediare un buon impegno con una buona diffusione presso il grande pubblico. Quest’ultimo fatto costituisce, a mio parere, il pregio più importante di questa categoria di opere: perché consente di divulgare una certa sensibilità non banale; di ampliare la riflessione su discorsi di primaria importanza; di allargare l’immaginario e l’orizzonte informativo anche – ma non esclusivamente – a beneficio del lettore più occasionale. Tutto ciò ribadendo che la categoria della “zona intermedia” è in realtà la più fumosa e la meno inquadrabile: si avrà quindi la costante esigenza di valutare autore per autore e opera per opera.
Mi sembra di poter dire comunque che l’opera italiana più importante degli ultimi anni, collocabile in questa categoria, sia Gomorra di Roberto Saviano, che pur non essendo forse un capolavoro memorabile – ma c’è chi non è affatto d’accordo, e argomenta sui pregi dell’opera, entrando nel merito molto a lungo e approfonditamente – o una pietra miliare della Letteratura Italiana, dal punto di vista delle tecniche letterarie adottate; e pur non essendo forse all’avanguardia nello sperimentare nuove idee e nuove prospettive narrative – e anche in questo caso il dibattito non ha mancato di scatenare lettori perplessi, lettori critici e sostenitori –, con il suo stile diretto e coinvolgente, è riuscito a risvegliare in tutti i lettori – a tutti i livelli – un forte interesse e una rinnovata sensibilità verso il problema della criminalità organizzata, con tutte le propaggini che questo discorso comporta quando si ponga l’accento, per esempio, sullo smaltimento dei rifiuti solidi dal Nord al Sud o sulle collusioni tra camorra e politica locale, regionale, nazionale e internazionale, oppure sulle prospettive dei giovani nel Meridione d’Italia, sulla piaga della disoccupazione, più in generale, e come in essa si insinui spesso il tarlo distruttivo e abbruttente del crimine organizzato.
Sono caratteristiche che a molti commentatori hanno ricordato Leonardo Sciascia. Paragone scomodo e forse un po’ prematuro? Forse sì o forse no, ma il dato di fatto inoppugnabile è che Saviano è riuscito a scuotere gli animi più indifferenti e, ripensando ai diversi momenti storici e alle opera d’avanguardia, gli autori profondamente e integralmente sperimentali sono riusciti a farlo solo marginalmente – oltre che per un pubblico limitato –, a dispetto di tutta la loro buona volontà e dell’esplicito intendimento di perseguire tale obbiettivo: risvegliare le coscienze impigrite dei lettori, attraverso tecniche più o meno stravaganti. La realtà dei fatti è che è stato un libro impegnato e impegnativo come Gomorra a farlo, pur con tutti i suoi difetti e con tutte le sue tare stilistiche, diventando un best seller mondiale, tradotto in decine e decine di lingue e con la netta intenzione di continuare inarrestabile la propria diffusione. Intendendo questa diffusione non soltanto a livello commerciale, poiché con il libro materiale, attraverso il senso di una “bellezza” che si veste principalmente della propria etica, si diffonde anche e soprattutto il suo messaggio artistico, che è quanto di più vicino all’idea cui accennavo di un’Arte adatta e attagliata ai tempi che corrono. Un’Arte capace di coinvolgere i sensi e l’intelletto contemporaneamente, non limitandosi ad una sola categoria di fruitori, ma interessando sia gli intellettuali più raffinati che i lettori più ingenui.
Nonostante Gomorra, che mi sembra essere una sorta di mosca bianca in mezzo al vespaio, tutte le categorie che ho individuato, pur senza avere la pretesa velleitaria di averle esplorate approfonditamente, sembrano rispecchiare fin troppo fedelmente la crisi di valori in atto nella nostra civiltà; sembrano cioè mimetizzarsi intimamente, quale in una maniera e quale nell’altra, nelle derive della perdita di senso della civiltà occidentale. (Vi è da dire, a tal proposito, che lo stesso autore di Gomorra, visto e valutato in altri contesti, non mi pare immune da certo divismo mediatico o da certa volontà performativa, che sono due delle spie più palesi di quella crisi di valori ravvisabile nell’Arte moderna, a sua volta spia della società moderna). E’ proprio a questa perdita del senso delle cose prodotte e consumate alla massima velocità nella nostra civiltà, che gli autori di maggior pregio dovrebbero dare risposta attendibile, innovativa e fruibile, ovvero godibile, da una estesa moltitudine di lettori. La mia impressione, invece, è che proprio gli spiriti più illuminati e più ricchi di argomenti e degli strumenti letterari adatti per esprimerli, ignorando o evitando di inseguire un’idea attingibile di bellezza, barricandosi nella propria torre d’avorio, lascino spontaneamente libero il campo di battaglia alle orde di “barbari letterati”, che lo devastano con le proprie opere dozzinali, cogliendone certamente gli allori più commerciali e gli osanna più popolari, ma contribuendo a deturpare e involgarire la sensibilità comune, soprattutto del lettore più sprovveduto (e, tra questi, al di sopra di tutti, sono le giovani generazioni ad essere a rischio). Dunque mi sembra chiaro che sia gli uni, gli “sperimentalisti” – questi in maniera passiva –, sia gli altri, i “barbari letterati” – ma questi in maniera attiva –, siano responsabili della mancata risposta letteraria alle esigenze reali ed impellenti del pubblico attuale, e quindi di quella che viene definita da più parti la “distrazione di massa”.
