Le notti bianche (Dostoevskij)

Creato il 27 dicembre 2013 da Athenae Noctua @AthenaeNoctua

Non che avessi bisogno di ulteriori conferme, ma ormai posso ufficialmente dire di non essere in grado di apprezzare completamente la narrativa breve: racconti e romanzi di poche pagine non fanno decisamente per me. Ad eccezione di Addio di Honoré de Balzac, infatti, non ricordo alcun testo di questo genere che mi abbia lasciata pienamente soddisfatta. Non ho certo trovato sgradevoli tutti i romanzi brevi in cui mi sono imbattuta, anzi, spesso quella sorta di delusione che sto cercando di descrivere è proprio più accentuata nei confronti dei libri che mi sono davvero piaciuti. Mi sembra sempre che l'autore mi dia un assaggio di contenuti gustosi per poi togliermi il piatto e lasciarmi affamata.

Con Le notti bianche l'effetto è stato proprio questo: più procedevo nella lettura, più mi appassionavo ai sogni e alle fantasie del narratore-protagonista, senza rendermi conto di quanto si assottigliasse la mole delle pagine sul lato destro del libro. Arrivata alla fine, immancabilmente mi si è presentata la solita sensazione: ma come, perché, e poi?

Pubblicato nel 1848, il romanzo narra un momento circoscritto della vita di un personaggio che si definisce un 'sognatore', un uomo che, deluso dalla vita e dai rituali della società di Pietroburgo, alimenta la propria esistenza di illusioni, fantasie e slanci di visionarietà, accontentandosi di uscire dalla sua trascurata casa solo durante la notte, quando la città è deserta e silenziosa, quasi sospesa in un incanto. Durante una di queste passeggiate, che fanno perno attorno ad una panchina presso la quale il narratore raccoglie i propri pensieri, avviene l'incontro con la giovane Nasten'ka, con la quale si istaura immediatamente una corresponsione di sensibilità: anch'ella, avendo nutrito la propria esistenza di storie, ha la mente piena di sogni, ma, a differenza delle evasioni fini a se stesse del protagonista, ella indirizza le proprie aspettative all'amore per un uomo che da un anno non dà più notizie di sé.
Il tratto più originale di Le notti bianche è la simbiosi che si realizza fra il contenuto e lo stile: nelle prime pagine il protagonista è solo, chiuso in se stesso, attento ai particolari dei personaggi e degli edifici della città e la narrazione prosegue in modo semplice e pacato. Ma l'irrompere della sua interlocutrice scatena il flusso delle parole, che diventano tanto concitate e sublimi da spingere Nasten'ka a pregare il compagno a moderare la concitazione:

"Ascoltate: voi raccontate in modo meraviglioso, ma potete raccontare in modo un po'meno meraviglioso? Giacché parlate come se leggeste un libro." (da Notte seconda, p. 59)

Il 'raccontare in modo meraviglioso' è però l'essenza verbale dei pensieri del narratore: meravigliose sono le sue fantasie, meravigliose le trasfigurazioni che attribuisce all'esistenza del sognatore; dunque, per un basilare principio di retorica, meraviglioso deve essere anche il linguaggio. D'altronde il sognatore è un essere eccezionale, che fatica a trovare qualcuno che corrisponda tale straordinarietà, ed è, pertanto, un essere solitario, che ricerca un proprio spazio per sopravvivere al di fuori della società comune:

"Ci sono, Nasten'ka, se non lo sapete, ci sono a Pietroburgo degli angoletti piuttosto strani. In quei posti è come se non facesse capolino lo stesso sole che brilla per tutti i pietroburghesi, ma ne facesse capolino un altro, nuovo, come fosse stato richiesto apposta per quegli angoli, e brilla su tutto con un'altra luce, particolare. In quegli angoli, cara Nasten'ka, è come se si vivesse una vita completamente diversa, per nulla simile a quella che ferve intorno a noi, una vita come potrebbe essere in un regno sconosciuto ai confini del mondo, e non da noi, nel nostro tempo serio-straserio. [...] Sentirete che in quegli angoli vivono strane persone - sognatori." (da Notte seconda, p. 55)

Da questo stato di eterno sognatore, il protagonista esce per un minimo spazio di tempo, quello che basta ad aggiungere alle proprie fantasie quello dell'amore per Nasten'ka.
La brevità, invero, si addice alla perfezione a questo romanzo: Dostoevskij ha voluto rendere, nella scansione del racconto, il lampo stesso della nascita del sogno e del suo precipitoso spegnimento. E penso che, nonostante la mia insofferenza nei confronti delle storie sospese, delle riflessioni bruscamente recise, dovesse essere proprio questo l'effetto che l'autore voleva produrre: un improvviso arresto, una sensazione di mancato appagamento, la consapevolezza che, per citare Petrarca, "quanto piace al mondo è breve sogno" ( Canzoniere I, v. 14).

C.M.


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