Le italiane e il Senegal

Creato il 11 aprile 2014 da Lundici @lundici_it

Nonostante i legami italiani con il Corno d’Africa (graditi o meno), ci siamo ritrovati, più o meno dagli anni ottanta, alle prese con ingressi massicci da un paese africano con cui non abbiamo avuto il benché minimo legame politico, culturale, economico: il Senegal.

Situato nell’area occidentale subsahariana, sbocco sull’Atlantico, è popolato da etnie irradiatesi dal centro del continente, così come sono varie le lingue parlate: quella predominante è il wolof, appartenente al gruppo più numeroso.

Di indole in genere pacifica, amanti del commercio, i senegalesi si mostrano fieri del loro humus culturale che annovera il sempreverde Leopold Sénghor, poeta insigne e primo presidente dopo l’indipendenza dalla Francia nel 1960. Va detto che molti, oggi anziani, continuano a rimpiangere l’appartenenza a una nazionalità e a una potenza che in fondo li ha resi liberi solo formalmente.

L’economia era certamente depressa fino a qualche tempo fa e basata essenzialmente sulla pesca (ora insidiata dalla concorrenza straniera) e sulla coltivazione di alcune piante (intensa la produzione e l’esportazione di arachidi), ma attualmente essa appare in rampa di lancio per apporti cinesi, turchi e arabi.

Il Lago Rosa, una delle attrazioni del Senegal.

Dopo un lungo periodo di governi di centrosinistra, i senegalesi si buttano, nel 2002, nel cambiamento tanto atteso e si sorbiscono per due mandati il presidente Abdoulaye Wade, figura controversa, che non riesce a risolvere l’annosa questione della Casamance, regione meridionale la cui posizione etnica, culturale, economica, sarebbe configurata come noi oggi consideriamo certe regioni a statuto speciale.

Wade, già ottantacinquenne, nel 2012 fallisce il tentativo di un terzo mandato e deve cedere il passo al grintoso cinquantenne Macky Sall. E’ costui un suo ex primo ministro, sganciatosi in polemica con le scelte del boss, molto opportunamente diremmo. Si rivela subito l’esponente di una nuova rampante generazione di classi dirigenti africane; è un tecnocrate che parla inglese, ripristina la figura di una first lady autoctona, dopo una sfilza di francesi bianche e si permette di rispondere, un po’ piccato, a Obama (in visita ufficiale nell’estate 2013) che il tema dei diritti gay in Senegal, pur paese tollerante, può aspettare.

E’ rimarchevole la nutrita presenza di donne in politica: per alcuni osservatori esterni sarebbe una apparente contraddizione con il resto del paese; per i senegalesi risulta invece del tutto normale, rivendicando essi un trattamento privilegiato verso la figura femminile.

La capitale, Dakar, pare divenuta una sorta di New York equatoriale, cui la si associa nella definizione di “metropoli che non dorme mai”: ma noi abbiamo visto quella veglia notturna non solo esibita in movida e lassimo dei costumi, bensì in movimento angoscioso e convulso di umanità che cerca aiuto per le polverose avenues locali.

L’isola delle conchiglie.

La religione praticata in prevalenza (90% della popolazione) è l’Islam, arrivato diversi secoli fa, ma la cui diffusione capillare è relativamente recente, in una forma locale tutta particolare organizzata in confraternite, tra cui la più nota è detta muridismo. Un 5% è formato da cattolici, il restante è animista.

Molti occidentali appassionatisi alla cultura di questo paese provano a darne intepretazioni, azzardando comparazioni, non si sa quanto gradite ai locali. Partendo dal misticismo sufi (tipico della cultura islamica), si immagina una vicinanza a certi ordini cattolici. Peraltro la convivenza tra le diverse confessioni è pacifica e sono frequenti gli inviti alle rispettive celebrazioni che non siano strettamente rituali. E’ famoso il cimitero dell’Ile des Coquillages, ove, sotto un mare di conchiglie appunto, riposano insieme cristiani e musulmani.

Ogni tanto si ode qualche voce polemica che vorrebbe l’Islam classico, arabo e mediorentale, in posizione di sufficienza e scetticismo verso queste forme sviluppatesi in Africa: non siamo in condizione nè di confermare nè di confutare. La questione va studiata seriamente, se proprio se ne vuole intendere qualcosa, e non semplificata.

