Le maccalube di Caltanissetta: piccoli vulcani che eruttano fango

Creato il 10 marzo 2014 da Alessiamocci

Oggi vorrei parlarvi delle maccalube di Caltanissetta, suggestive sorgenti idroargillose che introducono al vasto e curioso paesaggio di Sicilia ed alimentano fantasie popolari.

Dall’arabo “maqlùb”, terra che si rivolta, costituiscono un chiaro esempio del raro fenomeno geologico chiamato vulcanesimo sedimentario. Sono dette anche “vulcanelli”, poiché i coni d’argilla che si formano sulla superficie sembrano dei veri e propri vulcani in miniatura e la fanghiglia ricorda la lava.

Si trovano a circa 5 km ad est del centro abitato di Caltanissetta in località Terrapelata (quartiere Santa Barbara) che deve il proprio nome all’aspetto “brullo” della terra, che si configura appunto “pelata”.

Si tratta di eruzioni più o meno violente di fango frammisto a varie tipologie di gas, quali idrocarburi, ossigeno, azoto, acido carbonico e idrogeno. Causa principale del fenomeno è il processo chimico che genera masse di gas in profondità, dando origine a queste manifestazioni eruttive.

Dal suolo fuoriesce fanghiglia argillosa che lentamente si deposita, formando piccoli coni di fango che in seguito si ingrandiscono. Quando la forza eruttiva non riesce più ad espellere il materiale liquido del sottosuolo, il processo si sposta in un altro punto. I coni infatti si formano e svaniscono in continuazione.

Nel 2002 e nel 2008 le maccalube o “vulcanelli” di Terrapelata sono stati al centro di un fenomeno abbastanza esteso che ha prodotto profonde fenditure nel terreno e la formazione di una vasta collina, a seguito di forti esplosioni con riversamenti di enormi quantità di argilla e fango.

La zona dei “vulcanelli” si trova nelle immediate vicinanze della Riserva di Capodarso e Valle dell’Imera meridionale, proprio in mezzo alle famose miniere di zolfo di Caltanissetta. L’area è brulla, con colori che vanno dal biancastro al grigio scuro e lo scenario sembra uscito da un film apocalittico; con una serie di piccoli vulcani di fango alti intorno al metro, protagonisti del vulcanesimo sedimentario. Il fenomeno è legato alla presenza di terreni argillosi poco consistenti, intercalati da livelli di acqua salmastra che sovrastano bolle di gas metano sottoposto a una certa pressione.

Il gas, attraverso le discontinuità del terreno, affiora in superficie, trascinando con sé sedimenti argillosi ed acqua leggermente salata a temperature comprese tra i 20 ed i 25 gradi centigradi, che danno luogo a un cono di fango la cui sommità è del tutto simile a un cratere di vulcano.

La consistenza dei fanghi argillosi è a volte talmente liquida da non permettere la formazione di veri e propri coni vulcanici. Altre volte il fenomeno assume addirittura carattere esplosivo, con espulsione di materiale argilloso misto a gas e acqua, causa di vere e proprie eruzioni.

L’area riveste anche notevole interesse botanico per la presenza di vegetazione di tipo alofilo (organismi adatti a livelli di salinità piuttosto elevati), costituita principalmente da Lygeum Spartum. Inoltre è luogo adatto alla crescita del Limonio di calcara, che vegeta sulle argille umide ricche di sale.

Una curiosità: i crateri dei “vulcanelli” sono in prossimità di centri urbani. Quando le eruzioni diventano esplosive alcune strade si deformano e qualche manufatto cade a terra. Lo strano fenomeno è comune anche ad Aragona, in provincia di Agrigento e in Emilia Romagna, a Nirano. Aree con caratteristiche uniche che potrebbero essere trasformate in riserva naturalistica e fungere da richiamo turistico come fonte di sviluppo.

Written by Cristina Biolcati


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