«Non riesco a credere di non averti raccontato di nonna Jo» disse Lulu. «Qui non si parla d’altro. Notte e giorno, estate e inverno, anno dopo anno. La preghiamo in ginocchio, la imploriamo a denti stretti, “mamma,” le diciamo “basta con nonna Jo”. Ma lei ci ascolta? Noooo.»
«Nonna Jo era la mia bisnonna» spiegò Fee. «Ha vissuto fino a cent’anni, anche se purtroppo non l’ho mai conosciuta. Dicono che avesse un gran temperamento.» «Aveva tre sorelle» aggiunse Lulu. «Margaret, una perfetta gentildonna, Bethie o Betsey, che era un angelo ed è morta giovane, e Amy, che dormiva con una molletta sul naso perché pensava che le sarebbe venuto più carino.»
Trama: Mentre Emma è elettrizzata per i preparativi del suo matrimonio e Sophie disdegna una fila di corteggiatori per dedicarsi anima e corpo alla carriera di attrice, Lulu, la più inquieta delle sorelle, passa disordinatamente da un lavoretto all’altro, con una grande passione per la cucina, ma senza alcuna prospettiva sentimentale all’orizzonte. E che cosa succede se un giorno, in soffitta, rovistando in una vecchia valigia alla ricerca di alcune ricette, si imbatte per caso in un plico di lettere scritte nientemeno che dalla trisnonna Jo March, l’intrepida protagonista di Piccole donne? Nonna Jo era proprio come lei, amava passare ore scanzonate a fare pettegolezzi con le adorate sorelle, pur essendo molto diversa dalle altre. Per Lulu le lettere di nonna Jo sono una vera illuminazione. Piene di segreti, di saggezza, di consigli meravigliosi sull’amore e sulla vita sprigionano una forza e un coraggio tali da spingerla finalmente a immaginare la sua strada. Vibrante, fresco e divertente, Le lettere segrete di Jo racconta le vite delle tre pronipoti di Jo March. E, proprio come Piccole donne di Louisa May Alcott, parla a chiunque sappia cosa significa avere una sorella o un’amica del cuore, a ogni giovane donna che si chieda cosa mai le riserverà la vita, a chi non riesca a resistere a un favoloso paio di scarpe. Puoi leggere QUI l'inizio del libro
RECENSIONE
Per tutta l’infanzia aveva avuto la sensazione che qualunque cosa lei facesse Emma l’aveva già fatto, di solito meglio, e quando aveva appena tre anni era arrivata Sophie, più piccola, più incantevole, pronta a prendersi tutto senza pensarci né chiedere, dalle sue bambole ai suoi vestiti - perché contrariamente a quanto diceva c’erano stati anni in cui si era dimostrata meno schizzinosa – fino alle attenzioni della madre. E persino adesso che erano tutte adulte quel modello sembrava persistere. Quasi a rimproverarla la vita di Emma, con la solidità del suo lavoro e dei progetti di matrimonio, continuava a essere l’opposto della sua esistenza incerta vissuta alla giornata, mentre Sophie stava per trasferirsi letteralmente nella sua vita, invitata nientemeno che dalla sua migliore amica. Invece di ricamarci sopra, Fee avrebbe dovuto provare a vivere con vere sorelle, pensò Lulu non per la prima volta, e vedere se le piaceva
Piccole Donne 1994 di Gillian Armstrong
Il libro si apre con un cicaleccio femminile nella cucina dove Fee Atwater assieme alle tre figlie, Emma, Lulu e Sophie, si ritrova per il brunch nella sua casa di Islington a Londra. L’atmosfera, se pure in un diverso continente e in un diverso secolo, è la stessa di casa March, la casa de Piccole Donne. Del resto Fee è la bisnipote di Jo March! Le tre giovani Atwater sembrano in tutto e per tutto le tre Piccole Donne del romanzo della Alcott. Emma, come Meg, è bella, tranquilla e perfetta in tutto quel che fa; Lulu, come Jo, è la più disordinata e, nonostante i suoi innumerevoli talenti, è ancora alla ricerca della strada su cui indirizzare la sua vita; Sophie, la piccolina di casa, un po' prepotente come Amy, è una bellezza bionda che sta facendo la gavetta come attrice. Insomma: Piccole Donne 150 anni dopo.Quando Fee manda Lulu in soffitta a cercare il libricino delle ricette di nonna Cissie, la giovane trova invece delle lettere della sua bis-bisnonna, che legge di nascosto dalle altre, gelosamente centellinando gli episodi della vita di Jo March e delle sue sorelle, traendone insegnamenti morali fondamentali, in un momento transitorio e un po’ confuso della sua vita.