I senegalesi in Italia, nonostante si siano presto adattati alle nostre laiche costumanze (alquanto in disuso il divieto coranico per gli alcolici), mostrano un discreto attaccamento alle tradizioni, all’osservanza del Ramadan, all’aggregazione tra loro in feste “comandate” come il Tabaski (commemorazione del sacrificio da parte di Abramo), all’organizzazione di eventi musicali con artisti e maestri di danza che ormai spopolano un po’ ovunque (anche in programmi importanti). Insomma, ci sono, vogliono esserci e farsi vedere.

Mohamed Ba, attore e musicista senegalese, accoltellato nel maggio 2009 a Milano.

Dicono che torneranno, ma spesso invecchiano qui o tornano in patria molto più tardi del previsto. Gli anni di cattiva nutrizione o abitudini male assimilate pesano, lo stress consuma e non appaiono cinici e sfidanti come altre etnie di migranti. Nè mancano purtroppo incidenti tipici come l’avvelenamento da braciere, un tragico classico per molti immigrati. Tralasciamo in questa sede gli agguati di stampo razzista di cui alcuni sono stati vittime, ricordando solo il caso meno sfortunato: l’attore e scrittore Mohamed Ba, accoltellato a Milano da uno skinhead, scampò miracolosamente alla morte.

All’inizio i ragazzi senegalesi in Italia sostituiscono i maghrebini nell’attività di vendita in spiaggia o per le vie cittadine e sono tuttora famosi per lo smercio delle firme farlocche, reato in cui incappa la maggioranza di loro, prima o poi; in seguito trovano altre vie, soprattutto nel nord est e nell’area bresciano – bergamasca, dove la presenza di immigrati è fitta, e di conseguenza anche quella dal Senegal. Col trascorrere delle generazioni, i più giovani si sono via via lasciati conquistare dall’idea del guadagno facile. Permane comunque la tendenza a non cercare rogne o risse, si contano diversi intellettuali, artisti e scrittori, nonchè qualche politico, tra i senegalesi in Italia e, infine, dai e dai, si formano delle coppie.

Si va incontro decisamente all’avventura con i nuovi venuti. Quelle che per prime prendono la cosa sul serio a volte escono con le ossa rotte ritenendo – perchè i media lo avevano sempre lasciato credere – che, con un credo islamico attenuato e contaminato, e modi e abbigliamenti che nulla hanno di fondamentalista – fosse caduta in disuso la tanto discussa poligamia; queste pioniere sottovalutano il fattore della condizione economica degli immigrati, che non consente sempre una serenità di comportamenti, la pressione che viene da lontano gravando come un macigno: i senegalesi sono in testa alla classifica delle rimesse alle famiglie, i meno ribelli al giogo familiare, tenuti moralmente a mantenere eserciti di persone…e chi si rifiuta, può anche evitare di farsi vedere.

Manifestazione in Italia di senegalesi.

La socializzazione, per loro, non è in genere un problema, finchè non si arriva a discorsi più seri. Pochi riescono a portare qui la moglie; le senegalesi single in Italia sono ancora relativamente poche (a parte quelle già nate o cresciute qui, quindi seconde generazioni) e il dibattito si infuoca e si arrota intorno ad alcuni punti fondamentali, quasi epitomi del primo evo migratorio dell’Africa nera.

Il figlio che nascerà sarà musulmano? Spesso sì, ci tengono. La moglie si convertirà? E’ atto gradito. Se si azzarda la visita ai parenti in loco, che accade alla coniuge toubab (bianca)?

Molte testimonianze riferiscono una sorta di assedio: decine di cugini in ennesimo grado, sorelle, fratelli e fratellastri (demi soeures, demi frères), di altre mogli (coépouses) del suocero o dello zio, veri e propri clan che controllano oppure, a vederla in positivo, accolgono e cercano l’interazione, ma con modalità talvolta vissute come opprimenti. Ci si sente accerchiate, obbligate a “fare come loro”, accusate di incapacità domestiche o ribellismo coniugale.

Frequenti sono le polemiche sul classico tema dell’europea vista come ghiotta opportunità di emigrazione o “bancomat”. La malcapitata dovrà vedersela con richieste di ricongiunzione o di denaro, pensava di stare in salotto a bere un caffé Touba e godersi la famosa teranga (accoglienza) senegalese, invece si ritroverà circondata da sguardi forse curiosi quanto lei, ma che non danno scampo? Talvolta le recriminazioni sono precedute dalla premessa un po’ benzodiazepinica: “non è il mio caso, ma so di altre”, che lascia sempre perplessi, o, se si è più cinici, divertiti.

