Si, viaggiare. Oh si si si. Sisisisisisisisisisisisisisisisisisisisisi! Io son di quelle che inizia a viaggiare con la testa, prima ancora di aver stabilito il quando e il come.
La mia fortuna è quella di aver avuto dei genitori che hanno sempre amato la dimensione della scoperta e del bello. Così le nostre estati, se pur nella tradizione delle tre settimane di mare di un'epoca che ormai non c'è più, sono sempre trascorse in tappe intermedie alla scoperta di un luogo o di un altro. In Italia, rigorosamente. Ma che meraviglia. Io e mio fratello seduti dietro sulla Fulvia, con le gambe che si incollavano ai sedili e facevano straaaaaaap quando finalmente si scendeva dalla macchina!
Poi sono arrivati i viaggi con gli amici, le vacanze in Puglia, i giri a Firenze in campeggio libero, le notti in sacco a pelo davanti alla stazione di Venezia, con i vigili che ci venivano a svegliare all'alba perché la tolleranza finiva con i primi treni del mattino. Mi ricordo le notti a parlare con ragazzi di ogni parte del mondo, le chitarre, le sigarette, i baci scambiati. Fa tanto folklore, lo so. Ma lo ricordo con nostalgia.
E poi i lunghi periodi di studio all'estero. Di nuovo gli studentati multilingue e multietnici e ci si sentiva padroni di un mondo che non aveva confini.
I primi viaggi in coppia, con quel gusto di potersi permettere qualcosa di più, ora che i primi lavori portavano in tasca qualcosa, i viaggi in moto in Marocco, la Turchia girata in lungo e in largo.
E poi sono arrivate loro, le tre mostre.
E non ci siamo fermati.
Le abbiamo abituate fin da piccole a girare con noi e con i nostri amici per tutta l'Europa, a guardare oltre gli orizzonti di casa. E vorremmo che il mondo fosse meno stretto per loro.
Infine ci sono i miei viaggi di lavoro.
Tanti e belli.
E un po' solo miei. Dove riacquisto una dimensione individuale o individualista. E mi coccolo un po'.
P.S. Questa estate: Irlanda.
P.S.2 La Grande Assente? Trieste. Nonostante Magris, mannaggiammè.
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