Per il momento, però, dato che nessuno oltre a lei era al corrente della loro esistenza, la tenace, strana e difficile nonna Jo, che aveva lottato contro il mondo e infine trovato l’amore, era tutta sua, e Lulu sentiva il bisogno di avere qualcosa di solo suo.E così, quando Lulu ha un momento grigio, va nella soffitta di casa della madre e legge a caso una delle lettere della bisnonna per tirarsi su il morale. Quindi, nell’arco di tutta la storia, le lettere di Jo March sono disseminate come tante piccole stelle da ammirare in una notte buia. Riviviamo attraverso le lettere gli episodi di Piccole Donne e Piccole Donne Crescono, visti con gli occhi di Jo, e descritti con la sua vivacità ed il suo spirito frizzante. Allo stesso modo rievochiamo altri episodi del libro anche ai giorni nostri grazie alle tre sorelle Atwater, che ripercorrono le stesse strade già battute dalle loro progenitrici.
Emma sta per sposarsi con Matthew (l’equivalente di John Brooke), e rivive un episodio simile a quello che riguarda Meg in Piccole Donne Crescono quando, istigata dalla sua amica Sallie Moffat acquista un taglio di seta lilla per un vestito superfluo, spendendo più del dovuto. Nel caso di Emma si tratta di un paio di scarpe con laccetti e nastrini per il matrimonio, dall’accattivante nome di Josephine. In realtà Josephine è il vero nome di Emma, quello che fin da nonna Jo viene tramandato di madre in figlia (Cissie, Jojo e Fee sono tutti diminutivi dello stesso nome), ma Emma ne è stata privata quando la sorellina Lulu lo ha storpiato trasformandolo in Dodo. Convinta da Manolete, lo stilista, che quelle scarpe le appartengono, Emma le acquista spendendo una somma esorbitante.
“Era tosta” disse dopo poco. “Un bene, da vecchia, perché la gente la ammirava e diceva che aveva carattere, ma immagino che da giovane sia stato un po’ più difficile. Noi due lo sappiamo, vero Lulu? Siamo toste entrambe e a volte i miei vent’anni sono stati parecchio duri. Certa gente trova difficile rapportarsi con le personalità forti, specie se sono donne: è un’ingiustizia eppure è cosìE ancora la rivisitazione dell’incipit:
Eppure lei sapeva di non poter andare avanti così: doveva trovarsi un lavoro, se non altro per comprare i regali di Natale. I beni materiali non le importavano un granché, ma senza poter fare i regali, Natale non sarebbe stato Natale
Inoltre, un filo conduttore che collega le donne della famiglia, a partire da Jo March, per arrivare a Fee Atwater è lo spirito d’indipendenza. Jo March è sempre stata considerata il prototipo della femminista. Tutte le sue discendenti, in un modo o nell’altro sono state delle donne forti ed anticonformiste, fino ad arrivare a Fee, che viveva in una comune negli Stati Uniti, ed era una femminista militante, finché non ha incontrato il tranquillo Mr Atwater e si è trasferita a Londra per fare la psicoterapeuta. Ormai le sue figlie vivono in un mondo nel quale non hanno più bisogno di rivendicare i loro diritti, e così possono addirittura permettersi di predere in giro la madre quando ricorda i tempi della comune.
