Le minuzie che contano

Da Marcofre

(…) si riscosse, non rispose nulla.

Lo so, sono minuzie. Se però si prova a leggere ad alta voce questa frase, qualcosa attira l’orecchio. Allora gli occhi ripassano per due, tre volte le parole, finché non trovano la soluzione:

riscosse

rispose

Esatto, minuzie. Non è il caso, eccetera eccetera. O sì? I lettori non badano a questi dettagli. Vero: però è meglio che ci badi l’autore. Perché poi trova il lettore che invece ama da morire questo genere di attenzioni. Questo amore per la parola, persino per i suoni. E se tutti cercano un editore, dovrebbero almeno avere altrettanta cura per chi legge, o meglio: per una piccola categoria di lettori. Quello attenti. In Italia credo non siano più di 700…

Sono quasi certo che certe cose riescano comunque a sfuggirmi, e quindi ci sarà di peggio. A volte, dopo mesi riprendo un racconto e trovo delle cose che non si possono e non si devono condividere. Mi accompagneranno nella tomba, e ne sono felice; ma sono talmente tante che alla fine credo che ci starò stretto.

Siccome si scrive per tendere all’arte, questi aspetti non possono essere tralasciati. E anche se in un primo momento dici: “Al diavolo, ho letto quel libro dove c’era di peggio!”. Dopo qualche minuto, o forse sono giorni, torni sui tuoi passi.

“Ma io non sono quello là!” E correggi.

Ecco perché bisogna lasciar riposare una storia. Rileggerla con calma, meglio ancora stamparla e procedere con il celeberrimo sistema della matita e del righello. E se si hanno un paio d’occhi disposti a darci un’occhiata, meglio ancora.


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