In Italia gli sposi mix potranno condurre una vita almeno un poco simile a quella di tante coppie italiane, vacanze, domeniche fuori porta, macchina, cinema, oltre a ricorrenze familiari di un credo che non è il loro? Benchè appunto rispettosi delle religioni altrui, risultano allergici generalmente alle tavolate all’italiana e alquanto irrequieti se si tratta di tombole, scoponi scientifici e chiacchiere nostrane. Anche l’aspetto formale viene sottolineato: diversi toni di voce e modi di intendere la convivialità, fanno scambiare le risposte per polemiche e i silenzi per ostilità, quando forse è solo antropologia da armonizzare.

E infine, least but not last, ci si potrà distrarre due minuti senza che in patria prendano (o come lasciano intendere loro, gli rifilino) un’altra moglie, spesso scelta tra qualche parente? Sempre ammesso che non l’abbiano già e la nascondano. Ormai sono leggendari i resoconti dei primi sbarchi in terra senegalese di spose e fidanzate dello stivale, che non riuscivano a spiegarsi le presenza di qualche asserita cognata sempre vicina, salvo scoprire che cognata non era….

Una rivale

Non passa molto e occorre, alla donna che sposa un senegalese, entrare subito in determinate ottiche, assumere anche il linguaccio concettuale dell’altro, mentre molto meno impegnativo risulta il ménage dove italiano è l’uomo, per motivi fin troppo evidenti. Sono le donne a buttarsi, a rischiare, a volere tutto e fino in fondo. C’è chi azzarda paragoni con i nostri emigranti di un tempo, birichini a migliaia di chilometri di distanza (al riguardo, spassose e amare sono le vicende di Nino Manfredi in “Pane e cioccolata” o di Giancarlo Giannini in “Mimì Metallurgico”).

Trascorsi i primi anni duemila abbastanza da tentare qualche statistica sommaria, il bilancio in realtà è ancora da trarre. Molte emancipate estreme vanno in Senegal, come già in Giamaica o in Egitto, per mero turismo sessuale, una pratica che secondo il clero locale (i marabut) starebbe deteriorando la morale giovanile del paese; ma anche l’offerta femminile, più nascosta, non manca e, ovviamente, quest’ultima, a favore maschile, è meno esecrata. Si sta diffondendo il fenomeno delle mbaranes, specie di poligame prezzolate, che accettano regali in cambio di favori sessuali, sfuggendo alla schedatura inflitta alle prostitute.

Come capita spesso in quelle aree geografiche, il visitatore nota un’oscillazione tra sessualità evidente e precoce, derivante da antiche e promordiali libertà tribali, e un moralismo religioso secondo alcuni sempre più traballante, e non solo per colpa della cattiva influenza occidentale.

Chi ama quel paese per motivi artistici, in genere giovani musicisti o qualche politico liberal, finisce per adorarlo, ma il punto di vista non emozionale lascia obiettivi e professionali, o al massimo coinvolti quanto basta.

Come sempre, è l’altra metà del cielo a farsi carico del problema. Schematizzare non è mai semplice e forse è inopportuno, ma per mera chiarezza di esposizione si potrebbe tentare una classificazione di massima di chi ha cercato l’amore “altrove”.

- ragazze in cerca d’amore, che talora si trasferiscono armi e bagagli e si sposano in colorate e festose cerimonie locali;

- giovani divorziate alla seconda occasione;

- mature che un po’ amano e un po’ aiutano e magari chiudono un occhio sui vizietti dei loro spesso aitanti partners;

- perchè no, unioni in apparenza riuscite, o afflitte da problemi comuni alle coppie di tutto il mondo.

Pare che nella scelta giochi, più o meno inconsciamente, un sotterraneo o palese rifiuto dell’uomo connazionale, ormai visto come ostile rispetto ai gioviali e sorridenti senegalesi che, se pure smetteranno presto di sorridere, hanno regalato per un poco un’illusione non provata da tempo. La galassia delle interessate si sta espandendo, prima da nord, ora anche nel sud più riottoso a unioni particolari e le future generazioni di nati qui offriranno, si spera, spunti meno balbettanti di quelli cui ora siamo costretti.

Se i due (con eventuali figli) vivono in Italia, si entra comunque in un mondo nuovo, secondo il proprio temperamento: aderendovi in toto con entusiasmo e sincero desiderio di conoscenza, o tornando viceversa, sconfitte, alle proprie origini; oppure ancora, tenendosi ai margini e osservandolo.

Resta il fatto che il contatto cambia le prospettive e occorre saper gestire due aspetti di se stesse: quello dedicato all’Africa e quello conservativo del proprio background che, si capisce presto, non deve annullarsi, pena ritrovarsi considerati alla stregua di uno zombie, negli ambienti dove la propria vita deve continuare secondo canoni occidentali.


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