le notti di Gaza

Creato il 02 agosto 2014 da Frmagni


Ieri sono andata a dormire serena, tre giorni di tregua a Gaza, stanotte non sarebbero caduti missili. Ma la tregua è saltata, non è chiaro il perché, e stamattina Hassan Rabee ha messo su Facebook altre foto che, dice, “I’ll never apologize for publishing”.

Hassan Rabee vive a Gaza e da lì ogni giorno posta quel genere di foto che se le pubblicasse un quotidiano tutti direbbero indignati che bisogno c’era? Io penso che ce ne sia. Ogni sera prima di dormire guardo i resoconti di Hassan Rabee, le foto dei bambini fatti a pezzi, con la testa aperta sembrano bambole rotte, riuscite a immaginarlo?, la conta dei morti, la gente senza luce e acqua. Sono masochista, penserete voi, o voyeurista o pazza; pensate quel che volete, è il mio tributo al dolore inspiegabile del mondo prima di sdraiarmi in un letto soffice da cui al massimo sentirò cadere la pioggia.
Ho viaggiato più volte in Israele, Tel Aviv Gerusalemme il deserto il Mar Morto la rocca di Masada, itinerari di turisti e di pellegrini, viaggi festosi, i kibbutz che hanno avuto ragione del deserto, che bravi, tenaci, questi ebrei. Per anni ho letto della shoah, la prima volta che ha visto la mia libreria, mia cognato ha chiesto se fossi ebrea; mi sognavo, negli incubi, ebrea in un lager. Ho ammirato questo popolo sfuggito alla diaspora, ho immaginato con angoscia la sua persecuzione; ma ho tremato a Masada fra le scolaresche di piccoli ebrei accompagnate in gita dall’esercito coi mitra…
Poi ho visitato la Palestina. In 66 anni dalla nascita dello Stato di Israele le terre degli arabi sono state ridotte ai puntini verdi che vedi sulla mappa. Incontriamo autorità palestinesi, il sindaco di Betlemme, le associazioni per la pace a Ramallah, visitiamo Gaza che nel 1998 è di nome e di fatto un campo profughi. Muoversi, in Palestina, è una interminabile gimkana per strade tortuose in un territorio roccioso e desertico, il pullman percorre chilometri e chilometri per unire territori a un tiro di schioppo, aggira gli insediamenti dei coloni, colline fortificate, piccoli agglomerati di case sorvegliati dall’esercito israeliano e protetti da check point. Devi fermarti, controllo passeggeri, chi siete dove andate. Se sei palestinese non è detto che tu possa passare, magari oggi sì e domani no, dipende da quanto è calma la situazione, se si temono attentati, e non importa se i tuoi parenti abitano al di là dell’insediamento ebraico, non importa se devi andare a lavorare, che poi se sei palestinese che lavoro vorrai mai avere?
Un tempo c’erano fabbriche di sapone in Palestina, ma l’acqua che in questa terra non abbonda ora è controllata dagli israeliani, bagna i loro orti miracolosi strappati al deserto. Per decenni gli insediamenti dei coloni hanno strappato terra, frammentato, spezzato famiglie e storie. Nessun governo li ha fermati, nemmeno Rabin e Peres che nel 1994 con Arafat hanno preso il Nobel per la pace.
Percorrere le strade intorno agli insediamenti, provare a passare da un territorio palestinese all’altro,quello che i giornalisti usano definire a macchia di leopardo, è il solo modo per capire cosa significa in pochi decenni ritrovarsi separati a forza da un invasore che costruisce la sua casa fra la tua e quella dei tuoi amici, dei tuoi genitori, dei tuoi fratelli e poi ti dice che di lì non puoi più passare.
Una sera di ramadan, all’ora di eftar, quando si rompe il digiuno e si mangiano datteri e dolci al miele, siamo a Nablus ospiti di una cooperativa che dà lavori di ricamo alle donne palestinesi. È festa, mangiamo con loro, sorrisi e cibo condiviso, su una parete un murale coloratissimo con Arafat; chiacchiero con un ragazzo che parla inglese, ha 17 anni, indica il murale e scrolla la testa, “Io sono di Hamas” dice sussurrando, sgrano gli occhi, ma come? l’ultima intifada è appena finita, si parla di pace ormai, “Hamas mi difende di più, vuole quello che voglio io”. E tu cosa vuoi? “Studiare. Far tornare i miei parenti fuggiti in Giordania. Non ho mai conosciuto i miei nonni”.
Allora sei pro palestinesi, penserete. Sbagliate. Non sono pro nessuno. Aborro ogni ragionamento posto in questi termini. Penso che l’Europa appoggiando il progetto sionista si sia lavata la coscienza spostando fuori dai propri confini un problema, quello della persecuzione degli ebrei, di cui si è resa colpevole per secoli. E ora tace, colpevole di nuovo, egoista e sicura di sé. Penso che il fatto che quello palestinese non fosse uno stato non costituisse giustificazione per furto di terre e persecuzioni. Penso che la sproporzione di forze in campo in questa ennesima guerra permetta di definire gli israeliani genocidi passibili di processo per crimini contro l’umanità. Penso che essere a Gaza in questo momento sia come essere chiusi in una scatola e bombardati senza possibilità di fuga. Penso che dovreste seguire su Facebook Hassan Rabee. Penso che il ragazzino che allora mi disse “io sto con Hamas” non potesse ragionare diversamente, anche se avrei tanto voluto che lo facesse. E mi chiedo se in questo momento sia ancora vivo.


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