Gli episodi di Piccole Donne e Piccole Donne Crescono (non dimentichiamo che il romanzo di Louisa May Alcott in lingua originale era stato pubblicato come Little Women – 1868 – seguito da Good Wives – 1869 – ma poi fu accorpato in un unico volume, Little Women, nel 1880, mentre in Italia abbiamo mantenuto i due volumi separati) contenuti nelle lettere di Jo non vengono letti da Lulu in ordine cronologico, ma in ordine casuale, che però risulta l’ordine più adeguato alle circostanze che le piccole donne attuali si trovano a vivere, proprio per rendere il parallelo più evidente e significativo. Le lettere sembrano scritte davvero da Jo March: Gabrielle Donnelly è stata bravissima nel ricreare il modo di esprimersi della protagonista della Alcott; lo stile adottato per il ventunesimo secolo, è una naturale evoluzione dello stesso modo di esprimersi: frizzante e vivace, ma più adeguato ai giorni nostri. Per il punto di vista, come è evidente che la Alcott si identificasse con Jo fra le sorelle March, è altrettanto evidente che la Donnelly si identifichi con Lulu fra le sorelle Atwater. Sebbene, come ho già detto, molti dei personaggi dei nostri giorni siano chiaramente riconducibili a quelli di Piccole Donne, la Donnelly non è scontata e, nel ricostruire la storia, dona delle svolte inaspettate alla trama, con piacevoli sorprese. Leggendo le lettere di Jo, disseminate nel libro, soprattutto l’ultima, si comprende una questione fondamentale: in realtà - e questo vale per chiunque sia cresciuto leggendo Piccole Donne e Piccole Donne Crescono -siamo tutti pronipoti di Jo March! Un romanzo assolutamente imperdibile per chi ha amato le piccole donne, scritto da una mano che lascia trapelare affetto in ogni pagina. È proprio questo il segreto di un sequel o uno spin-off di qualità, anche se Le Lettere di Jo è molto di più!
Gabrielle Donnelly è nata e cresciuta a Londra, dove ha scritto per diverse riviste femminili, prima di trasferirsi a Los Angeles e specializzarsi in giornalismo dello spettacolo. In qualità di membro della Hollywood Foreign Press Association, vota ogni anno per i Golden Globe Awards. Insieme a Julia Braun Kessler ha pubblicato, con lo pseudonimo di Julia Barrett: Presumption: An Entertainment, uno dei primi sequel di Orgoglio e Pregiudizio (1993), The Third Sister, sequel di Ragione e Sentimento (1998), e Jane Austen’s Charlotte: her fragment of a last novel, sequel di Sanditon (2000). Le lettere segrete di Jo è il suo quinto romanzo: in Inghilterra ha pubblicato Holy Mother, Faulty Ground e All Done With Mirrors, negli Stati Uniti The Girl In The Photograph. Vive a Los Angeles con il marito, Owen Bjornstad, ed è una fan sfegatata di Louisa May Alcott da quando era bambina. Gabrielle è uno dei membri fondatori del Louisa May Alcott's Orchard House Museum a Concord, Massachusetts. Sito dell'Autrice
Una chiacchierata con Gabrielle Donnelly
1. Parlaci della prima volta che hai letto Piccole Donne. Com’è cambiato il romanzo di Louisa May Alcott per te, che lo hai riletto col passare degli anni?
Non ricordo nemmeno quando è stata la prima volta che l’ho letto, dal momento che quando ero piccola, un libro non costituiva una parte integrante, la più importante, della mia vita. Ho avuto un’infanzia solitaria e tranquilla in molti modi: ero l’unica femmina fra quattro fratelli, ed il Fato mi ha giocato una specie di scherzo sadico, dal momento che ero la seconda, così ho trascorso i primi quattro anni della mia vita in una casa con equilibrio fra i sessi, mentre, nel corso dei successivi cinque, mi sono ritrovata ad essere lentamente assalita da un mare di testosterone, finché, all’età di dieci anni, non mi sono trovata a vivere in una specie di spogliatoio maschile. Avevo probabilmente 9 anni quando ho scoperto le sorelle March: ricordo che la dodicenne Amy mi sembrava piuttosto cresciuta, mentre Meg mi sembrava incredibilmente sofisticata, e l’idea di un mondo dove fratelli e sorelle sedevano davanti al fuoco e chiacchieravano invece che lanciarsi palloni da calcio, mi sembrava il Paradiso. La famiglia March diventò improvvisamente la famiglia che non avevo e lo rimase per tutta la mia adolescenza. Ancora mi rivolgo a Piccole Donne in cerca di conforto, ed una delle tante cose meravigliose del libro è che non cambia. Non sono d’accordo con tutti i suoi messaggi: mi piacerebbe, per esempio, che a Meg fosse consentito di ammirare le cose belle con meno senso di colpa, e credo che Jo sia giustificata pienamente quando è furiosa con Amy per averle bruciato il libro, ma è una cosa che ho sempre pensato. La sorelle March non sono perfette e ciò che dice Louisa May Alcott non va bene per tutti, ma è per questo che le amo.
