Questa volte le regole non sono mie, che di bestseller non ne ho mai scritti, bensì di Ken Follett.
Questo autore, recordman di vendite da almeno tre decenni, ha il pregio (raro) di piacere sia ai lettori medio/deboli che a quelli medio/forti, che di solito sono molto schizzinosi nei confronti di tutto ciò che legge il volgo. No, non abbiatene… è proprio così. Se volete mi ci metto dentro anch’io.
Follet invece ha quella padronanza dell’elemento storico dei suoi romanzi, che lo rende piuttosto interessante, anche nei suoi romanzi meno riusciti, che pure abbondano.
Dubitate di quelli che lo definiscono un cialtrone, oppure uno scrittore fasullo, che riscuote successi grazie a qualche oscure battaglione di ghost writers al suo servizio. Follett può non piacere, ma senz’altro sa scrivere. Chi lo nega parte proprio da quel punto di vista pregiudiziale e poco onesto sui bestselleristi, che stanno parecchio sulle scatole ai cosiddetti lettori forti.
Anyway, non perdiamoci troppo in preamboli. Ken Follett ha regalato queste nove regole per scrivere un buon best-seller al Corriere della Sera, nel settembre del 2012, in occasione della presentazione de L’Inverno del Mondo. Occasione per intervistarlo, e per acquisire queste perle di saggezza.
Regola numero uno, un conflitto in apertura. Vuoi scrivere un bestseller? Nella prima scena deve esserci subito un bel conflitto.
Due, la trama.
Poi (tre) servono gli ingredienti di scrittura. «L’importante è che i lettori provino certe emozioni. Se ti provoco una reazione, ti ho catturato. E tu vai avanti a leggere». E su quali sensazioni si deve puntare? «Vediamo… L’ansia è molto importante. Chi legge deve rimanere sempre in ansia, rispetto a ciò che accade ai personaggi del libro. Poi c’è anche la rabbia: ottima. Ah, un elemento ideale è l’ingiustizia. Se uno dei protagonisti viene trattato in modo sleale, se è vessato, angariato, se subisce prepotenze… “odio questa gente che lo tratta così”, viene da pensare. Perfetto. Poi c’è l’ambiguità: di personaggi affascinanti e unici come Amleto, il mio Shakespeare preferito. Sono andato a vederlo a teatro forse 40 volte. Una volta all’anno, è talmente sfuggente che ogni interpretazione aggiunge qualcosa. Poi… qualche volta funziona la pietà: sei dispiaciuto per qualcosa che accade nella storia? Benissimo. E infine c’è l’eccitazione di una scena di sesso, naturalmente…».
Che merita una regola a parte (quattro). Follett, fin dalla Cruna, ne è considerato un maestro. «Io amo il romanzo vittoriano, scrivo in quella tradizione: per noi scrittori inglesi, Charles Dickens è fondamentale. Adoro il suo Dombey e figlio: non è tra le opere più note, ma è molto forte. Ma in lui, o nelle pagine di George Eliot, noti sempre l’assenza di sesso. Ci sono spesso crisi emotive, ma alla fine pensi: cosa fanno le persone quando, alle nove, si tolgono i vestiti e vanno a letto? Continuano a litigare? Si sdraiano sui due lati opposti del letto? O cosa? La letteratura dell’800 inglese mostra come sia migliore la scrittura moderna, quando puoi dire che cosa accade, se e come fanno l’amore». Sì, però bisogna saperlo scrivere, l’eros che funzioni.
