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Le mani della ‘ndrangheta sulla cocaina e sul calcio: inchiesta di Reuters sul comune calabrese di Rosarno

Creato il 25 gennaio 2013 da Cagliostro @Cagliostro1743

Le mani della ‘ndrangheta sulla cocaina e sul calcio: inchiesta di Reuters sul comune calabrese di RosarnoSpesso si sente parlare della “mafia del calcio” magari riferendosi ad un sistema sportivo non troppo limpido. Più raro invece leggere della ‘ndrangheta nel calcio. Mettere in luce gli interessi della criminalità calabrese nel mondo del calcio e non solo è quanto realizzato da Steve Scherer dell’importante agenzia di stampa Reuters con la sua inchiesta “Insight – Smuggling, football and the mafia”. Scherer parte del caso della Rosarnese, squadra semiprofessionale della città di Rosarno (Rc), un piccolo comune della piana di Gioia Tauro. La squadra di calcio era legata, secondo quanto hanno rivelato ex membri del clan poi diventati collaboratori di giustizia, al locale clan Pesce. I beni della cosca sono stati sequestrati dalla polizia (per un valore approssimativo di 220 milioni di euro) ed anche la squadra nel 2011 è stata posta sotto sequestro giudiziario. Il team aveva bisogno di nuovi sponsor ma nessuno si è mostrato interessato, per paura di ritorsioni, a prendere il posto della locale cosca della ‘ndrangheta. Questo ha provocato la fine della squadra che – dopo una stagione deludente – è stata sciolta.
Reuters evidenzia come il peso della ‘ndrangheta ormai sia più importante della vicina mafia siciliana. «Oggi la mafia calabrese è una forza nazionale ed internazionale. Sta fortemente inquinando l’economia e compromettendo il sistema politico. Con una squadra di calcio, la ‘ndrangheta espande sia la sua portata economica che la sua posizione politica all’interno di una comunità»: questo il pensiero di Pierpaolo Romani, giornalista, coordinatore nazionale dell’associazione antimafia Avviso Pubblico e autore del libro Calcio criminale.
L’importanza della ‘ndrangheta è cresciuta enormemente grazie al traffico di cocaina dal Sud America anche sfruttando il vicino porto di Gioia Tauro in cui – secondo quanto scrive Reuters – l’anno scorso è stata sequestrata quasi la metà di tutta la cocaina sequestrata dalla polizia in Italia: il porto container calabrese (uno dei più importanti del Mediterraneo) è attualmente uno dei principali ingressi di droga in Europa come ha evidenziato la Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della criminalità. Tutto questo a pochi chilometri dalla capo Vaticano tanto amata dallo scrittore Giuseppe Berto e nei territori descritti in Mastro Adamo il Calabrese da Alexandre Dumas, l’autore de I tre moschettieri.
Il porto nacque per servire quello che doveva essere il centro siderurgico della piana di Gioia Tauro, un’area ricca di uliveti ed agrumeti che va dal monte Poro al monte sant’Elia. Il centro siderurgico non entrò mai in funzione (anche per le proteste della popolazione locale che temeva per l’agricoltura della zona) ma il porto divenne in breve tempo uno dei più importanti del Mediterraneo sebbene attualmente soffra molto la competizione dei più economici porti del nord Africa. Il progetto ricevette negli anni Novanta un finanziamento di 40 milioni di euro da parte della Comunità europea ma il sogno di creare un complesso industriale nell’area è rimasto sempre tale: persino la prestigiosa Isotta Fraschini aveva deciso di ritornare sul mercato proprio realizzando automobili a Gioia Tauro ma – dopo più di 400 modelli prodotti – lo storico marchio abbandonò il progetto.
Il peso finanziario di ‘ndrangheta, cosa nostra e camorra sono impressionanti: secondo le stime dell’Onu avrebbero un fatturato annuo di circa 116 miliardi di euro, ben più di quanto fattura l’Eni ad esempio.
La guerra alla droga si combatte in un seminterrato della periferia di Roma dove un team dell’Agenzia doganale italiana analizza le rotte delle navi che passano da Gioia Tauro per poi passarle alla Guardia di Finanza in Calabria che associa tali dati con altre informazioni raccolte con metodi d’indagine più tradizionali come intercettazioni telefoniche o appostamenti.
La caccia alla droga è certamente difficile. Spesso i carichi di stupefacenti viaggiano in semplici borsoni dal peso di 40 chilogrammi che sono rimossi dai container prima che i funzionari doganali abbia la possibilità di ispezionare il carico. Individuare una borsa piena di droga all’interno di un porto lungo più di tre chilometri è come trovare un ago in un pagliaio ma il valore di un solo borsone può essere di due milioni di euro in acquisto e circa nove milioni quando il carico viene spacciato sulla strada.
I successi della polizia e delle autorità doganali per fortuna non sono mancati. A giugno 2012 sono state rinvenute 17 borse piene di cocaina proveniente dal Sud America per un valore complessivo di 152 milioni di euro e l’anno scorso nel solo porto di Gioia Tauro sono state sequestrate oltre due tonnellate di cocaina, più del doppio rispetto al 2011.
A Rosarno la guerra contro la ‘ndrangheta è una lotta senza quartiere. Intercettazioni telefoniche di un locale boss hanno rivelato la presenza di 250 mafiosi in un comune di meno di 15mila abitanti con una proporzione di un criminale ogni 60 residenti.
L’amministrazione comunale, come spesso accade in Calabria, è stata sciolta nel 2008 per infiltrazioni mafiose e due anni più tardi a diventare sindaco è stata la segretaria comunale Elisabetta Tripodi che ha dato alla sua giunta un’impronta profondamente antimafia.
L’amministrazione, come riporta l’inchiesta di Reuters, ha citato in giudizio Francesco Pesce per il caso che riguardava la squadra di calcio ed – in sede civile – il giudice ha riconosciuto alla città di Rosarno un risarcimento di 50 milioni di euro che saranno pagati da un fondo statale di denaro confiscato alla mafia.
Non sono mancate le ritorsioni da parte della ‘ndrangheta che hanno vandalizzato alcune parti della città e la stessa Tripodi ha ricevuto una lettera di intimidazioni: «Queste minacce ci hanno convinto che eravamo sulla giusta strada perché significava che quello che stavamo facendo creava fastidio», ha detto il sindaco Tripodi che ora vive con la protezione della polizia.
Secondo Alessandra Cerreti, il magistrato antimafia che ha sequestrato la Rosarnese legata al clan Pesce, «la ‘ndrangheta è una presenza invasiva in tutti i segmenti della vita sociale e politica della Calabria. C’è un esercito di professionisti, uomini d’affari, e a volte anche magistrati e membri delle forze dell’ordine, che si mettono al servizio della ‘ndrangheta per interesse personale».
Questa è la seconda volta in pochi mesi che la stampa internazionale si occupa del piccolo comune calabrese che nel 2010 era diventato tristemente famoso per la rivolta degli immigrati. Lo scorso ottobre in un suo articolo sul New York Times Rachel Donadio offriva questa descrizione: «è doloroso passare attraverso le case non ancora terminate di Rosarno, una zona agricola nota per i violenti disordini razziali scoppiati nel 2010, e guardare il mare da Gioia Tauro, una città portuale costruita su un’antica necropoli greca dove le tombe del cimitero sono meglio conservate di alcune case vicine».

Le mani della ‘ndrangheta sulla cocaina e sul calcio: inchiesta di Reuters sul comune calabrese di Rosarno


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