Due uomini riescono ad estrapolare da una strana pianta un principio attivo che, sospendendo le funzioni vitali, permette loro di viaggiare nel tempo. Vengono, così, catapultati cento anni in avanti, in un mondo completamento diverso da quello in cui vivevano. Macchine volanti, treni sotterranei, città sottomarine ed altre diavolerie tecnologiche faranno da scenario al loro salto temporale.
Salgari ha, inoltre, alcune intuizioni che si riveleranno esatte: parla di inquinamento e terrorismo, e immagina qualcosa di simile alla televisione e ad un innovativo materiale, riconducibile alla plastica.
Ciò denota una attenta e profonda analisi, da parte dell’autore, dei cambiamenti in atto e del progresso tecnologico, scientifico e sociale agli albori nel periodo in cui egli viveva. Ma l’esito delle sue ricerche in tal senso, non sembra essere positivo, data la conclusione del romanzo.
I protagonisti, infatti, non riescono a stare al passo con i tempi e con i ritmi di una società accelerata e in continua evoluzione. Verranno rinchiusi in manicomio dove finirà il viaggio futuristico che, per insaziabile e irrefrenabile curiosità, avevano intrapreso.
Il romanzo, dunque, spinge a riflettere sull’eccessiva importanza che allora veniva data al Duemila, sull’enorme ansia di sapere, di conoscere, di immaginare come sarebbe stato e sull’eccesso di positività e di fiducia nei confronti di una nuova era, che per Salgari non sarebbe stata necessariamente perfetta o migliore della sua. Velocità, ipertecnologia, progresso avrebbero portato con sé nuovi problemi e conseguenze negative secondo la previsione, non lontana dalla realtà, dello scrittore.