«Una scena erotica è come una qualsiasi altra scena nel libro: l’essenziale è che ci sia una drammatizzazione. Ecco perché è assai più semplice scriverne una che ha come protagonisti giovani inesperti, meglio ancora se timidi e nervosi. Una scena di sesso con una coppia matura, un uomo e una donna che si conoscono bene, è per forza noiosa… Certo, può essere del buon sesso, ma non viene fuori un buon materiale letterario! No, è molto meglio se sono sì attratti una dall’altro ma lei riflette: “Oh mio dio, cosa penserà di me quando mi toglierò i vestiti”, o lui si domanda: “Lei vuole davvero che faccia questo?”. Oppure tra un attimo mi dirà: “Togli le mani dalle mie ginocchia!” e mi caccerà via?». Il suo collega Martin Amis, che ha ricevuto una nomination al Bad Sex Writing Award, per le peggiori scene di eros dei romanzi, ha detto: «Le donne scrivono meglio, sul tema, degli uomini». Senza considerare il successo clamoroso delle sfumature grigio-rosso-nere… «Ian Fleming (l’inventore di 007, ndr) è stato autore di grandi scene di sesso. Le donne tendono a essere emozionali, gli uomini però ci mettono i dettagli. E quelli mi piacciono». E si fa un’altra grassa risata (che qui ci sta proprio bene, crassa e grassa).
Contando le regole, siamo alla numero cinque. Che però vale per chi un libro di successo l’ha gia scritto. «Reinventarsi. Quando ti viene un bestseller, il tuo editore vuole che tu replichi lo stesso libro, ancora e ancora. Per un certo tempo funziona. Anche per tre o quattro volte. Alla fine i lettori si stufano. Vale lo stesso per la musica pop. Se ti viene una hit, ne registri un’altra uguale, ma poi? I tuoi fan si aspettano che tu non sia sempre uguale a te stesso. Così, io ho cambiato tipo di storie: dopo i thriller, con I pilastri ho cominciato a scrivere romanzi del tutto differenti. E adesso, un altro cambiamento, con i libri storici, con molti protagonisti che girano intorno a eventi realmente accaduti e personaggi veri».
(…) Quando poi ho scritto la prima bozza del libro, (regola numero sette, ndr) la faccio leggere a esperti che controllano se ci sono errori: se nel libro ci sono poliziotti, pago un poliziotto, o meglio ancora un poliziotto in pensione, perché mi dica “la polizia non agirebbe così, farebbe in quest’altro modo”».
«A questo punto, c’è quella fondamentale (regola otto): in un libro che aspiri al successo, ogni 4-6 pagine deve accadere qualcosa. Una svolta della storia. Non ricordo più dove l’ho letta, la prima volta, ma funziona sempre: basta guardare anche le vecchie storie classiche. Seguono spesso questa regola. Può essere qualcosa di decisivo e drammatico, come un omicidio, ma può essere anche qualcosa di più piccolo: qualcuno che dice una bugia. L’importante è che deve trattarsi di un avvenimento che cambia la situazione per i personaggi. E che si tenga la cadenza: se lo fai troppo spesso, il racconto diventa troppo frenetico. Se invece si allungano i tempi, il racconto diventa noioso». A questo punto, l’ultima considerazione (regola nove): come fa a decidere se un libro è pronto ad affrontare la vita? «Semplice: chiedo. A tutti: lo faccio leggere ai membri della famiglia, agli editor, al mio agente. Il libro è finito, e va in stampa, quando nessuno ha più niente da criticare!».
L’articolo integrale, ricco di altre considerazioni, lo trovate qui.
Chiudiamo questo post con una citazione che vi renderà Ken Follet improvvisamente simpatico:
Io leggo su carta e in digitale. I miei quattro nipotini che hanno meno di 5 anni maneggiano l’iPad da quando ne avevano due, e saranno di sicuro lettori di e-book. Ma che problema c’è? I libri stampati hanno eliminato i manoscritti nel Medioevo. Erano così belli e colorati, che – sono sicuro – qualcuno ha pensato: la stampa non li potrà mai eliminare. Invece! E poi io non amo la tecnologia alla follia, ma ormai, la prima cosa che faccio ogni mattina, prima ancora di scrivere, è postare un tweet. Cinque alla settimana.
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