Una per tutte, tutte per una - Nippon Animation 1987
2. Hai vinto il contratto per scrivere il sequel di Piccole Donne. Come hai fatto ad assicurarti questo lavoro da sogno?È proprio un bel gioiellino, vero? Un’editrice straordinariamente fantasiosa e talentuosa, Lydia Newhouse, che all’epoca lavorava per Michael Joseph a Londra, ha avuto l’idea originale di intrecciare le vite delle bis-bisnipoti di Jo March con alcune lettere perdute di Jo: ha chiesto ad alcuni scrittori di scrivere un primo capitolo di prova, ed è stata così gentile da scegliere il mio. Ho deciso di ambientare la storia a Londra perché sono cresciuta lì, quindi conosco la città molto bene e mi sembrava un’ambientazione più appropriata per questo genere di racconto piuttosto che la assolata e moderna Los Angeles in cui vivo adesso. Tre delle sorelle March credo che si adattassero molto bene, credo, alla vita moderna; la timida Beth non voleva abbandonare il diciannovesimo secolo, così l’ho lasciata in pace lì. Un ponte fra il passato e il presente è il tema di fondo dei diritti delle donne. Jo March è stata un modello per più o meno ogni femminista che è venuta dopo di lei, e volevo che quello spirito indipendente proseguisse attraverso la linea femminile dei suoi discendenti, per finire con la madre delle ragazze moderne, Fee, che prendo in giro leggermente come una delle femministe manifestanti degli anni Settanta. Ma quella generazione – di cui sono molto fiera di essere un membro – ha completato il suo lavoro, perché le giovani sorelle Atwater sono le prime donne della famiglia a potersi concedere il lusso di non dover pensare al femminismo. Suppongono semplicemente di essere uguali agli uomini, che è come dovrebbe essere, naturalmente, ma ciononostante un nuovo stato di fatto. Credo che Jo ne sarebbe deliziata.
3. Ci puoi dire che ricerche hai fatto per scrivere il romanzo? Il tuo background di giornalista ti è servito? Ho dovuto fare due diversi tipi di ricerca. Una riguardava lo scoprire come la gente vivesse nel Massachusetts nel diciannovesimo secolo, l’altra scoprire come vive la gente oggi, che per un’autrice troglodita come la sottoscritta, costituiva una sfida ardua come la prima. La ricerca storica è stata relativamente semplice. Ho semplicemente letto, e riletto, e riletto le opere di Louisa May Alcott, senza seguire la trama in particolare, ma cercando indizi per capire come vivesse la gente allora, cosa indossassero, cosa mangiassero, come fossero arredate le loro case. È sorprendente quanto si può scoprire leggendo un libro e focalizzando su ciò l’attenzione, e con questa base, amplificata dalla ricerca internet per dettagli più specifici, sono riuscita a far correre la mia immaginazione. Riguardo alle vite dei personaggi moderni, era richiesta una ricerca più giornalistica, così ho dovuto intervistare le persone sulla vita di ogni giorno: ho trascorso la maggior parte della mia vita lavorativa seduta dietro ad un computer, e davvero non so come gli altri trascorrano le loro giornate! Ma conosco davvero attori, dottori e psicoterapeuti, che sono stati davvero generosi con il loro tempo nel fornirmi dettagli sull’ambiente dei personaggi. Non ho mai iniziato a scrivere di un personaggio o di un episodio finché l’ambiente non era perfettamente a posto, dal momento che quando crei un personaggio devi essere in grado di dire tutto ciò che puoi al lettore. Per esempio, per la procedura della terapia di Fee, avevo in mente di far salire e scendere i pazienti sulle scale di casa per andare ai loro appuntamenti, finché un vero psicologo con cui ho parlato, mi ha detto che non era possibile, che la famiglia avrebbe dovuto costruire una scala separata per mantenere la privacy dei pazienti. Cosa che nel libro non ho mai menzionato, ma so che è lì.
