Le liste della spesa

Creato il 04 febbraio 2013 da Albertocapece

Anna Lombroso per il Simplicissimus

C’è poco da stare allegri se un buffone si mette a far capriole e scombina lo spettacolo del circo, confonde animali e domatori e fa sognare o sghignazzare qualche spettatore. L’uscita peraltro prevedibile e inverosimile di Berlusconi non dice nulla che non sapessimo su di lui ma rivela una volta di più l’inconsistenza dei suoi competitor: Bersani con una ipotesi di rivisitazione dll’Imu dopo che l’ha votata e sostenuta nella sua forma più iniqua, Monti che si dà dell’imbecille due volte –come non concordare – per aver applicato pari pari provvedimenti pensati dal predecessore – come se non lo sapessimo –, Grillo spiazzato da uno più “pop” di lui, Vendola che a forza di cadere dal pero di provvedimenti cui ha dato appoggio brontolone ma concreto, sembra un pugile suonato che barcolla sul ring della campagna elettorale.

Tutti insorgono anche se a vario titolo avrebbero voluto tutti ricorrere a qualcosa di così spettacolare per conquistarsi un applauso, perché poi sul resto diciamolo, non c’è gran disaccordo: Berlusconi non vuole la patrimoniale, ma nemmeno Bersani, ma tanto meno Monti. Fanno unanimemente mostra di non volere le banche nei partiti e i partiti nelle banche, ma tanto sanno di non essere loro a decidere. E c’è una unità di intenti del disprezzo per i cittadini e gli elettori, spinti verso un plebiscito a sostegno maggioritario di un fronte di gestione del potere uniforme.
Ma su un tema c’è qualche distinguo, nella critica ostile e disincantata al cespite individuato dal pagliaccio per far ridere gli italiani, quell’accordo con la Svizzera per il rientro dei 150 miliardi evasi. Eh mica si può fare così di botto, da un decennio all’altro, sembrano dire. E mica vorremo lasciare l’iniziativa al gran cerimoniere di scudi, condoni, liberatorie, licenze e licenziosità.

Se Berlusconi mente sapendo di mentire, gli altri ricorrono all’abituale minuetto di realismo praticone, di concretezza smaliziata per persuaderci che la lotta all’evasione, al riciclaggio e ai fenomeni di criminalità economica strettamente connessi e che si alimentano a vicenda, va condotta con il più cauto buonsenso, con la più prudente circospezione, come d’altra parte quella alla corruzione privata, anche alla trascuratezza sui luoghi di lavoro, anche alla trasgressione delle norme in materia di salvaguardia ambientale, per non correre il rischio di far scappare imprenditori, di far dileguare investimenti, di allontanare compratori. Come se nel quadro della necessità che ci ricatta da ogni parte si collocasse anche quella di subire l’illegalità come ineluttabile, anzi di favorirla come “motore” insostituibile e irrinunciabile di riavvio dell’economia reale. Come se la cultura di impresa imperante non si fondasse sulla predilezione per il gioco d’azzardo della finanza e sulle delocalizzazioni, come se non avessimo dimostrato che comunque e sempre la spesa pubblica e la collettività sono incaricate di sanare i guasti ambientali e sanitari, mentre ambiente e sanità hanno perso il valore di bene comune, come se non fosse stato deciso per legge che la corruzione privata è un vizietto tollerabile mentre si smantellava il sistema di vigilanza statale su appalti, opere, attività della pubblica amministrazione, e che l’evasione criminale passa per gli scontrini e si combatte col redditometro. E come se fosse imperioso monitorare e rintracciare la nostra ricarica Tim attraverso procedure e sistemi di vigilanza sofisticatissimi, a colpi di più di venti milioni di controlli quotidiani, ma naturale e comprensibile distrarsi e perdere di vista le acrobazie delle grandi banche.

Proprio a novembre con cadenza stagionale, il precedente annuncio primaverile si era scontrato col fallimento della trattativa tra Germania e Svizzera, il governo aveva lasciato intendere che un accordo per il rientro era vicino, condizionato – ovviamente – alla tutela delle regole di trasparenza definite a livello internazionale e al benevolo rinvio su un modello di tassazione coerente con gli standard internazionali. Proprio Grilli allora disse che si poteva approfittare dell’interesse della Svizzera a uscire dalla Black List. Ma si vede che l’Italia non era altrettanto motivata a scalare qualche posizione negli elenchi di Trasparency, degli stati cialtroni e governati da formazioni complici e corree.