Le mine vaganti

Creato il 06 maggio 2011 da Elenatorresani

In questi giorni di degenza, in cui qualsiasi cosa da fare è fastidiosa come un collare di plastica rigida steccato sotto il mento, il tempo vola pesante. Strano a dirsi.
C’è tempo per pensare, perché tutte le battaglie aspettano sullo zerbino di casa: accovacciate, arrotolate su loro stesse per tenersi calde, sbirciano con malcelata noncuranza la mia C5, in attesa che l’inversione del rachide cervicale si normalizzi e mi dia tregua.
C’è tempo di stare su Sky, e di incappare in un film che s’intitola “Mine vaganti”, e che finisce così:  

“La terra non può volere male all’albero. Tommaso, scrivi di noi, la nostra storia, la nostra terra, la nostra famiglia. Quello che abbiamo fatto di buono, e soprattutto quello che abbiamo sbagliato, quello che non siamo riusciti a fare perché eravamo troppo piccoli per la vita che è così grande.
La mina vagante se n’è andata.
Così mi chiamavate, pensando che non vi sentissi. Ma le mine vaganti servono a portare il disordine, a prendere le cose e a metterle in posti dove nessuno voleva farcele stare; a sgominare tutto, a cambiare i piani.”

Dedico questo epilogo a tutti quelli che si domandano da quale sconosciuto ceppo bastardo hanno ereditato il fuoco, o lo straniamento, o la vergogna che li getta fuori dalla genealogia degna e riconosciuta.
A tutti quelli che scrivono, lottano, parlano, vivono e decidono di essere nonostante.
Pagando un prezzo che, da qualche parte e talvolta a caso, è altissimo.
Tanto che a tratti viene voglia di diventare mansueti, e di mettersi nelle mani di un artificiere. Magari di chiedere scusa. Ma anche queste son tutte chiacchiere. Parole a cazzo.
Perché una volta che t’ha morso la tarantola, col sangue che bolle ci devi fare i conti.
E in linea di massima son conti che ti fai clamorosamente da solo.
E quando dico clamorosamente, intendo proprio clamorosamente.


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