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Le morti bianche di quelle ombre che lavorano in nero

Creato il 09 marzo 2012 da Plabo @PaolaBottero

Le morti bianche di quelle ombre che lavorano in neroA luglio di tre anni fa successe a Marsiglia. Quattro gru stavano sollevando il tetto del palco in allestimento allo Stadio Vélodrome per il concerto di Madonna. Racconterà un testimone: «La gru sorreggeva alcuni piloni in metallo che facevano parte della struttura del palco. Una parte della scena era già stata montata e quando un pezzo si è staccato dalla gru, forse perché agganciato male, è caduto facendo il rumore di un’esplosione. È venuto giù tutto, come un castello di carte». Dieci gli operai rimasti sotto il castello venuto giù: uno, cinquantatreenne francese, morto sul colpo. Concerto annullato.

A metà dicembre dello scorso anno è successo a Trieste. L’impalcatura in allestimento all’interno del Palazzetto dello Sport si è accartocciata su se stessa, seguendo il crollo dell’impalcatura che alloggia altoparlanti e riflettori. Sette gli operai rimasti incastrati tra i tubi di acciaio. Tra loro Francesco Pinna, studente universitario di Trieste. Vent’anni terminati sotto il palco dove avrebbe dovuto cantare Jovanotti. Concerto annullato.

Lunedì è stato annullato un altro concerto, a Reggio Calabria. Laura Pausini era in albergo, in attesa del giorno di prove prima che il Palacalafiore si riempisse per ascoltarla. Erano da poco passate le tre di notte. Racconta Luca, rigger (tecnico addetto all’ancoraggio del palco) cinquantenne di professione, freeclimber per vocazione, che era sul tetto di ferro crollato addosso a Matteo Armellini, trentunenne romano: «Siamo venuti giù di botto. Io sono finito per terra in un secondo, e non ho ancora capito perché. Stavo proprio lodando le condizioni di sicurezza quando tutto è venuto giù: sono stato il primo a soccorrere Matteo, gli ho sentito il polso ma non c’è stato niente da fare. I soccorsi sono stati immediati ma anche loro hanno capito che eravamo di fronte a una tragedia».

La terza vittima uccisa dal crollo di un palco per un concerto era un tecnico luci che lavorava per una ditta di ottanta dipendenti, “tutti tecnici scelti, professionisti con anni di esperienza”.

Poco importa sapere se il problema è stato di un cedimento strutturale, o se il pavimento non ha retto al troppo peso, o che altro. Poco importa che, dopo l’incidente di Trieste al palco di Jovanotti, quella di Reggio fosse una copertura di ultima generazione, adeguata alle normative di sicurezza, con un peso decisamente inferiore a quanto previsto solitamente (e coerente con la normativa vigente). Poco importa che il mondo dello spettacolo si senta scosso e invochi nuove regole e maggiore severità, magari riportando a misure “normali” le profondità cui si è arrivati negli ultimi anni. Poco importa che il palco del concerto reggino di Laura Pausini fosse ben più piccolo di quelli allestiti a Milano, Roma e Ancona: largo 30 metri, profondo 36 e alto 20, aveva richiesto otto tir in meno per trasportarla (“solo” 15 anziché 23).

L’ennesima vittima del lavoro ha preso le prime pagine dell’informazione. Ciascuno ha gridato allo scandalo, si è dichiarato commosso o indignato, ha dato la propria ricetta per evitare che il mondo patinato dello spettacolo possa ancora essere scosso da tragedie del genere. Annullando concerti. Nessuno ha pensato di ricordare che ogni anno muoiono “di lavoro” migliaia di persone.

L’osservatorio indipendente di Bologna registra nel 2011, in Italia, 1.170 morti sul lavoro, cifra che non tiene conto di tutti i lavoratori in nero morti come veri schiavi. Destinati a rimanere in nero anche se muoiono di morte bianca. Lontani dalle luci dei riflettori, si è nulla più che ombre. Senza musica. [il futurista nr 39]


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