Non può stupire molto lo sprezzante giudizio di Giorgio Squinzi a proposito del nuovo modello contrattuale proposto da Cgil, Cisl e Uil. Il presidente della Confindustria appare infatti impacciato dal fatto che la sua carica è prossima a scadere. Quel che semmai stupisce è lo scarso interesse testimoniato dai vari organi di stampa. Eppure la riunione, per la prima volta dopo anni di divisioni e polemiche, degli organismi esecutivi di Cgil, Cisl e Uil, ha rappresentato un evento non dappoco. Merito, come dicono alcuni, delle sferzate antisindacali promosse dal presidente del Consiglio, sempre intento a minacciare un intervento risolutivo sui problemi del rapporto tra sindacati e imprese? Può essere. Fatto sta che le Confederazioni si sono date una mossa e sono uscite allo scoperto. Con un superamento delle difficoltà anche al proprio interno. Così la Fiom di Maurizio Landini non appare più all’opposizione e, nella Cisl, il leader della Fim, Marco Bentivogli, secondo le cronache, non nasconde le perplessità ma si aggiunge nel voto finale favorevole.
Il documento complessivo non contiene soltanto soluzioni relative alla questione salariale, non più calcolabile solo in riferimento agli indici dell’inflazione, tema sul quale si sono soffermati i vari commentatori. Perché ignorare i numerosi altri aspetti innovativi? Certo, all’interno di linee guida da tradurre, poi, in azioni concrete. Si è tanto scritto sui ritardi sindacali a proposito del mondo degli lavori atipici e precari. Con l’accusa di essere organizzazioni dedite alla tutela solo di lavoratori occupati e di pensionati. Oggi Cgil, Cisl e Uil impegnano le categorie, le Camere del lavoro, le Unioni ad operare per il superamento delle “divisioni tra lavoro maggiormente tutelato e le forme più precarie, per affermare una effettiva parità di diritti ed una reale stabilità dell’occupazione”.
Così come appare fondamentale l’impegno a ottenere misure di “formazione permanente” riconoscendo nel “sapere” un arma decisiva per la valorizzazione del lavoro (più del salario), ripercorrendo, in altre forme, l’antica esperienza delle 150 ore. E perché tutti coloro che hanno in questi tempi incitato i sindacati italiani a imparare dai sindacati tedeschi non colgono la novità nella richiesta di istituire anche nelle imprese italiane i cosiddetti “consigli di sorveglianza”? Un modo per riconoscere nei luoghi di lavoro un ruolo non solo subalterno ai rappresentanti dei lavoratori. E perché sottacere di come tra gli obiettivi oggi Cgil, Cisl e Uil, parlino di “produttività, competitività, efficienza, innovazione organizzativa, qualità, welfare contrattuale, conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”?
Senza nemmeno chiudere, nel finale, nei confronti di una soluzione legislativa sul capitolo difficile della “rappresentanza”, purché sia effettuata sulla base delle intese raggiungibili tra le diverse parti sociali. Certo trattasi di volontà, di impegni scritti. Però oggi più di ieri sono carte che hanno la possibilità di tradursi in fatti concreti. Decisive saranno le trattative contrattuali aperte dai metalmeccanici, dagli alimentaristi. Decisive altresì saranno le mosse del governo. Può essere che anche all’interno della compagine governativa possa muoversi qualcosa. Un commento della sottosegretaria Teresa Bellanova (“Nuovo lavoro, nuovo sindacato”), sulla nuova “Unità”, è sembrato alludere a una posizione di apertura, a un riconoscimento. Anche se ci si permette di affermare, contro ogni evidenza, che oggi “non ci sono più tipologie contrattuali precarie”. E comunque anche all’interno del Pd è possibile sperare che sui temi del lavoro il confronto possa portare a risultati. E non all’appoggio un po’ vile alle tesi schematiche di Giorgio Squinzi.