I primi, in verità, danno delle risposte, ma sono destinate solo alle élite che le possono cogliere, ed hanno strutture destinate al lungo periodo, tanto da farle arrivare o troppo presto o troppo tardi sulle esigenze reali dell’epoca di riferimento; inoltre spesso si magnificano della propria collocazione appartata e avulsa dalla cosiddetta massa, non rendendosi conto che, trattandosi di una collocazione intellettualmente privilegiata, attende il confronto con chi ha avuto meno fortune nella propria vita vissuta. Ciò non toglie che certe argomentazioni a proposito della “torre d’avorio” possano avere un senso condivisibile o comunque comprensibile, come quelle espresse in un articolo di qualche tempo fa da Alessandro Piperno (il caso di Piperno, però, oltre che essere stato discretamente premiato dalle vendite, non rientra neanche tra gli “sperimentalismi” più oltranzisti; o forse è stato premiato dalle vendite proprio in virtù del suo non essere eccessivamente oltranzista: dunque il suo “elogio” dell’emarginazione dell’artista, a voler essere maliziosi, potrebbe dare l’impressione di una posa artificiosa e insincera, motivata dalla polemica semi-gratuita, in funzione auto-promozionale…).
I secondi invece fanno della mancata risposta la vera chiave di volta del proprio esistere, alludendo all’assenza di pensieri pensanti e al divertimento continuo come la situazione standard auspicabile per chiunque. Ogni cosa, per loro, è risolta con la battuta di spirito – spesso di bassa lega – e con la risata che la conclude, oppure con le emozioni e la situazioni più convenzionali, descritte in maniera altrettanto convenzionale: dunque la “bellezza” arriva in maniera triviale, perché così deve essere percepita e goduta, per allontanare i pensieri della crisi ed ogni approccio problematico. E’, in definitiva, l’ideologia rassicurante del “cine-panettone”, che in musica prende le forme del “disco per l’estate” e in letteratura abbraccia tutti quei libri in cui trionfa il sentimentalismo alla Sveva Casati Modignani, il giovanilismo alla Federico Moccia, il filosofismo alla Fabio Volo, il battutismo alla comico-di-Zelig-prestato-alla-letteratura; spesso motivati dalla notorietà dell’autore, già acquisita in precedenza per altri motivi o altre occupazioni (è un comico; è un attrice; è un presentatore; è uno sportivo; è una showgirl; è un ex-opinionista-massmediologo-criminologo-psichiatra-terapeuto-anatomo-patologo-quasi-concorrente-sempre-presente-nelle-trasmissioni-di-critica-e-approfondimento-del-Grande-Fratello, etc., etc.).
Come ho già detto dunque, coloro che danno le risposte più efficaci, secondo me, si nascondono a volte e a volte si palesano, appunto, tra gli autori della categoria “intermedia”, per i motivi accennati in precedenza. Anch’essi però, subendo i difetti abbozzati nelle parentetiche per Saviano e Piperno, mi appaiono produrre opere che procurano, più che altro, soluzioni provvisorie. A queste ultime, mi pare, non ci si potrà affidare fino in fondo per prefigurare non solo delle nuove forme di bellezza godibili diffusamente sia sul piano sensoriale che su quello intellettuale, ma anche per immaginare dei nuovi valori che rendano più vivibile e “sostenibile” la odierna civiltà occidentale e quella del prossimo futuro: cioè soprattutto quella che tanto preoccupa coloro che non si baloccano nella “distrazione di massa”, visti i vertici parossistici raggiunti dall’attuale modello di sviluppo.