Durante i Mondiali di calcio 2014, garantirò nei miei spazi, il commento-pagella delle partite dell’Italia, e degli altri incontri principali.
Inoltre, una sintesi audio-video Youtube delle fasi salienti delle partite degli azzurri.
Ascolterete la mia voce in televisione su Top Calcio 24, e in radio su Radio Sportiva.
Nella marcia di avvicinamento all’evento, vi propongo una serie di ricordi personali, legati proprio alla storia della manifestazione.
A cura di Carlo Nesti
MAR DEL PLATA, 2-6-1978
ITALIA-FRANCIA 2-1
GLI OLANDESI SIAMO NOI
Il logo dei mondiali ci calcio Argentina 1978
A Mar del Plata, alle ore 13, 45 minuti e 44 secondi del 2 giugno 1978, sembra già finito tutto: il Mundial argentino, le speranze di riscattare il 1974, l’ansia di rinnovare il nostro calcio.
Al pronti-via, con la veemenza di un kappaò alla prima ripresa, l’ala francese Six prende il volo sulla fascia sinistra del campo, superando a freddo, come Speedy Gonzales, Gentile e Scirea.
Cross, testa di Lacombe, in anticipo su Bellugi, e gol, con Zoff impotente e impietrito: 0-1 in meno di un minuto, il battesimo crudele dell’avventura azzurra nei Mondiali.
Qualcuno, in Italia, spegne il televisore, perché, dopo aver visto la squadra pareggiare nell’ultima amichevole pre-argentina, 0-0 a Roma contro la Jugoslavia, si delinea la disfatta.
Sono un giovane praticante del quotidiano “Tuttosport”, e sono stato incaricato di “scrivere” la partita, davanti al video, nel caso non pervenissero servizi al telefono.
I redattori più anziani, intorno a me, sghignazzano, elargendo volgarità assortite, e io, tifosissimo da sempre della Nazionale, non ho il coraggio di replicare alla becera ironia.
Eppure, quando il pallone torna a centrocampo, ho la sensazione che il match, quello vero, debba ancora disputarsi, perché non c’è scoramento, ma soltanto orgoglio.
I colleghi continuano a ridere, eppure qualcosa comincia a muoversi: l’Italia c’è, corre, lotta, l’esatto contrario di quanto era facile prevedere, dopo il pugno terrificante.
Passano i minuti, e mi accorgo che nella stanza è arrivata più gente, silenziosa e partecipe, tanto che, intorno al 20’, mi esce spontaneo un: “Diavolo, ma come stiamo giocando!”.
Temo di essere umiliato dagli sfottò, e invece stavolta nessuno ha la sfacciataggine di dire niente, perché i nostri, i Benetti e i Tardelli, stanno mettendo sotto la Francia.
Al 29′ largo al pirotecnico flipper: cross di Cabrini, deviazione di Bettega, testa di Causio, traversa, tiro di Rossi, respinta involontaria di Causio, tiro ancora di Rossi, gol! 1-1.
In quell’istante, a compimento di una sequenza interminabile di sponde, nasce la grande Italia di Bearzot, che in quel Mundial sarebbe giunta quarta, e in Spagna addirittura prima.
Vinciamo 2-1, con raddoppio di Zaccarelli, e alla fine dell’incontro, con stupore, vengo chiamato al telefono dal mio “maestro”, inviato speciale in Argentina: Pier Cesare Baretti.
Vuole sapere come è stata recepita in redazione, e più in generale in Italia, la grande impresa, e per saperlo ha scelto proprio me, l’ultimo dei redattori del giornale.
Vinco l’emozione del contatto transoceanico, esalto quella Nazionale così spavalda, e dopo decenni di “catenaccio”, senza sbagliare, chiudo così: “Pier Cesare, adesso l’Olanda siamo noi!”.
BUENOS AIRES, 25-6-1978
ARGENTINA-OLANDA 3-1
IL DESTINO IN UN PALO
Il 25 giugno 1978, in occasione della finale dei Mondiali fra Argentina e Olanda, “Tuttosport” mi lascia a casa di riposo, per cui seguo tranquillamente la partita in televisione.
In me c’è la tristezza di non potere ammirare nell’Olanda il grande dissidente Cruyff, e su una parete della mia camera, a malincuore, appendo il poster della squadra biancoceleste.
In quel momento, gli eroi del calcio si chiamano Ardiles, Kempes e Passerella, e mi fa sorridere vedere quest’ultimo in punta di piedi, per sembrare più alto nella fotografia.
Ardiles, invece, sarà uno dei funamboli arruolati dal film “Fuga per la vittoria”, un solista di seta in grado di migliorare, in senso dinamico, il talento sornione dei sudamericani.
Il prato dello stadio di Buenos Aires è interamente coperto da rotoli di carta igienica: una immagine che, ai giorni nostri, verrebbe subito sfruttata come spot dagli esperti di marketing.
Non è un modo di promuovere qualche prodotto per l’infanzia, o qualche antidoto contro la dissenteria, ma è solo l’inizio della festa, a colpi di “asciugoni”, dei tifosi locali.
Nel primo tempo, al 38′, il gol di Kempes sembra il prologo di un successo scontato, fortemente voluto dal regime militare argentino di allora, ma la cocciutaggine rivale spazza il verdetto.
A 9 minuti dallo scadere, infatti, Nanninga realizza la rete del pareggio, ammutolendo lo stadio, e delineando la prospettiva dei supplementari per assegnare il titolo.
Proprio al 90′, tuttavia, accade uno di quegli episodi che dimostrano come la logica del calcio sia sempre, e comunque, “a posteriori”, appesa a fragilissimi fili conduttori.
L’attaccante dell’Olanda Resenbrink si trova davanti al portiere Fillol: chiude per un attimo gli occhi, e quando li apre, vede la palla sbattere beffardamente contro il palo.
Un centimetro più in qua, gli “oranges” si sarebbero aggiudicati partita e torneo, e per 4 anni avremmo parlato di vittoria indiscutibile della scuola europea sulla scuola sudamericana.
Nel 1974, infatti, l’Olanda aveva perso la finale contro la Germania, ma aveva riscosso consensi universali, per cui il trionfo appariva l’apice di una crescita inarrestabile.
Un centimetro più in là, invece, i padroni di casa conservano la porta inviolata, e nei conseguenti supplementari, con i gol di Kempes e Bertoni, diventano campioni del mondo.
Per 4 anni si enfatizzerà la rivincita del calcio sudamericano su quello europeo, e dello scarso utilitarismo del modello olandese, dopo ben 2 secondi posti nel 1974 e 1978.
La verità è che, a fare tendenza, è più quanto avviene fra un Mondiale e l’altro, che non quanto capita durante il Mondiale stesso, in balia di variabili spesso incuranti dei meriti.