4. Come Londinese attualmente di stanza in California, cosa ti manca di più di Londra? Quali dettagli della vita londinese contemporanea hai cercato di catturare in questo romanzo?
Sono piuttosto fortunata di poter visitare Londra almeno una volta all’anno e di avere degli ottimi amici con cui stare ed una casa accogliente e confortevole ad Islington, che potrebbe sembrare stranamente familiare se i lettori del romanzo si trovassero a visitarla! Mi piace soggiornarvi brevemente, ma penso di essere più felice a vivere a Los Angeles. La mia famiglia è irlandese, non inglese, e non mi sono mai sentita perfettamente a posto nella società anglo-sassone dai modi delicati; inoltre soffro terribilmente di Disturbo Affettivo Stagionale, e divento tremendamente depressa nei bui inverni inglesi, ma è stato davvero molto carino trascorrere lì un anno virtuale mentre scrivevo il libro: mi sono goduta ogni minimo particolare e potevo tornare nel mondo reale in California quando il freddo cominciava ad arrivare fino a me. Per i dettagli della vita londinese, mi sono rimessa il cappello da giornalista ed ho torchiato senza pietà un gruppo di londinesi che conosco su ogni minimo dettaglio della loro vita quotidiana, riguardo alla quale sono stati tutti molto pazienti ed istruttivi e che, anche se forse non lo era dal loro punto di vista, ho trovato molto interessante. Come in Piccole Donne ho cercato di far cogliere lo scorrere delle stagioni: ho fatto cenno agli abiti che le persone avrebbero indossato nell’arco dell’anno, e molti capitoli contengono almeno un riferimento al cibo o ai fiori di stagione… spero di essere stata accurata, sebbene sia stata sul punto di commettere un errore facendo fiorire il gelsomino in primavera, come accade a Los Angeles, anziché in estate. L’ho considerato un errore di percorso ed ho sostituito il gelsomino con la fresia.
Non credo che i miei fratelli sarebbero contenti di essere paragonati ad un branco di femminucce! Ma in un certo modo mi sono ispirata a loro. Non avevo sorelle, è vero, ma avevo dei fratelli, per cui quell’ambiente mi risultava familiare: la casuale vicinanza, i battibecchi, le battute confidenziali. Particolarmente interessante è l’ordine gerarchico, qualcosa che mi ha sempre interessata, e che ho avuto modo di sperimentare da entrambi i punti di vista, dato che sono decisamente una delle più grandi della famiglia e mi sono sempre lamentata perché i miei fratelli più giovani avevano vita facile; d’altro canto, mio marito è il più giovane di quattro fratelli e, per quanto essi lo amino, sono scioccata per la mancanza di influenza che riesca ad esercitare. Emma ad un certo punto dice a Sophie: “Credi davvero che farei qualcosa per fare impressione su di te?”, e questo proviene dall’osservare una famiglia dalla prospettiva di mio marito. È un dato di fatto che i fratelli più piccoli vogliano far colpo sui più grandi, ma nessuno degli altri fratelli vuole far colpo sul più giovane!
6. Le Lettere segrete di Jo mantiene l’equilibrio fra le voci di due diversi periodi, il XIX secolo delle lettere di Jo e il presente della Londra degli anni Duemila. Come hai fatto a cogliere le loro voci?
