In un normalissimo mattino di luglio, Jonas si sveglia nella sua casa di Vienna. Dopo il solito caffè, scopre che la televisione non funziona, internet non va, il giornale non gli è stato consegnato, e il telefono della sua fidanzata continua a suonare a vuoto. Perplesso, esce per andare al lavoro, ma dopo qualche passo si rende conto che c’è un silenzio innaturale, e si accorge di essere l’unico per strada. In breve arriva alla sconcertante certezza di essere rimasto solo al mondo: uomini e animali sono scomparsi dalla faccia della Terra, come se nella notte si fossero volatilizzati. Unica presenza reale del romanzo, gli oggetti fisici sembrano trasformarsi in rettili freddi che lo osservano, silenziosi e immobili, una minaccia che percorre il romanzo con una violenza sottile, mai sopita. E mentre la paura di essere solo si trasforma nella paranoia di non esserlo, i sogni del protagonista travalicano la realtà, si mescolano ai ricordi, e Jonas comincia a dubitare della propria mente, risucchiato in un vortice di delirio e disperazione che lo trascina verso l’inevitabile.
A margine delle robanti apocalissi, che piacciono tanto al cinema e a buona parte della letteratura di genere, esiste una sotto-categoria della “fine del tutto” molto più sottile, in qualche modo elegante, e sicuramente spaventosa tanto (o forse più) una qualunque zombie apocalypse.
Mi riferisco alla scomparsa dell’umanità, sotto-sotto-genere che prende il via – ammesso che sia possibile datare tale fenomeno – con il racconto L’umanità è scomparsa, di Rod Sterling, datato 1960 (se ricordo bene).
Il papà dell’amatissima serie di telefilm Twilight Zone ha scritto questo bel racconto, pubblicato anche in Italia grazie a Urania – numero 1193 del novembre 1992.
Il presupposto è in fondo semplice.
Un uomo si sveglia, solo, in una città assolutamente deserta. Non ci sono voci, rumori, nessuna traccia di esseri viventi. Eppure case, macchine e utensili di tutti i giorni sono intatti e funzionano normalmente. Poco a poco, il senso di disagio e straniamento che pervade il protagonista di questo celebre racconto dà corpo a una domanda angosciosa, paralizzante: che fine ha fatto il genere umano? Quale mistero si cela dietro la sua improvvisa e inspiegabile scomparsa?
Da allora questa tematica si è riproposta a intervalli irregolari, anche perché non è facile ricavare un romanzo o un racconto da uno spunto tanto vago. Vi rammento che stiamo parlando di storie in cui la specie umana non scompare a causa di invasioni di zombie, alieni, né per la caduta di meteoriti o asteroidi, bensì per cause solitamente ignote ed “esoteriche”.
Un libro che tratta l’argomento in maniera eccellente, ovviamente in forma romanzata, è Le invenzioni della notte, di Thomas Glavinic. Da noi è stato pubblicato da Longanesi, ma è passato abbastanza inosservato. Ed è un vero peccato, perché si tratta di una storia davvero ottima.
La sinossi riportata a inizio articolo riguarda proprio il romanzo di Glavinic. Va subito detto che si tratta di un libro dai toni molto cupi, che lascia pochissimo spazio alla speranza e alle spiegazioni razionali.
Un altro aspetto interessante è la visione eurocentrica delle vicende narrate. Il protagonista – Jonas – è un giovane austriaco ed è proprio nella Mitteleuropa che ha inizio la storia, salvo poi spostarsi altrove, in modo da far capire che la scomparsa dell’umanità è un fenomeno che riguarda tutto il mondo e non solo l’Austria.
Le invenzioni della notte è un romanzo che mi è piaciuto molto.
Ho apprezzato le inquietudini e le suggestioni di un mondo vuoto, ma non devastato da pandemie o da catastrofi naturali. Tutte le strutture – case, strade, palazzi, negozi, aeroporti, stazioni – sono intatte, funzionanti. Ma sono vuote. Deserte. Prive di vita.
Ho apprezzato le ombre sfuggenti che popolano l’oscurità, forse nate unicamente dal parto della fantasia e della disperazione di Jonas. Lo stesso Jonas cerca di cogliere queste ombre, di filmarle mentre dorme, finché questa caccia al fantasma diventa un’ossessione.
Ho apprezzato – infine – il modo in cui l’autore immagina il nostro pianeta senza di noi, esercizio tra l’altro svolto piuttosto di frequente dalla saggistica. Penso per esempio a La Terra senza di noi, di Alan Weisman.
(A.G. – Follow me on Twitter)