Il viaggio per me è innanzitutto una grossa opportunità per sperimentare nuove situazioni e calarsi in realtà diverse, sfruttare ogni occasione per conoscere meglio se stessi al di fuori della propria comfort zone e mettersi alla prova. Il viaggio offre la possibilità di “collezionare” tante prime volte: esperienze uniche che ci legano per sempre con la memoria ad un determinato luogo.
Queste sono le mie prime 10 volte, elencate in ordine casuale; estratti dal viaggio più recente a quello più lontano negli anni. 10 momenti speciali, per motivi molto diversi tra loro, che mi strappano un sorriso ogni volta che riaffiorano tra i ricordi.
- Volare in elicottero, e non in un posto qualsiasi, ma sul Grand Canyon. Ammetto che la paura all’inizio é stata parecchia (qui l’ho racconto tutta), ma credo non ci sia modo migliore per godere appieno di questa meraviglia della natura.
- Mettere a mollo i piedi nell’oceano. Il caso ha voluto che non accadesse su una spiaggia di un qualche paradiso terrestre, ma di notte a Coney Island, nelle fredde e poco cristalline acque dell’Atlantico che bagnano New York.
- Vincere 800€ al casino, a Monte Carlo. Eravamo diretti a Ginevra e, per festeggiare il compleanno di Mister, avevamo deciso di passare una notte di follie, senza badare a spese: Montecarlo pensavamo fosse di strada ed era la meta perfetta. Trovata una super-offerta per una stanza al Port Palace Hotel, ci spacciammo per una coppia di novelli sposi, che si tradusse in bel upgrade ad una suite di 60 mq. Cena a lume di candela sulla terrazza dell’hotel vista porto – di cui ho rimosso il costo per non avere ogni volta un mancamento - ma ricordo benissimo che mangiai pure i fiori a decorazione del piatto perché a quel prezzo dovevano per forza essere commestibili. Un paio di puntate sui nostri numeri fortunati alla roulette e ci ripagammo hotel, ingresso al casino e cena a base di fiori.
- Sedersi sul letto di una famiglia Masai, fatto di rami levigati, il cui materasso altro non è che una rigida pelle di animale sottilissima. Rimanere li seduta nella penombra, con gli occhi che fanno fatica ad abituarsi alla differenza di luce tra dentro e fuori, cercando di non tossire per il fumo del fuoco acceso all’interno per evitare di svegliare il neonato che dormiva tra le braccia della mamma.
- Partecipare alla festa per il khetnasori di un bambino afghano a Londra. L’idea di una festa da 200 persone per il taglio del prepuzio di un bambino, all’epoca mi sembrò un’esagerazione. Scoprendo poi che ad un matrimonio afghano si può arrivare tranquillamente ad 800 invitati, – perché è giusto invitare amici, parenti, vicini, amici degli amici e i vicini degli amici che ti hanno visto giocare una sola volta nel cortile di casa vent’anni prima, mobilitando persone da tutte le parti del mondo, perché non esiste che non ci si presenti ad un matrimonio - ho finito col ricredermi. Di quella sera ricordo il cibo – la cucina afghana è qualcosa di superlativo - e le donne e gli uomini che ballavano: il gioco di mani che volteggiavano per aria mentre roteavano in cerchio; decine di braccialetti dorati lungo le braccia delle donne che con il loro tintinnio accompagnavano il ritmo della musica tradizionale, gli abiti femminili di velluto rosso e verde, cosi finemente elaborati da suscitare subito la mia invidia.
- Cantare a squarciagola “O sole mio” su un battello lungo la Moldava con i miei compagni di scuola. Le voci si unirono pian piano alla prima, che aveva iniziato a cantare per gioco, in un crescendo sempre più forte, che finì con l’attirare l’attenzione di decine di persone, che dall’alto dei ponti di Praga iniziarono a cantare con noi.
- Vedere dal vivo alcuni dei più celebri quadri di Van Gogh nell’omonimo museo di Amsterdam.
- Scendere fino al cuore di una delle tre piramidi di Giza, “percorrendo il lungo cunicolo semibuio piegati in avanti, con l’umidità che soffoca un po’ il respiro, alla scoperta del suo segreto più nascosto”.
- Guardare dal basso le cascate del Niagara, sentirne il frastuono da vicino, ammirarne tutta l’immensità e la potenza e risalire completamente bagnata.
- Camminare a 5 metri dal suolo su una corda d’acciaio, nonostante la paura dell’altezza, in un paesino al confine franco-svizzero. Perché l’ho fatto? Per dimostrare a me stessa che potevo farcela e a Mister che non sono poi cosi cacasotto. Il risultato? 5 alberi superati – dando sempre la precedenza ai più temerari ovvero bambini più o meno cinquenni che saltavano da una parte all’altra come se ci fossero nati sopra a quegl’alberi – col cuore in gola, fino a quando il ponte tibetano mi ha messa KO e sono rimasta appesa come un salame: abrasioni e lividi lungo tutte le braccia e una presa in giro durata giorni. La mia consolazione: un giro nella palla di plastica, all’uscita della quale sono scivolata ovviamente in piscina.