Spero di aver centrato la voce di Jo, ma penso che qualche espressione moderna mi sia sfuggita lungo il percorso. La voce dei londinesi moderni è stata una sfida interessante: ho lasciato Londra trent’anni fa e la lingua è cambiata considerevolmente da allora. Volevo a tutti i costi evitare la trappola in cui alcuni autori cadono quando invecchiano, e cioè di far parlare i personaggi giovani come loro stessi avrebbero parlato in gioventù. Così mi sono affidata alla compassione della mia giovane amica londinese Harriet Barber, e le ho mandato il libro, capitolo per capitolo perché approvasse i dialoghi, cosa che ha fatto meticolosamente con grande gentilezza. È stata una procedura affascinante per me, perché ho scoperto nuovi modi di dire che avrei creduto più vecchio-stile. Verso la fine del libro Harriet mi ha sorpresa e divertita, seguendo le orme di Lulu e trasferendosi in un appartamento a Belsize Park con una vecchia compagna di college. In prospettiva di ciò ero tentata di scrivere un capitolo extra in cui una vecchia amica di Lulu, una scrittrice che viveva a Los Angeles, vinceva alla lotteria, diventando estremamente ricca…
7. Le sorelle Atwater entrano in contatto con la fama nel romanzo: Emma diventa amica di uno stilista di scarpe e di una famosa attrice, Sophie lavora con una star della Tv e con un rinomato regista teatrale. Chi ti ha ispirato questi fantastici personaggi: avevi in mente qualche celebrità in particolare? È difficile vivere a Los Angeles e non conoscere almeno qualche attore. Non mi era mai sovvenuto che così tanti di questi personaggi secondari sembrassero così appariscenti. Conosco un bel po’ di gente chiassosa; sono chiassosa anch’io, così come mio marito ed entrambe le nostre famiglie, così mi sento a mio agio nel creare personaggi dai gusti forti. Non posso dire che i personaggi famosi nel libro siano ispirati a qualcuno che potreste riconoscere; sono semplicemente simili alla tipologia di personaggio che potreste incontrare frequentando i circoli teatrali a Londra, Los Angeles o in qualunque altro posto al mondo. L’unico che mi è stato suggerito da un personaggio in particolare è, strano a dirsi, il più silenzioso, Colin Hobbes. Colin è stato molto, molto liberamente ispirato da un attore americano di origine greca mio amico, dall’aspetto tenebroso e drammatico, che interpreta sempre ruoli intensamente drammatici, ma al di fuori è la persona più dolce ed informale che si possa incontrare. E suppongo che ci sia anche una minima somiglianza con George Clooney. Colin è un attore importante che interpreta in TV il ruolo di un dottore, molto gentile nei confronti degli attori secondari. Ho conosciuto molte persone che hanno lavorato con George in ER, e dicono le stesse cose riguardo a lui.
8. Oltre alle tre sorelle Le lettere segrete di Jo brilla per i suoi personaggi secondari. Qual è il tuo preferito fra i parenti, gli amici e i legami sentimentali delle tre sorelle? Ho un enorme debole per Nigel-Manolete, uno di quei personaggi apparsi sulla scena dal nulla che prendono il sopravvento. Originariamente volevo semplicemente qualcuno che attirasse l’attenzione di Emma sulle scarpe in vetrina, ma Nigel-Manolete ha reso chiaro fin da subito di avere progetti più grandi. Mi piace Nigel perché sa chi è e non gli importa delle finzioni e delle affettazioni, il che include non attenuare necessariamente le sue eccentricità per accondiscendere alle aspettative convenzionali. Egli vede anche un aspetto di Emma che la sua famiglia non vede e che le permette di sentirsi un po’ più giovane e più frivola con lui di quanto non le consenta la sua struttura familiare. Nigel le offre un intervallo ricreativo, e che intervallo!
Piccole Donne 1949 di Mervyn LeRoy
9. Louisa May Alcott ha scritto due sequel a Piccole Donne. Riesci ad immaginare un sequel per Le lettere segrete di Jo? Quali avventure potrebbero affrontare le sorelle?Mi piacerebbe moltissimo scrivere un sequel, perché credo che tutte e tre le sorelle si stiano dirigendo in direzioni diverse, e vorrei vedere come se la cavano. Inoltre potremmo anche soffermarci sulle donne delle generazioni intermedie, le donne che sono venute fra Jo March e le sorelle Atwater. Chi era nonna Cissie? Chi era nonna Jojo? E com’era Fee da giovane?...