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LE NARCOSALE , LUOGHI DOVE CI SI PUò DROGARE NON IN STRADA , PER SCONFIGGERE LA TRASMISSIONE DELL’HIV E LE MORTI DI OVERDOSI

Creato il 15 febbraio 2011 da Madyur

Siamo a Barcellona. Non c’è nessun cartello all’ingresso, nessun controllo, nessun giudizio. E’ piccola la porta che separa la traversa di una delle strade più affollate del mondo, Le Ramblas di Barcellona , da un universo obbligatoriamente intimo e segreto. Quello del tossicodipendenti che, grazie all’aiuto dei volontari , trovano uno spazio dove consumare le proprie dosi sotto l’osservazione di infermieri.

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Alessandro è italiano, ha trent’anni, ed è uno die tanti che passano ogni giorno nella sala Baluard, l’area per il consumo controllato di droghe di Barcellona. Entra, compila un questionario, si fa assegnare un codice , consegna una siringa usata in cambio di un kit sterilizzato e fa in queste mura,m quello che avrebbe fatto in strada.

La direttrice del centro, Esther Henar, racconta che hanno una media di 130 ragazzi al giorno. La maggior parte sono uomini, stranieri , tra i trenta e i quaranta. I più numerosi sono italiani , seguiti da marocchini e rumeni. “Le persone a cui offriamo assistenza spesso vivono in condizioni di emarginazione , sono soprattutto immigrati che dormono in strada o, nel caso degli italiani, turisti , che poi continuano il tour delle droghe per il resto dell’Europa” continua Henar.

Nella sala dell'a Henar lavorano più di 50 specialisti della ong Association Bienestar y Deasarollo (Associazione Benessere e Sviluppo). L’agenzia della sanità pubblica di Barcellona ha affidato alla Abd la gestione di due delle quattro narcosalas della città. La più grande è Baluard , che dal 2004 registra quasi un milione d’ingressi al giorno : tra questi tremila ne sono entrati solo per una volta.

La sala più singolare è quella chiamata Unità mobile : un autobus parcheggiato nella Zona Franca , vicino al porto e ai palazzoni abitati dai gitani , che monopolizzano lo spaccio della cocaina.

Sebbene solo il 12% degli assistiti decida di tentare poi un trattamento a base di metadone , questi centri si sono via via dimostrati di grande utilità. A Barcellona le siringhe abbandonate si sono dimezzate in sei anni. Le morti per overdose e la percentuale di contagio di HIv tra i tossicodipendenti si sono quasi azzerate in tutte le città che hanno adottato questo metodo. Esistono un centinaio di questi centri nel mondo, concentrate soprattutto in Germania, Olanda, Australia, Norvegia, Svizzera e Spagna . E il dibattito sull’opportunità di aprirne anche in Francia e in Danimarca è acceso.

Nel 2006 in Italia era stata proposta una riduzione del danno, per far diminuire il numero delle aggressioni degli omicidi compiuti dai tossicodipendenti : le esperienze di Olanda e Regno Unito provano l’efficacia di queste politiche in tal senso. Ma in Italia niente aperture, e gli italiani continuano a bucarsi in strada.

In Spagna nel 2005 sono avvenute agguerrite proteste per l’inaugurazione di una narcosala, in un grande ospedale della città. Oggi nessuno si oppone più. “La città ha capito che la tossicodipendenza è una malattia, non un delitto” dice Pineiro , dell’Agenzia della Sanità pubblica.

Qualcuno ancora , a Barcellona, protesta per al concentrazione dei centri nel quartiere adiacente alle Ramblas. Per diluire l’impatto sul centro storico, si è deciso l’apertura di una slaa in ogni barrio: altre 9 entro il 2014. Hanno tutto un aspetto asettico , tavolini bianchi appoggiati a pareti immacolate e pochi oggetti : uno specchio, un cestino , una sedia scomoda. All’ingresso nessuna insegna , solo un cartello “Si te metes, no te mates” Ovvero “Se ti droghi , non ti uccidere”


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